C’era una volta Viserba… e c’è ancora, quantunque estranea a quella passata, a quando chiamata Abissinia perché tutta dune, monti di sabbia, rovi, marruche e pochi capanni per il ricovero dei pescatori, alla Viserba delle pantere, delle battane, dei cutteroni, delle tratte, dei molini, della Corderia, dei primi mosconi e dei primi reperti archeologici, della Sagramora, delle processioni in mare e delle feste sacre (Congresso Eucaristico incluso) quando, per consentire al maggior numero di fedeli di assistere alla messa, si svolgevano all’aperto in piazza Pascoli dove, di fronte all’ingresso della chiesa di Viserba mare, veniva posto un camion a rimorchio sul quale s’innalzava un altare. Viserba significa storia, fede, leggenda. Come quella del giovane martire San Giuliano – discendente da una nobile famiglia istriana e da un senatore greco ed educato alla fede dalla madre Asclepiodora – rinchiuso nudo in un sacco pieno di serpi velenose e sabbia e gettato in mare dal proconsole Marziano (a Flaviade nella Cilicia) per non volere rinnegare la fede cristiana. Il corpo “navigò” fino all’isola di Proconneso e lì fu sepolto dai fedeli in un’arca in marmo d’Istria collocata su uno scoglio, che poi precipitò in mare, in una notte d’estate del 957. Dopo una straordinaria navigazione, l’arca arenò al lido di Viserba, nella zona in cui una polla d’acqua fresca, purissima e salutare, detta appunto Sagramora, o Sacramora (sacra dimora) che ha conservato nei secoli il toponimo. Oggi le spoglie del Santo riposano nella chiesa di San Giuliano. Il 25 giugno 1957, a ricordo del millenario, monsignor Emilio Pasolini benedì il cippo posto sulla polla. Per decenni i riminesi hanno affrontato lunghe file per bere l’acqua fresca e curativa della Sacramora, ma da 18 mesi una querelle tra Comune e proprietà ha chiuso i rubinetti che affiancano il bassorilievo di Franco Luzi, raffigurante il Santo aggredito dai serpenti “A sem a ti mulin”, siamo ai mulini, era solito dire il parone (padrone), quando raggiungeva Viserba alla Fossa dei Mulini (Fossa Viserba), il corso d’acqua che separava Viserba da Viserbella. Gli insediamenti dei molini idraulici nel territorio viserbese risalgono al 996 e raggiungono un notevole incremento nel secolo succesivo.
Una nuova Viserba
Nel 1870, un capannone di 240 metri, la Corderia, decretò il passaggio dell’opificio di Viserba da mulino a pillatolo di riso e torcitura da canapa. Aveva inizio la trasformazione economica che l’avrebbe fatta conoscere e apprezzare per la bellezza naturale, l’abbondanza dell’acqua fresca e purissima, le numerose fontane alimentate dai pozzi artesiani, le sorgenti in perenne funzione, l’affioramento della falda acquifera, la Sortie o Sourcion luogo dove l’acqua sgorgava in abbondanza e dava vita a sabbie mobili, suscitando fantasie e aneddoti.
Il vero sviluppo iniziò quando pescatori, artigiani, contadini si trovarono a convivere con gli illustri bagnanti delle belle ville, bei forestieri eleganti, desiderosi di svago e con tanti soldi. È con l’arrivo dei “bagnènt piò impurtent” che nascono importanti alberghi come l’Hotel Stazione, lo Stella d’Italia, il Bologna, il Lido, il Milano, la Stella Polare… e locali di prestigio come il Kursaal o Circolo Bagnanti, il Garden Ceschi e la Villa dei Pini che hanno ospitato con serate da favola personaggi come Salvador Dalì, Juliette Grecò, Valter Chiari, Mike Bongiorno, le gemelle Kessler, Primo Casadei, don Marino Barreto, Renato Buscaglione, Natalino Otto…
E poi le ville…
Ed è con i “bei forestieri”, innamorati della Viserba “Regina delle acque”, e le famiglie viserbesi “che contavano” che sorsero splendide case come Villa Ressi, Lazzarini, Morpurgo, Bonci, Enzo Ferrari, Drei, Ischirol, Bavassano, Pirzio Biròli, Scaglietti, Rasponi, Protti, Pozzi (la casa rosa). Era l’Eldorado di Romagna, che più tardi avrebbe visto l’abbattimento di gran parte di quelle ville in favore di un’edilizia più commerciale. Oggi a rappresentarle non c’è che un orgoglioso esiguo drappello, sopravissuto alla mattanza edilizia viserbese. Sopravvissuta è Villa Bonci, residenza del grande tenore Alessandro Bonci, rivale del celebre Caruso. Estimatore della città di Rimini, incantato dall’eleganza, dal gusto raffinato e dalle acque fresche e pure che facevano di Viserba una spiaggia d’élite, Bonci acquistò la villa nel ’25, sopraelevandola di un piano nel ’26 per farne la residenza della famiglia, che l’abitò al completo fino alla scomparsa dell’artista.
La casa del tenore
Quando Viserba fu dichiarata zona di guerra e la villa requisita e sgombrata, la figlia Elena e sua nonna, ormai uniche inquiline, ripararono a San Vito di Romagna in casa di contadini, caricando su un carretto trainato da un’asina una considerevole documentazione artistica del padre, andata ampiamente distrutta con una bomba. Dopo il fronte, Elena Bonci Maioli, sempre a bordo del carrettino e dell’asina, rientrò con la nonna nella villa di Viserba, occupata nel frattempo da un comando inglese che, sfondato il muro di cinta e invaso il giardino con camion e carri armati, aveva distrutto mobili e testimonianze artistiche. Il 4 ottobre 1970, centenario della nascita del tenore, il Comitato Turistico di Viserba e gli Amici della Lirica hanno scoperto nella villa una lapide commemorativa, asportata dai nuovi acquirenti, dopo la scomparsa del genero Tino Maioli.
Vita d’artista
Su Alessandro Bonci, figura di straordinario rilievo della nostra lirica, dopo la serie di successi raccolti in vita, era sceso un silenzio assoluto. Silenzio che, a cento anni dalla prima esibizione del tenore alla Cappella della Santa Casa di Loreto, è stato da me interrotto con la pubblicazione della biografia e Bonci fu… Bonci! per riportare all’attenzione, degli appassionati e dei sensibili ai valori del ben canto, la grandezza dell’artista. L’opera, ricca di testimonianze, documenti, recensioni e foto inedite e pubblicata con il patrocinio del Comune di Rimini, è stata presentata nel parco di Villa Bonci a Viserba e presso il Museo della città di Rimini con l’intervento dell’orchestra d’archi dell’Istituto Musicale G. Lettimi.
La carriera
Alessandro Bonci, che per allietare il lavoro di pellettiere nel negozio paterno cantava le romanze d’opera più in voga in quegli anni, conquistò con la sua voce il Maestro Pedrotti e il Maestro Felice Cohen. Morto Capponi, primo interprete del Requiem verdiano, e rimasto vacante il suo posto nella famosa Cappella della Santa Chiesa di Loreto, Bonci fu scelto su quaranta candidati. “Quando la voce del Bonci intonò l’Ave Maria di Gounod e quel suono purissimo echeggiò per la silenziosa penombra del tempio, parve veramente che qualcosa di celestiale animasse quel dolce e malinconico canto” recensì Gino Monadi in occasione del trionfale debutto nella Santa Casa di Loreto. Di trionfo in trionfo, il tenore s’esibì nei più famosi teatri italiani e del mondo divenendo una delle più celebri voci. “È uno scherzo od è follia… l’aggiunta della risata rispettando il tempo e gli spazi è una vostra unica privativa e specialità che vi riconosce e che mi conferma la vostra perizia e lo studio che voi ponete in ogni esecuzione. Grazie, o mio spensierato Prence!” testimonia una lettera di Giuseppe Verdi datata 25 maggio 1898. Ingaggiato nel 1906 da Oscar Hammerstein, Bonci trionfò al Manhattan House di New York e divenne l’unico rivale di Caruso dividendo il pubblico in Boncisti e Carusiani. “Una tecnica impeccabile, un canto dosato e modulatissimo e un’espressione estatica, quella di Bonci, contro un Caruso, naturalista verista, dalla voce scura e sensuale, dagli slanci appassionati e l’accento fervido ma, tolti i primi anni di carriera, meno idoneo al repertorio donizettiano e belliniano”, scriveva R. Celletti in Musica e Dischi. Un gustoso aneddoto riferisce che, il mattino successivo ad una trionfale rappresentazione della Favorita a Filadelfia, Bonci ricevette un biglietto con su scritto: “Qualora aveste la degnazione di cantare una sola volta (senza bis) sotto le finestre della mia villa, al chiaro di luna, la romanza Spirto Gentil sono disposta a esprimervi la mia riconoscenza con un cheque di cinquemila dollari. La vostra ammiratrice Miss…”. Allo strano capriccio il tenore rispose: “Non sono uso cantare all’aperto. Sono però disposto, senza compenso di cheque, a cantare lo Spirto gentil per voi sola, in casa vostra e senza testimoni”. Quando Edison inventò il giradischi, Bonci fu il primo ad incidere per la casa, poi seguirono Fonotipia, Cigale, Columbia. Il considerevole patrimonio artistico lasciato dal grande tenore fu realizzato in prevalenza con il procedimento acustico. Durante la guerra tenne numerosi concerti per le forze armate e per beneficienza, sostenne economicamente i soldati e si prodigò per la realizzazione delle prime colonie marine. Abbandonato il teatro, si limitò ad attività didattiche nella villa di Viserba dove ascoltava, consigliava, aiutava i giovani cantanti che apprezzava maggiormente.
Maria Pia Luzi