Addio don Vincenzo.
Questa volta il tuo cuore malato non ha retto e si è arreso definitivamente al Signore. Si è spento nel silenzio e nel segreto della tua camera, certamente accompagnato dal coro degli angeli e da Maria a cui tante volte hai sussurrato nell’intimità della preghiera “ricordati di me adesso e nell’ora della mia morte”. E lei, da madre attenta e fedele qual’è, non è certo mancata all’appuntamento decisivo. Così quella piccola camera, ieri, si è trasformata in stanza nuziale nella quale si sono celebrate le nozze eterne.
Ora il tuo cuore, Vincenzo, è finalmente guarito ed è libero di spaziare nell’immensità del paradiso. Ora Vincenzo non hai più limiti ai tuoi sogni, perché sei una cosa sola con Gesù, il tuo sposo.
Sì quel Gesù di cui ti sei innamorato follemente dopo 40 anni di vita “mondana e spensierata” alla ricerca di bellezza e felicità che non ti potevano essere date se non in Lui, fonte di ogni nostra gioia. Così la prima grande sofferenza fisica ti ha fermato e ti ha costretto sulla carrozzina per imparare la difficile l’arte del lasciarsi amare. La tua carissima mamma Rina ti ha portato da suor Erminia e tu ti sei lasciato fare da lei, dalla sua dolcezza, dalle sue preghiere, dalla sua santità.
Cosa non hai imparato in quei mesi di rosari e litanie. La preghiera è stata la grande scoperta della tua vita. Quella preghiera ti ha guarito e ti ha liberato. Eri un uomo nuovo, Vincenzo, capace di scegliere cosa fare veramente della tua vita. E tu hai scelto. Hai scelto una stanza sul colle di Covignano, e questa volta non per l’ennesima vacanza, ma per cominciare la via difficile e sublime del sacerdozio.
Ci siamo conosciuti qui Vincenzo, in quegli anni di seminario, che tu continuavi a ripetere anche a distanza di decenni: “i più begli anni della mia vita”.
Siamo cresciuti in seminario con te e ti abbiamo conosciuto da uomo nuovo, ma dal tuo modo di fare così estroso e bizzarro non ci abbiam messo molto a captare anche il tuo passato.
Non c’è voluto molto per capire quanto eri affezionato ai tuoi profumi, quando nel pellegrinaggio francescano dove vigeva sobrietà e semplicità ti sei portato dietro uno zaino pieno di boccette inutili. Quanto ci abbiamo scherzato sopra! Ma tu eri così. Non ti facevi mancare il superfluo, perché eri un uomo raffinato. Eri un signor prete, Vincenzo. I tuoi vestiti, il tuo taglio di capelli, il tuo look dicevano di una persona speciale. Sei stato di noi più grande di vent’anni, ma ci superavi sempre in stile, in bellezza e in giovanilità. E il tuo savue fair non era certo per gonfiare la vanagloria, quanto per esprimere un innato senso di bellezza che ti contraddistingueva. Amavi la bellezza, amavi i bei libri, amavi i dipinti d’arte, amavi la musica e la lirica, i film di Pasolini.
Non hai mai sfoggiato la tua cultura, ma bastava entrare nel tuo ufficio per veder libri sparpagliati ovunque. Non erano solo libri di teologia, ma romanzi, saggi e altro ancora. Insegnavi che dove c’è bellezza, c’è Dio. E questo ci apriva gli orizzonti e ci insegnava a non aver paura dell’umano e neppure dei suoi peccati. Ripetevi spesso che soprattutto nel peccato si manifesta la bellezza di Dio.
Chi ti ha avuto come padre spirituale sa con quanta passione, quanta discrezione e quanta speranza abbracciavi le ferite personali. Nel confessare esprimevi al meglio il volto della tenerezza e della misericordia di Dio. E chi stava davanti a te poteva gustare quanto è dolce e quanto è soave essere abbracciati dal Padre celeste.
Di fronte ad uno stile forse appariscente, eri sicuramente una persona discreta e riservata. Non amavi parlare di te, preferivi ascoltare. Avevi quel non so ché di femminile che permetteva a ciascuno di entrare con facilità nelle questioni più intime e più dolorose. E allo stesso tempo coglievi ogni spigolatura, ogni dettaglio di chi ti stava innanzi. Quella passione al superfluo ti faceva capace di esplorare i sottosuoli umani, quelli che spesso non coincidono con l’espressione verbale. Quante volte notavi i malumori dietro i nostri “sorrisi della forca”; ti veniva spontaneo il fare da psicologo.
Eppure quell’intelligenza arguta e quella capacità sopraffina di scrutare l’animo umano non andavano mai a braccetto con l’orgoglio personale; Dio non te lo permetteva mai. Vuoi per i continui malanni fisici, vuoi per un carattere impulsivo e passionale, ma soprattutto per il tuo modo di fare così spiazzante e paradossale anche a te stesso. Quando cantavi la liturgia nel coro eri così serioso e appassionato quanto totalmente stonato. E mentre avvicinavi i tuoi occhialini al breviario con quel fare da “pesce lesso” e cantavi a squarciagola la nota dissonante non potevi che scatenare un moto di simpatia nei tuoi confronti da parte di tutti. E tu ti approfittavi di queste cose e le usavi furbescamente a tuo vantaggio. E cresceva l’intimità.
Carissimo don Vincenzo, oggi sei ritornato al Padre e noi siamo pieni di gratitudine per aver vissuto con te i “migliori anni della nostra vita”.
Vincenzo sei stato un prete, un padre, un amico. Paradossale e schietto, innamorato della bellezza e pieno di empatia. Ma Vincenzo, soprattutto Vincenzo, unico, irripetibile, sempre fuori dal coro eppure sempre dentro.
Addio Vincenzo… a Dio!
don Franco Mastrolonardo