La storia degli uomini è da sempre una storia di migrazioni. Cambiano solo i punti di vista. Quelle che ad esempio noi chiamiamo invasioni barbariche, i tedeschi e i popoli del nord Europa chiamano “Volkerwanderungen”, migrazioni di popoli. L’evento storico è lo stesso, muta la percezione. Tutti i popoli sono attori in questo gioco, qualcuno è attivo, e si sposta, qualche altro è passivo e fa i conti con i nuovi arrivati. In particolare, gli italiani hanno avuto il loro momento di fuga, e oggi, invece, vivono il problema dell’accoglienza di persone e famiglie in arrivo da tutto il mondo, in particolare Nord Africa, medio oriente, Cina, Asia e Sud-America.
Ma com’è il mondo dall’altra parte? Com’è quella ricerca spasmodica del pezzo di carta, che non è la laurea, ma il permesso di soggiorno, vero e proprio lasciapassare per la salvezza, che garantisce un posto nel mondo contemporaneo?
Fouad (nome fittizio) è originario della Tunisia. È arrivato in Italia nel 1994, fermato una prima volta a Teramo. Poi, per 10 anni si perdono le tracce. Nel 2004 gli viene notificato un decreto di espulsione dal prefetto di Rimini, ma non se ne va. Vuole rimanere. Nel 2007, finalmente, ottiene un permesso di soggiorno. I modi in cui riesce ad acquistarlo sono attualmente agli atti di un processo. Fouad dichiara di aver pagato ad un intermediario 1.500 euro per avere un permesso uguale a quelli che rilascia la Questura di Rimini. E aggiunge di non aver mai sospettato della falsità. Gli agenti che l’hanno arrestato pochi giorni fa, dopo un controllo di routine, ritengono il contrario. Ma la questione della originalità del documento non è la parte più importante della storia. L’elemento di rilievo è che dal momento in cui ha ottenuto il permesso, Fouad si è fatto mettere in regola dal suo datore di lavoro – prima lavorava in nero come fabbro, poi come dipendente regolare – ha cominciato a pagare le tasse allo stato italiano e a costruirsi una vita “normale”.
“Io ho fatto tutto in buona fede. – dice Fouad al processo – Ho pagato le tasse, ho lavorato onestamente, ho pagato l’affitto. E fino a che ho versato questi soldi nessuno mi ha fatto storie, ora invece, vengo rispedito in Tunisia. E le mie tasse? E tutto ciò per cui ho lavorato?”.
Questa storia non è unica. Chi vuole vivere in Italia, anche onestamente, spesso è costretto a passare per vie traverse, per cercare di evitare il Moloch della burocrazia che abbandona le persone a tempi infiniti e alle insicurezze di un timbro che non arriva mai. O, peggio, chi vuole restare deve sottomettersi alle umiliazioni della roulette dei decreti flussi, una corsa a chi arriva primo attraverso ostacoli paradossali, come la necessità di essere “indicati” da un datore di lavoro italiano senza però poter mai venire in Italia.
Secondo Aziz Ibnoerrida, Funzionario Immigrati della Uil della provincia di Rimini e responsabile dello sportello immigrati Valconca, “I tempi, per chi deve rinnovare un permesso di soggiorno in Questura sono di un anno o un anno e mezzo”. E per fortuna ora la Questura di Rimini si è spostata in via Bonsi, in una sala con tanto di numeri di attesa e una sedia in caso qualcuno si stanchi di stare 4 ore in piedi, mentre fino ad un anno fa, l’attesa agli sportelli si faceva all’aperto, in Corso d’Augusto in file interminabili e sfibranti. E spesso i problemi non finiscono qui.
“Oltre ai tempi lunghi ci si scontra spesso e volentieri con una carenza d’organico che aggrava i problemi. Nell’ufficio stranieri della Questura – continua Aziz – lavorano a pieno regime 27 persone che devono affrontare i problemi continui di 30mila stranieri: non solo il rinnovo dei permessi di soggiorno ma anche i ricongiungimento familiare o il disbrigo di altre formalità. In breve: l’ufficio è sempre ingolfato e le pratiche tardano in continuazione”.
A causa di questa condizione si giunge a situazioni grottesche, come il rinnovo del permesso di soggiorno che arriva già scaduto e quindi va nuovamente rifatto. Questo accade perché una volta che si arriva in Italia grazie ad un decreto flussi, non ci si può sedere e godere un po’ di pace. I permessi hanno una durata fissa, che va da un minimo di 3 mesi per il lavoro stagionale ad un massimo di 5 anni, e vanno continuamente rinnovati. In pratica, una volta arrivati qua si spende la metà del proprio tempo in Questura ad ottenere un timbro o un foglio nuovo.
“Ogni pratica ha un costo e i fogli sono continuamente in giro tra Prefettura e Questura per continui controlli, ai quali si aggiunge il normale ritardo delle poste. Più di una volta è capitato che il permesso, quando arriva è già scaduto e bisogna nuovamente mettersi in moto per ottenere quello nuovo. E i problemi, spesso non finiscono neppure col raggiungimento del permesso per soggiornanti di lungo periodo – che altro non è che un permesso a tempo indeterminato, che si ottiene dopo anni di residenza e lavoro – perché prima di riceverlo possono passare anche 700 giorni dalla domanda, e, nell’attesa, la ricevuta che si ottiene temporaneamente non viene riconosciuta per avere tutti i diritti della carta stessa”.
La ricevuta, poi, non è riconosciuta in tutti i paesi, e quindi quando un lavoratore decide di tornare a casa per un determinato periodo, deve scegliere gli scali giusti per non essere un irregolare nei paesi in cui transita. Insomma, non è una vita tranquilla quella del migrante, neanche per chi sceglie la più linda strada dell’onestà. Ecco che Fouad, per tornare alla nostra storia, ha cercato una strada più facile. Per la legge italiana è colpevole e per questo è già stato incarcerato e sarà presto rimpatriato. E per quanto il resto della sua vita si sia svolto nella legalità, tutto questo non pesa come attenuante sul suo giudizio. Senza passare per i decreti flussi, senza le lunghe file davanti alla Questura, senza i continui rinnovi, non si è cittadini onesti e si viene rispediti a casa.
“Me ne vado con un po’ di amarezza – dice Fouad – perché ho cercato di vivere più onestamente possibile. Però c’è da dire che la situazione in Italia è peggiorata. Prima si veniva qua trovando una vita migliore. Ora, anche per chi ce la fa, si vive al minimo, ricorrendo in continuazione alla Caritas o ad altre strutture per un aiuto. Forse il gioco non vale più la candela”.
Stefano Rossini