Dio è dentro di te, scoprilo”. Questa è una delle “massime” di Sai Baba, riconosciuto dai suoi seguaci come Maestro di Verità. Un “santone” indiano che professa l’unità di tutte le religioni: “c’è una sola religione, la religione dell’Amore”.
Sai Baba è particolarmente popolare in Occidente per i suoi “prodigi” ed è seguito anche da diversi riminesi attraverso viaggi organizzati per l’India. Egli è promotore di un sincretismo religioso sempre più diffuso nella nostra società per cui tutte le religioni sono uguali: diverse in superficie, ma uguali nella sostanza. Ed è proprio sul tema “sincretismo” che si è dibattuto nella Sala degli Artisti a Rimini nel primo dei due appuntamenti per approfondire “I rischi della nostra fede: il sincretismo e il miracolismo”, iniziativa organizzata dall’Ufficio Catechistico e dal GRIS (Gruppo Ricerca Informazione Socio-Religiosa) della Diocesi riminese.
Nel supermarket delle religioni
Sempre nel filone del sincretismo troviamo la Chiesa del reverendo Moon (nella foto) e la fede Baha’j nella quale Baha’u’llah dichiara che “tutte le vere religioni provengono dalla stessa fonte divina… e Dio ha rivelato il Suo Verbo in ogni periodo della storia tramite un profeta-messaggero… Abramo, Mosè, Buddha, Krishna, Zoroastro, Gesù Cristo, Muhammad, e altri ancora, sono stati manifestazione di Dio”.
“Questi fenomeni trovano linfa vitale in un contesto sociale dove l’individualismo e il relativismo sono imperanti – precisa il relatore Adolfo Morganti, responsabile diocesano e membro del Consiglio Nazionale del GRIS –. Il rapporto con la divinità è personale, l’unico ritenuto oggettivo tra l’uomo e Dio, naturalmente negando quello della comunità credente”.
Oggi c’è un gran proliferare di sette o gruppi alternativi. Cosa c’è di nuovo rispetto al passato?
“Non c’è niente di nuovo sia nei gruppi di matrice sincretista che in altri pseudo-religiosi.
Gli stessi raeliani, secondo i quali Dio non esiste e la vita sulla Terra è stata generata dagli extraterrestri, hanno come simbolo l’unione della stella di David con la svastica (antico simbolo del sole, ndr).
Le sette sono sempre esistite. Già nei primi tre o quattro secoli di vita del cristianesimo, Concili e Padri della Chiesa hanno dovuto affrontare una moltitudine di sette”.
Io ho il mio credo e la mia spiritualità perché, in fondo, tutte le religioni sono uguali. È una frase tipica, che si sente sempre più spesso, segno di una mentalità sincretistica.
“Il bisogno religioso, sempre presente nella storia dell’umanità, si adatta così alla mentalità diffusa dove tutto si può comprare nel supermarket delle religioni e adattare secondo i propri gusti. Si prende quello che è più comodo e facile dalle diverse tradizioni religiose e si costruisce un mito personale, fatto a propria misura. Questa non è un’esperienza religiosa, ma è la pretesa dell’uomo di potersi costruire una propria rivelazione”.
Nessuna salvezza nel mito personale
Una presunzione presente non solo nel mondo Occidentale.
“Un famoso «detto» della cultura induista recita così: una persona, che vuole crearsi la propria religione, assomiglia a chi, per volare, si tira i capelli. Questo perché ogni esperienza religiosa, prima o poi, ha avuto a che fare con qualcuno che ha preteso di sostituirsi alla Rivelazione. Noi però sappiamo che il dato rivelato sta alla base di qualsiasi religione tradizionale e che deriva da Dio: non a caso dai tempi dei Padri della Chiesa si sa che tutte queste rivelazioni sono state parziali, momenti di grazia e benevolenza di Dio nei confronti di tutti i popoli prima dell’Incarnazione. Come scrive il cardinale Franz Konig: nelle religioni extracristiane sono contenuti nozioni e valori genuini, che nei confronti del Cristianesimo hanno funzioni di precursori, di preparazione a Cristo. Ma il Cristianesimo stesso è assoluto, è «la» vera religione, che in ciò si stacca sostanzialmente da tutte le altre.
È diverso, invece, chi si costruisce una propria rivelazione perché come già scriveva lo storico Mircea Elide: il limite dei miti personali, quelli che ognuno di noi si può creare e cambiare all’infinito, è che i miti personali non salvano nessuno”.
Francesco Perez