“Povera patria schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno… e tutto gli appartiene”. È stata la voce di Franco Battiato, con le parole dure della sua Povera Patria ad introdurre una serata che si è posta l’obiettivo di raccontare la criminalità organizzata e le sue possibili infiltrazioni nell’economia del ricco nord Italia, della ricca Emilia Romagna. Lontana “questione meridionale”, quella della lotta alle mafie ha nel tempo lasciato la scena dei grandi mezzi di comunicazione di massa, gli occhi della società civile per celarsi in un intricato groviglio scuro, che si muove nell’ombra, nella “zona grigia”, nei fiancheggiatori dai colletti sporchi, negli appalti, nei sub appalti, nella politica, nello sport, in poche parole nell’economia e nella vita sociale di un Paese che ha fatto “sistema” intorno a delle logiche criminali. Ma il groviglio, il celato, quanto è consapevole? Quanto più difficile diventa percepire un fenomeno criminale quando questo ha deliberatamente scelto la via del silenzio?
Difficile. Il tutto diventa tanto più difficile, e dietro a quel mutismo, ai mass media che non parlano, alle teste che si nascondono sotto la sabbia, ci sono i “tentativi” di pochi.
È un tentativo, “un faro nella notte” quello realizzato dal Centro Culturale Paolo VI di Rimini che ha realizzato una serata dal titolo emblematico:“Mafia è anche cosa nostra?. Nella sala del Giudizio dei musei comunali di Rimini, di mercoledì sera (8 aprile), una platea gremita – ancora scossa dall’eco mediatico e dalle immagini delle vicende del terremoto in Abruzzo – ha accolto Paolo Giovagnoli, Procuratore della Repubblica di Rimini e Francesco Forgione, già presidente della Commissione Parlamentale Antimafia, ora docente di storia e sociologia delle organizzazioni criminali.
Allora, Mafia è anche cosa nostra?
I volti sono attenti e curiosi. “Io dico che è tutta una baggianata. – commenta il mio vicino di posto – Il solito tentativo dei soliti ossessionati che vedono mafie e malaffare da tutte le parti”. “Dopo aver letto l’ultima relazione antimafia, redatta proprio da Forgione, non mi meraviglierebbe apprendere stasera, che la criminalità organizzata sia riuscita a inserirsi nella produzione o nello smercio del prodotto all’ultima moda”, penso tra me in risposta al commento che ho appena sentito. La serata comincia.
A prendere la parola Paolo Giovagnoli. I toni sono calmi, l’atteggiamento è quello – giustamente, aggiungerei – cauto, di chi si trova in un territorio che non ha i segni “evidenti” e noti della manifestazione della criminalità organizzata. “Esiste la mafia a Rimini? – si interroga Giovagnoli – Rispondere a questa domanda è cosa assai complessa. Anche perché da un punto di vista istituzionale io posso dire che esiste – partendo da stime, dall’osservazione del mondo che ci circonda – una realtà nascosta. Anche la direzione nazionale antimafia di Roma, dal suo Osservatorio dice che sì, qualcosa c’è. Anche se la nostra è una Regione che più di altre è riuscita a preservarsi, basti pensare invece, a quanto il fenomeno sia penetrato, in una città come Milano”. Sono molti, infatti i comuni dell’hinterland milanese che sono stati contaminati dalla presenza criminale. Basti pensare a Corsico, Buccinasco e altri ancora completamente controllati da famiglie ndranghetiste delle città calabresi di Platì o di San Luca. Famiglie che a Milano controllavano il mercato ortofrutticolo, dentro il quale avevano costruito addirittura un night club. Ma torniamo in Emilia Romagna. “La procura nazionale antimafia – procede Giovagnoli – riassume ogni anno le indagini che vengono fatte in Italia. L’Emilia Romagna spicca per un asse Piacenza-Modena particolarmente colpito da diverse organizzazioni criminali”. La ’ndrangheta, infatti, opera nel settore degli stupefacenti, soprattutto sulla via Emilia, in cui ha introdotto anche la malavita straniera – albanesi in particolare – che sono diventati loro uomini sul territorio, occupandosi prevalentemente della distribuzione. “Ci sono poi, sempre sull’asse Piacenza- Modena indagini che individuano la presenza dei Casalesi (campani, ndr nel settore delle estorsioni e in particolare nei confronti di operatori commerciali, essi stessi di origine campana. E poi la colonia dei siciliani. Ecco, per la colonia dei siciliani, bisogna andare un pochino indietro nel tempo. Perchè a Budrio si è stanziato un parente molto vicino a Totò Riina, che ha un’azienda da più di 20 anni. Ora è tutto legale ma non ci sono informazioni rispetto alla provenienza del denaro che ha avviato le attività. Oggi è una società del tutto legale”. La questione della Romagna è diversa. Qui infatti ci sono pochi fatti accertati. “Esiste un legame tra Rimini e Ravenna (Lido Adriano, per la precisione, ndr) per quel che riguarda il rifornimento dei trafficanti di droga, con interi quartieri nel ravennate che vivono al limite della legalità. Fatti più accertati risalgono ai primi anni ’90 e coinvolgono una famiglia catanese legata al territorio di Morciano di Romagna e un traffico di armi”. Più attuale invece la presenza dei calabresi e in particolare crotonesi legati alla gestione delle bische clandestine a Riccione, sfociate nello spaccio e nell’omicidio (nel 2003). In merito è stato celebrato un processo per associazione mafiosa a Rimini che ha prodotto delle condanne in primo grado. Ma cosa è rimasto di tutto questo sul territorio? “Difficile dirlo. Più semplice è pensare che la realtà economica riminese abbia un grosso appeal per le organizzazioni criminali”. Bar, ristoranti, pizzerie sono infatti, le “lavanderie” preferite delle “famiglie”.
La criminalità organizzata fa affari, quindi.
Le mafie sono holding
Francesco Forgione ha parlato più di 45 minuti per spiegare tutto questo. Per spiegare che stiamo parlando di vere e proprie holding economico-finanziarie che dispongono di immense somme di denaro da investire. In questo modo, con questa disponibilità si inseriscono nel mercato, drogandolo. “Stiamo parlando di 150 miliardi di euro. Di somme di denaro che assomigliano ai bilanci di uno Stato. Di questi imperi, è stato stimato che solo il 30% è impiegato in attività criminali (armi, droga..etc) il resto è immesso nel flusso legale del mercato, privo di un netto confine tra legalità e illegalità”. Questa non è solo una questione meridionale. Specialmente ora, con una crisi economica che strozza gli imprenditori e obbliga le banche a stringere i cordoni della borsa. Chi aiuterà questi imprenditori?
“È pacifico che essendo gli unici ad avere i soldi, potrebbero instaurarsi situazioni a rischio usura” o, come accade sempre più spesso, di passaggio di mano di intere aziende. In un’intervista, rilasciata a il Ponte, appena un anno fa, lo storico della criminalità organizzata Enzo Ciconte, ci aveva spiegato come l’obiettivo dei malavitosi sia quello di prendersi le attività per farne vere e proprie agenzie del riciclaggio di denaro sporco.
Forgione riporta tutti sulla strada che conduce la questione meridionale a questione nazionale, attirando l’attenzione su un atteggiamento poco costruttivo di chi, tra gli imprenditori, ha pensato: “Finché portano i soldi?!”. Bisogna asciugare le vene dei soldi, quindi. Forgione pare non avere dubbi: “controllare flussi di denaro, il sistema delle imprese, appalti e subappalti. Già si parla di famiglie che si stanno adoperando per entrare nel grande affare dell’Expo di Milano. E su questo che si deve vigilare”.
Economia, affari, riciclaggio, crisi economia, il già parlamentare traccia una linea netta, puntualizzando sul fatto che qui, in questi territori, dove le famiglie criminali fanno affari, regnerà il silenzio. Qui non si sparerà, qui non si vedrà il pizzo, qui non si assisterà al degrado, qui si faranno solamente affari.
Un punto di vista, questo, che ha trovato il disappunto di Antonio Pezzano, questore di Rimini che ha preferito puntualizzare come in realtà si stia parlando di fenomeni – quelli delle mafie – che attraversano solo marginalmente questa città: “Il pesce puzza dalla testa. – commenta Pezzano – La vera lotta alla criminalità deve essere fatta al Sud, nelle Regioni dove queste realtà sono pregnanti”. Uno scambio di opinioni che ha visto il questore e Forgione in disaccordo.
Il mio vicino, dopo quasi tre ore di dibattito non ha cambiato idea, appoggiando in pieno la linea Pezzano. “È vero il pesce puzza dalla testa, ma è altrettanto vero che i tir carichi di monnezza sono pure le aziende del nord a spedirli in Campania, facendo affari non indifferenti”, commenta un altro vicino. “Anche la coda deve fare i conti con il suo bel fetore”.
Angela De Rubeis