“Ripartire da Cristo, pane della vita e luce del mondo. Contemplare il suo volto per mostrarlo a tutti”. Questo è stato il titolo della riflessione di monsignor Francesco Lambiasi, svoltasi lunedì 6 aprile presso la chiesa di Sant’Agostino nel centro storico riminese, al termine dell’itinerario quaresimale sul tema “Ma voi, chi dite che io sia?”. Un’iniziativa proposta dalla Diocesi di Rimini e organizzata in cinque appuntamenti settimanali per rispondere a quella domanda che ancora ci interpella secondo le differenti prospettive (biblica, teologica, storico-filosofica, spirituale ed ecclesiale) che convergono verso l’unità sostanziale della persona di Cristo.
Autorevoli interpreti della vita cristiana di oggi, i cui interventi sono già riportati in una recente pubblicazione a cura del professor Natalino Valentini, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli” di Rimini, edita dalle Edizioni Paoline, hanno aiutato i presenti a ricercare e a contemplare il Santo Volto.
Il vescovo Lambiasi mette in evidenza il volto autentico e integrale di Gesù di Nazareth come una figura a tre dimensioni: l’umanità, la divinità e l’essere una sola persona umana e divina.
“Ma noi conosciamo veramente Gesù Cristo? Il Gesù che noi crediamo è il Christus totus, il Cristo intero, quale viene creduto e annunciato dalla Chiesa? – premette il Vescovo -. Basta rimuovere una di queste dimensioni e la figura di Cristo risulta inevitabilmente piatta, sfocata, irrimediabilmente deformata”.
È veramente uomo
I Vangeli non ci descrivono il volto di Gesù, ma una lettura attenta della Scrittura ci permette di coglierne alcuni tratti.
“Degli occhi di Gesù non conosciamo il colore, ma dovevano possedere una forza magnetica, doveva essere uno sguardo avvolgente e penetrante. Sguardo di tenerezza che si ferma sul giovane ricco – evidenzia monsignor Lambiasi -. Incontrare un personaggio simile doveva essere un’esperienza sconvolgente, letteralmente indimenticabile. L’evangelista Giovanni era molto giovane quando si trovò per la prima volta davanti a Gesù e più di cinquant’anni dopo, il quarto evangelista ricordava con esattezza l’ora precisa di quell’incontro che gli aveva scombinato la vita: “erano circa le quattro del pomeriggio” (Gv 1,39)”.
Un uomo si riconosce anche dal suo cuore. “Quello di Gesù è un cuore tenero e intransigente. Chi lo vuol seguire deve essere disposto a rompere i legami più sacri e deve lasciare anche casa, moglie, figli e campi. E più di una volta gli evangelisti lo sorprendono a piangere: alla vista di Gerusalemme, davanti alla tomba dell’amico Lazzaro.
È un cuore autorevole e umile. Gesù è un vero capo: sa esigere, comandare, organizzare. Inoltre ha un cuore che combina insieme austerità e gioia di vivere. Lo vediamo digiunare per un lungo periodo nel deserto. Ma non è un triste masochista o un pedante moralista: a forza di frequentare quelle che i benpensanti ritengono cattive compagnie, finisce per farsi prendere per “un mangione e un beone”. E per il regno di Dio non sa trovare immagine più espressiva che quella di un festoso banchetto.
Conoscerà compassione per i malati e misericordia per i traviati, sentirà rabbia di fronte all’impermeabile ostinazione dei farisei, proverà tenerezza per i bambini, sperimenterà angoscia e terrore di fronte alla morte.
Non prendere sul serio le pagine evangeliche significa ridurre Gesù ad un “super-man” o ad un attore divino che gioca a recitare la parte dell’uomo senza assumere realmente, sensibilmente, corporalmente tutta la drammatica fragilità della carne umana. Al posto di un Dio vivente fatto uomo, ci ritroveremmo fatalmente tra le mani un’idea evanescente di Dio fatta dall’uomo”.
Perfettamente Dio
La seconda dimensione della persona di Gesù è la divinità
“Chi nega che egli sia anche vero Dio e contemporaneamente lo ammira e lo esalta come il più umano degli uomini, cade nell’abbaglio più tragico che la storia abbia mai conosciuto perché Gesù ha preteso di essere il Figlio di Dio in persona, e dunque o sono vere le sue parole o hanno fatto bene i soldati del pretorio a deriderlo come pazzo e le autorità ebraiche e romane a farlo fuori.
Gesù ha accampato delle pretese straordinarie, umanamente esorbitanti. Ha manifestato, tramite il suo agire, di essere il Salvatore.
Dobbiamo lasciarci interpellare da Gesù: Egli agisce e parla in modo tale da provocare una scelta, quella della fede in lui”.
Gesù: uomo e Dio
La terza dimensione della figura di Cristo è l’essenziale unità delle due dimensioni precedenti, l’umana e la divina.
“Coordinando queste due grandezze, la fede della Chiesa non ritiene che l’una debba escludere l’altra: Gesù non ha avuto bisogno di essere meno uomo per essere vero Dio né di essere meno Dio per essere vero uomo. Se non fosse insieme “veramente e perfettamente uomo, veramente e perfettamente Dio”, noi cristiani saremmo i più sciocchi tra gli uomini, perché giocheremmo la nostra vita su una carta sbagliata in partenza: quella dello sdoppiamento tra uno che, essendo Dio, possiede la soluzione del nostro dramma ma non potrebbe comunicarcela, in quanto non sarebbe al nostro livello; e uno che, sì, sarebbe al nostro livello, ma non potrebbe salvarci essendo soltanto in tutto e per tutto un uomo come noi.
Il cristianesimo non è primariamente una dottrina, ma una persona, Gesù Cristo, ne consegue che l’incontro con lui è l’avvenimento più importante nella vita, è l’evento più decisivo della storia”.
Gesù è un incontro
L’incontro con Cristo è l’inizio di ogni evangelizzazione e autentica conversione.
“Non possiamo perciò ridurre Cristo ad un argomento né possiamo avere con lui una relazione approssimativa e superficiale. Avere un rapporto impersonale con la persona di Cristo è la contraddizione più lampante, ma purtroppo è situazione tutt’altro che rara e infrequente. Se si riduce Cristo a un’idea, il cristianesimo scade ineluttabilmente a ideologia.
Il Dio di Gesù non è quell’essere ombroso, accanitamente aggrappato alle prerogative del suo status divino, non è un giudice inflessibile, non è un sovrano gelido e inavvicinabile.
Il Dio di Gesù Cristo è il Dio dell’amore e della salvezza: non un padre-padrone, ma Padre-Abbà. Non un anonimo “Signor Ingegnere” dei cieli e della terra, che una volta fabbricato l’universo, lo manda in automatico, si mette in aspettativa per poi andarsene tranquillamente in pensione”.
Dobbiamo però riconoscere che è sempre più aperta la forbice tra la visione cristiana dell’uomo e quella della cultura liberal-radicale.
“Al pensiero forte della nostra fede, che considerava la natura umana immutabile perché creata da Dio, si è sostituito il pensiero debole di una natura umana considerata manipolabile, perché prodotta dalla biotecnologia. All’uomo procreato è subentrato l’uomo clonato. L’uomo immagine di Dio è stato rimpiazzato con l’uomo fotocopia dell’uomo. La vita umana è diventata materiale biologico, il corpo umano una riserva di pezzi di ricambio. Ma nell’uomo del terzo Millennio continua a pulsare un cuore che è lo stesso di quando l’uomo diede per la prima volta del tu a Dio e per la prima volta disse ad una donna: “ti amo”. Un cuore che era, è e sarà sempre “un crepaccio assetato di infinito” (Kierkegaard). Questa sete non si può estinguere né con la cultura dei consumi che cambia i prodotti in bisogni né con la cultura dei sogni che trasforma i desideri in diritti. Quando abbondano i mezzi e scarseggiano i significati, il passo verso il delirio di onnipotenza è breve e si precipita fatalmente nel “buco nero” del nulla…”.
A “scuola di Vangelo”.
“Contemplando il piccolo Bambino, la fragile e umanissima apparizione di Dio nella nostra storia, impariamo che cosa significhi essere uomini: significa essere gli “amati”, i “prescelti”, i “benedetti”, quelli ai quali è stato dato “il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). A Betlemme abbiamo imparato che ogni uomo va trattato da Dio, poiché il Figlio di Dio ha voluto essere e farsi trattare da uomo e l’uomo deve essere tanto più amato, rispettato e onorato quanto più è debole, sofferente e indifeso. Abbiamo imparato che chi tiene in vita anche un solo neonato o un non-ancora-nato, tiene in vita il mondo intero e chi salva la vita anche di un solo uomo, in un certo senso salva addirittura Dio stesso.
Nella santa liturgia ci è dato, per grazia, non solo di celebrare la nascita, la morte e la risurrezione del Signore, ma di rendere tutto l’evento-Cristo nuovamente presente. E così, nell’umanità del Figlio di Dio, l’appuntamento tra Dio e l’uomo giunge finalmente a compimento”.
Francesco Perez