Rimini è una città proiettata sul mare: affacciata sull’Adriatico e cresciuta tra le foci dell’Ausa e del Marecchia, ha sempre sfruttato le risorse dell’acqua. Prima del turismo balneare, Rimini era una società portuale, una città marinara (basti pensare che oggi lo stemma della Provincia di Rimini è la “cocca” malatestiana, una nave mercantile). Per ricordare quest’aspetto della città, così fondamentale e allo stesso tempo così trascurato, Maria Lucia De Nicolò, uno tra gli storici più rappresentativi in campo internazionale sul tema della pesca del Mediterraneo, ha realizzato il libro Rimini Marinara.
Puiotti il pescatore
Il volume, interamente dedicato alla città e al rapporto che i suoi abitanti hanno intessuto con il mare, nasconde, tra un capitolo dedicato alla magistratura e alla manutenzione portuale e un altro riservato agli statuti pescherecci, la vicenda di Giambattista Puiotti, un pescatore “tartanotante” di borgo San Giuliano. Vissuto alla fine del 1700, il protagonista della nostra storia, cercò di fare fortuna con il mezzo più efficiente dell’epoca, il tartanone, il più grande e importante peschereccio monoalbero dell’alto e medio Adriatico. Il tartanone si avvaleva di una tecnica che qualche anno prima aveva rivoluzionato l’attività della pesca, le “tartane”, le reti a strascico che queste imbarcazioni avevano sempre a bordo. L’efficienza della nuova pratica ebbe come conseguenza il progressivo abbandono dei metodi precedenti, oltre che la trasformazione delle navi, che dovevano essere più manovrabili e veloci.
Vita da tartanone
Al tempo di cui raccontiamo, esattamente come avviene oggi, le professioni si intraprendevano dal gradino più basso, e nel 1778 Giambattista Puiotti iniziò a lavorare come semplice marinaio, imbarcato su un tartanone governato da paron Mauro Volpini, in un equipaggio formato da quattordici uomini. Sono numerosi gli aspetti sconosciuti della vita quotidiana “marinareccia” di Rimini nei secoli passati: i tartanotanti (cioè tutti i navigatori imbarcati su un tartanone), per esempio, per essere in regola, dovevano adempire ad alcuni obblighi, tra cui quello di dimostrare di non aver avuto contatti con persone provenienti da luoghi sospetti di presenze epidemiche, secondo le misure sanitarie dell’epoca, ma anche quello di aver assolto l’obbligo della Santa Messa nei giorni festivi. Giambattista, evidentemente, non mancò mai a questi suoi doveri, giacché nel settembre dello stesso anno fu premiato con una promozione a conduttore del tartanone “Tavioli”, un ruolo che fruttava a paron Puiotti – questo il nuovo titolo di Giambattista – oltre che una parte del guadagno della barca, anche la “paronìa”, cioè il compenso aggiuntivo previsto per la formazione e la gestione dell’equipaggio. La paronìa, che letteralmente significa “conduzione”, per contratto aveva una durata quinquennale. La carriera di Giambattista continuò di peschereccio in peschereccio – o meglio di tartanone in tartanone- durante anni di duro lavoro, testimoniati dai suoi “diari di bordo”, dove il parone raccontava le rotte percorse “da Capo Premontore all’isola di Unia” e i momenti in cui il tartanone era rimasto bloccato in bonaccia, per la mancanza di vento, impedendo ai pescatori di “fare il mestiere” e costringendoli ad andare “sempre turzio (a zonzo) per mare”.
Il paron si mette in proprio
Fino ad arrivare al 1786, quando, dopo otto anni di pratica, Giambattista decise di fare un salto di qualità e di mettersi in proprio, costituendo una società con un certo capitano Francesco Vasconi, finalizzata alla costruzione di un tartanone da pesca. Nella società, il “nostro amico” avrebbe continuato ad avere il ruolo di paron conduttore, mentre al marito di sua figlia, il genero Gaetano Merlari, assicurò il ruolo di venditore del pesce pescato dal tartanone, mediando affinché anche lui facesse parte dell’accordo societario. Il tartanone da pesca fu consegnato ai soci committenti in occasione della Pasqua dell’anno 1786 e al parone venne promessa, come sempre, “la libertà di fare ciurma marinaresca a suo genio ed arbitrio, ferma restando la promessa di esercitare simile ufficio a dovere e da uomo dabbene con avere buona cura di tutti gli armizzi”. La carica di paron conduttore, anche in questo caso, com’era previsto dai contratti dell’epoca, doveva durare cinque anni, ma qualcosa non andò come avrebbe dovuto, dato che soltanto dopo due anni, nel 1788, la società si era già sciolta, e paron Puiotti, con la fideiussione dei coniugi Gaetano e Anna Puiotti (il genero e la figlia di Battista) acquistò da solo un altro tartanone. Appare quasi bizzarra, oggi, la notizia che, nel pagamento, a rate, che Giambattista accordò al venditore del tartanone, erano comprese anche due messe a settimana in suffragio alle anime del purgatorio.
Devoti del purgatorio
La devozione alle anime del purgatorio era molto sentita dalla società marinaresca, poiché queste anime erano identificate con i marinai morti in mare, rimasti privi di una sepoltura religiosa e a cui si attribuivano paurose apparizioni durante le tempeste.
Sembra una storia tranquilla e giusta, quella di paron Puiotti cittadino di borgo San Giuliano, che prima fu marinaio, poi conduttore per terzi, infine, ripagato da una vita di lavoro, diventò proprietario di una barca tutta sua. Ma la sorte cambiò in fretta quest’esistenza serena.
Arriva la tempesta
La prima sciagura coincise con la scomparsa della figlia, Anna, avvenuta nell’aprile del 1790, cui seguì, soltanto due mesi dopo, la morte della moglie, Teresa. Conseguentemente a questi disgraziati eventi, i rapporti tra il paron e il genero Gaetano, si guastarono, soprattutto per quanto riguardava la dote della defunta Anna. Dissapori inaspriti dal fatto che i due nuclei famigliari condividevano lo stesso domicilio nel vecchio borgo marinaro . Dopo un giudizio civile nel tribunale del Podestà, le parti riuscirono a trovare un accordo stabilendo che la sola erede della dote di Anna dovesse essere la sua unica figlia, Annunziata. Mentre il padre della piccola, Gaetano, s’impegnava a non intaccarla. Anzi, per tutelare gli interessi della bambina, l’uomo era intenzionato a rilevare il tartanone dal suocero, per reinvestire il denaro in terra (un impiego più sicuro), e non in mare. Il destino del marinaio Puiotti, a questo punto, diventa tanto simile a quello dei romanzati Padron ’Ntoni e Bastianazzo, che si potrebbe pensare che Verga si sia ispirato, per la sua storia più nota, al paron riminese.
E poi l’incidente in mare
Nel 1791, prima che Gaetano lo rilevasse, il tartanone di Puiotti fu improvvisamente urtato, nella notte, da un bastimento veneto; la collisione recò danni irreparabili al peschereccio, e la perdita di due uomini dell’equipaggio, che nel timore la barca affondasse, si arrampicarono sul bastimento e partirono con esso.
Quale sia stata la sorte del tartanone di Puiotti, irrimediabilmente compromesso e senza una parte della ciurma, la storia non lo rivela. Risulta però, che qualche anno dopo l’incidente, Giambattista, è impiegato su un’altra barca, non di sua proprietà, dequalificato a semplice guardiano. Ma il lieto fine in questa vicenda forse esiste poiché l’ultima notizia che abbiamo di Giambattista Puiotti lo vede reinvestito dell’incarico di paron conduttore di un tartanone peschereccio. E a noi piace immaginarlo così, di nuovo alla guida della sua nave, appagato e soddisfatto.
Genny Bronzetti