L’affido porta sorrisi, è scritto nei volti

    “Donare la vita per qualcuno, va al di là del donare la vita a qualcuno, generandolo fisicamente”. Non ha dubbi, Cesare Giorgetti, Responsabile dell’Ufficio per la Pastorale della Famiglia della Diocesi di Rimini, che per parlare di affido familiare ha organizzato una serie d’incontri in tutti i vicariati della Diocesi riminese, in collaborazione con Ausl, Provincia e Associazioni che si occupano di affido sul nostro territorio. “Dilatando il proprio orizzonte, andando incontro ai figli di altre famiglie – continua Giorgetti – si accoglie Gesù stesso, perché «chi accoglie solo uno di questi bambini accoglie me» (Mt. 18)”.
    L’affido porta sorrisi, davvero, come recita lo slogan della campagna a favore di questo speciale tipo di accoglienza. Basta guardare i volti dei genitori affidatari per capirlo. Nonostante i dolori, inevitabili, come per qualsiasi maternità o paternità, la gioia e la ricchezza acquisita durante questo cammino trasforma ogni timore iniziale e rinnova il vincolo della coppia. Anzi, “è una vera e propria terapia di coppia”, ci tiene a sottolineare Rita Clementi, responsabile dell’associazione “Famiglie per l’accoglienza”.
    “Ci occupiamo da una decina di anni di accogliere bimbi in difficoltà. Abbiamo associato sia le famiglie affidatarie sia quelle che accolgono in adozione. Almeno una volta al mese, ci incontriamo, per confrontarci e anche per valutare progetti nuovi. Siamo circa 150, ma intorno ad ognuno gravitano tante altre persone. Organizziamo anche incontri pubblici e corsi”.
    Oggi per una di queste famiglie sta iniziando un nuovo cammino: l’apertura di Casa Santa Chiara a Villa Verucchio.
    “È una famiglia con una figlia naturale, che ha iniziato con due affidi, innamorandosi subito dell’esperienza. – spiega Rita – Così hanno costruito una casa, con grandi sacrifici, solo per aprirsi a questo atto d’amore. Ora hanno altri quattro bambini, una casa di accoglienza vera e propria”.

    I dati
    Oggi a Rimini i bambini con necessità di una famiglia che li accolga sono il 10% in più del 2007. Circa 120 quelli affidati nel 2008 compresi gli affidi ai parenti. Sono 25 le famiglie che lo scorso anno si sono rese disponibili a percorrere il cammino presso l’Ausl, per “diplomarsi” in famiglia affidataria. Perché il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, che dovrebbe essere radioso, colmo di amore, protezione e sicurezza, troppo spesso si trasforma in una prigione ostile per bambini senza difese, ma con il bisogno di “Una famiglia per crescere”. Così è stato chiamato il progetto, del quale fanno parte l’Ausl di Rimini, l’assessorato alle Politiche sociali della Provincia, l’associazione “Famiglie per l’accoglienza” e la comunità Papa Giovanni XXIII. Il progetto si occupa di bambini e ragazzi in difficoltà che hanno bisogno di avere adulti di riferimento, capaci di accompagnarli nella crescita, garantendo loro l’affetto, la cura, l’educazione, la serenità, che i loro genitori naturali non sono in grado, o non possono, temporaneamente darli.
    “Gli affidi possono essere di vario genere, residenziali, diurni, o solo per poche ore della giornata o della settimana, mese o anno. – ha spiegato Micaela Donnini, responsabile del modulo Tutela minori dell’Ausl di Rimini, durante il primo dei nove incontri che si è svolto presso la Curia vescovile – Ma l’obiettivo è sempre lo stesso, dove possibile, fare in modo che possano rientrare nella famiglia di origine. Il bambino in affido, non diventa mai figlio, né per obblighi di legge, né per asse ereditario. Solo se viene dichiarato in stato di abbandono, può essere adottato. Per la maggior parte dei casi in affidamento giudiziale (vengono tolti al nucleo famigliare) si valuta la gravità della situazione. A volte si è costretti a far perdere le tracce del minore che viene spostato anche di città. Certamente occorre una competenza genitoriale per aprirsi all’affido ma non c’è un modello riproducibile da seguire”.
    Un’esperienza fatta di mediazioni con stili di vita diversi, rapporti faticosi con le famiglie di origine, ma arricchente. L’importanza di sentirsi voluti bene, ce lo testimoniano alcune mamme che hanno deciso di offrirsi per accogliere in un modo speciale, ridonando l’amore ricevuto.

    Mamme marsupio a tempo determinato
    Silvia e Catia. Ascoltando le loro esperienze si entra in profonda empatia. Ci si trova a relazionarsi con un mondo che sembra così lontano, ma che è dietro la porta di ognuno di noi, che ci parla di bimbi maltrattati, abusati, abbandonati alla nascita a causa di malformazioni, o difficoltà della madre, spesso sola, ma non sempre straniera.
    Com’è il caso dei due gemellini lasciati all’ospedale “Infermi”, nati prematuri con alcune complicazioni polmonari, uno di loro con la sindrome di Down e senza una manina. Aver voglia di appoggiare un “figlio di altri”, pelle a pelle, per fargli acquistare peso e poi permettergli di fare la sua strada. Tutto questo è gratuità.
    “Erano a rischio di vita, quando Famiglie per l’accoglienza mi ha proposto di occuparmi di uno di loro – racconta Silvia, visibilmente commossa al ricordo – andavo lì ogni giorno per qualche ora, dove ho conosciuto Catia l’altra mamma affidataria. A un mese di vita i gemelli non erano cresciuti, così i medici hanno pensato che il contatto diretto con una mamma, a pelle, avrebbe potuto salvarli. Così è stato. Pensavo ogni giorno di non farcela a poter continuare il mio impegno invece come per Catia siamo arrivate in fondo. Il distacco è stato duro, specie se sono neonati, devi ripeterti che con loro stai facendo solo un pezzetto di strada. E lì ho scoperto che anche mia figlia e mio marito erano un dono che mi era stato dato per fare un cammino insieme. Oggi i piccoli hanno trovato una famiglia adottiva che voleva proprio loro, desiderava un bimbo Down con un fratellino. Continuavano a ripetere quando li hanno incontrati in ospedale, «cosa abbiamo fatto per meritare una cosa così bella». Sono persone dal cuore grande. Sia la storia dei bimbi sia quella dei genitori adottivi sembrava fatta perché si incontrassero”.

    Mariangela: la sua storia
    Un altro atto di amore è quello di Mariangela, non vedente. Con il marito Elio e i figli, accoglie un bimbo privo dei bulbi oculari. Un bimbo che arriva è sempre una ricchezza e quindi un’esperienza bella e desiderabile, come quella che sta vivendo questa coppia della Papa Giovanni XXIII.
    “Lui non è nostro, ma fino a quando starà con noi lo consideriamo come un altro figlio – dice con gioia Elio – abbiamo già 3 bimbi naturali e le regole in casa non cambiano. Ci siamo aperti all’affido nel 2004 con la proposta di appoggio di un bambino che tenevamo nei giorni festivi perché la mamma aveva bisogno di lavorare. Poi il secondo nel 2005, cinese, per le feste di Natale, aveva 9 mesi ed è ancora con noi”.
    Poi è arrivato il bimbo che desideravano. Mariangela voleva fare qualcosa per chi aveva la sua stessa difficoltà.
    “Dondolava, voleva stare solo, non essere toccato, per conoscere leccava tutto, ci toccava il viso – racconta Mariangela – la pappa era il momento in cui si avvicinava con piacere, da lì piano piano abbiamo cominciato il nostro rapporto. Ora sta uscendo dal suo isolamento. Deve vedere i genitori naturali ogni 15 giorni, ma noi non li conosciamo. Nelle difficoltà quotidiane c’è il supporto della Comunità, importante come lo erano la presenza e i consigli di don Oreste”.

    Cinzia Sartini