“Comunità ecclesiale, primo annuncio e catechesi”. È stato il tema affrontato domenica 1 febbraio da don Guido Benzi, responsabile dell’Ufficio Catechistico Diocesano e recentemente nominato direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale, nell’ambito dell’iniziativa “Come annunziare Cristo oggi?” organizzata dall’UCD, dal Consiglio per il Diaconato e dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”. Sull’attualità dell’argomento abbiamo rivolto alcune domande a don Benzi.
Primo Annuncio e Catechesi
Come annunciare Cristo oggi? Quale rapporto tra Primo Annuncio e Catechesi?
“Oggi la Chiesa è chiamata, come in ogni epoca, ad annunciare Gesù Cristo salvatore dell’uomo, ma oggi più che in altri tempi la Chiesa è chiamata ad una nuova evangelizzazione, cioè a comunicare la speranza di Cristo nella vita e nella mentalità delle persone. Il primo annuncio è in senso stretto il messaggio della salvezza donataci da Cristo rivolto a chi non crede. In un senso più ampio possiamo pensare ad un annuncio volto a ridestare la fede e la pratica cristiana in chi, pur battezzato, l’ha abbandonata. Questa seconda definizione ci permette di capire che ogni azione pastorale può essere ispirata al Primo Annuncio. Anche la catechesi, che per sé sarebbe maggiormente un cammino di approfondimento alla luce della Grazia ricevuta dai sacramenti, può, anzi spesso diventa occasione di un Primo Annuncio per superare la frattura tra fede e vita”.
Cosa significa Primo Annuncio
Ma cosa è e come avviene in concreto il Primo Annuncio? Quali passaggi comporta?
“Una nota della CEI di quattro anni fa, ispirata tra l’altro dal nostro vescovo Lambiasi, offre un bellissimo quadro. Nel Nuovo Testamento, in particolare negli Atti degli Apostoli, si incontra spesso l’annuncio della fede: «Dio ha risuscitato Gesù Cristo dai morti per la nostra salvezza». Questa formulazione richiama l’attenzione sulla morte-risurrezione di Gesù e sulla salvezza che ne scaturisce. Non si tratta ovviamente di uno slogan, si tratta di un’esperienza: gli Apostoli, San Paolo ed i primi cristiani e da allora in poi tutti i credenti in Gesù Cristo, comunicano così la loro fede, la vita nuova che l’incontro con Gesù ha generato in loro. Non è un discorso intellettuale. È una esperienza vitale. Non è «primo» in senso cronologico, ma in senso «genetico»: da esso scaturisce tutta la vita cristiana. Prima di tutto c’è l’amore provvidente di Dio che apre il cuore alla potenza dell’annuncio della risurrezione di Gesù. Tale annuncio interpella ciascuno dentro la sua vita: il «sì» alla vita che Dio ha detto nella risurrezione di Gesù, diventa il «sì» che Dio dice a me nella chiesa. Gesù risorto e vivo è il centro propulsore di questo amore che testimonia un Dio vicino, il Dio del perdono, della misericordia, della salvezza. L’avvenimento che è Gesù nella storia degli uomini, testimoniato dagli apostoli nei Vangeli e attestato nella vita dei cristiani, si rinnova per ciascuno”.
Pre-adolescente un mistico in ricerca
Venendo alla catechesi, quasi la totalità dei bambini frequenta fino alla Confermazione (chiamata comunemente Cresima) e poi solo una piccola parte continua. Perché?
“È una problematica complessa. Certamente la proposta catechistica deve essere sempre non banale, non superficiale e non scontata, specie in quell’età. Educare alla mentalità di fede significa essere fedeli all’insegnamento della Chiesa e costantemente mettersi in ascolto della vita delle persone il che richiede uno sforzo delicato e costante. In quell’arco di età c’è un radicale cambiamento di tutto. Quei bimbi gioiosi e fiduciosi si trasformano in pochi mesi in ragazzini irrequieti, pieni di domande e aperti a mille curiosità: eppure è proprio questa l’età in cui nascono i grandi ideali, l’adesione forte ai valori, i sogni grandi che possono anche aprirsi ad una fede vissuta in prima persona e non come imitazione. Una forte scommessa educativa va giocata in questa età, considerata troppo spesso solo un passaggio. Mi sembra che sia fondamentale la testimonianza dell’adulto. Nella nostra Diocesi ci sono state molte figure di sacerdoti, religiose e laici capaci di «intercettare» i preadolescenti, educando generazioni di cristiani: Alberto Marvelli, Carla Ronci, don Pippo Semprini e lo stesso don Oreste che ripeteva continuamente che la preadolescenze è l’età «mistica» per eccellenza; penso anche a molti catechisti, a molti insegnanti, a molte brave suore, al cammino di tante associazioni e movimenti ecclesiali, nonché a tanti genitori. Forse bisognerebbe sancire un «patto educativo» tra tutti, per testimoniare la bellezza liberante della fede in Gesù. Non è prima di tutto questione di strumenti o di metodi, anche se utili. L’annuncio della fede parte dalla relazione profonda con il Signore e dalla testimonianza di una vicinanza autentica alle persone. Non a caso il catechismo dei preadolescenti ha per titolo Vi ho chiamati amici.
L’identikit del catechista
Qual è l’identikit del catechista oggi nella nostra Chiesa riminese?
“Il Vescovo Francesco ha recentemente descritto il catechista come una guida alpina che conduce i bambini ed i ragazzi insieme verso un’avventura entusiasmante e non priva di difficoltà. È un’immagine molto bella che dice il gusto di una comunità cristiana che ha voglia di educare. Una guida alpina non trasmette solo nozioni, ma deve sapere comunicare amore per la scalata, stupore per il creato, fiducia (e non ansia) nei passaggi impegnativi. In questa cordata non ci si deve dimenticare assolutamente di coloro che sono più in difficoltà. Il catechista è prima di tutto una persona di speranza che sa manifestare sempre la vicinanza dell’amore di Dio”.
Francesco Perez