Guidando il carrello della spesa tra i vari reparti di un qualsiasi supermercato riminese, ci si accorge di quanto ogni dettaglio sia studiato a tavolino per invogliare il cliente all’acquisto. Non sempre in modo trasparente: prezzi civetta, disposizione della merce sugli scaffali secondo uno standard percettivo, promozioni formato famiglia poco convenienti, pesature non sempre precise, scontrini arrotondati per eccesso. Tra tutti questi piccoli dettagli ne spicca uno: le date di scadenza dei prodotti, alle quali solo il 13% degli italiani presta attenzione, come rilevato in gennaio da un’indagine Doxa.
La Lega consumatori di Rimini ricorda: “Attenzione alle due date di durabilità del prodotto: una perentoria con la dicitura «entro» e una più flessibile «preferibilmente entro»”. Di solito il negozio è il primo a tenere alla sicurezza alimentare per non incappare in problemi legali. Le catene di distribuzione della provincia, come Conad e Coop, seguono un iter scrupoloso riguardo la gestione dei prodotti in via di scadenza: ritiro della merce dagli scaffali tre giorni prima a prescindere dal tipo di durabilità. A questa soluzione finale si giunge passando attraverso fasi che ogni supermercato decide da sé: promozioni, sconti, ribassi.
“Mano a mano che si avvicinano le date di scadenza, almeno due settimane prima, richiedo all’azienda la svalorizzazione del prodotto, un modo per venderlo a prezzi più bassi – spiega la responsabile dei reparti della Coop Celle – . Così siamo in grado di fare offerte che vanno dal 10% al 30%”. Purtroppo le quantità di merce da gestire sono tante e quella invenduta, oltre che scaduta, viene restituita ai fornitori oppure, nei peggiori dei casi, buttata via a differenza di quanto accade nelle Coop di Bologna e Ravenna dove i prodotti finiscono sulle mense dei poveri.
Stessa dinamica per i Conad in centro città. Prima di sostituire i prodotti con i nuovi, gli addetti effettuano un “tagliaprezzo” del 50% specie su quelli più deperibili. “Ad esempio la carne ha un ciclo di vita breve. Qualche giorno prima della scadenza facciamo uno sconto del 50% o alla cassa o direttamente sulla confezione”. Lo stesso trattamento lo ricevono pane o brioches non più soffici, verdure e ortaggi non freschi. Una volta smerciato il possibile, il resto va nei bidoni o torna al fornitore. Seguendo questo rigoroso processo Adiconsum e Lega Consumatori confermano: “Nessuna denuncia per quanto riguarda la sicurezza alimentare in provincia di Rimini”.
Non tutti adottano la stessa linea. Sono tanti, infatti, i prodotti non più degni di stare sul mercato, ma ancora buoni, che trovano seconda vita nelle mense dei poveri. L’iper “I Malatesta” è un fornitore a 360° della Caritas: “All’interno del progetto portato avanti da Coop Adriatica, «Brutti ma buoni», doniamo gli alimenti in via di scadenza a quattro onlus riminesi tra cui anche la Caritas”, spiega il responsabile del centro commerciale Coop. Qualche giorno prima il volontario Mario ritira la merce che poi verrà selezionata e utilizzata per il pranzo in mensa. Le altre tappe delle donazioni sono i piccoli esercizi che a fine giornata hanno esigenze di smaltimento non potendo rimettere sul banco alimenti che hanno sorpassato le 24 ore. Si tratta di bar, pasticcerie e panifici: dal bar Cavour alla pasticceria Capriccio, dal panificio Villa al rinomato Rinaldini. Anche il mercato generale ortofrutticolo sceglie di non buttare nulla e di regalare cassette invendute: “Da circa dieci anni tutte queste attività commerciali hanno sfamato centinai e centinai di bisognosi senza voler nulla in cambio”, spiega Mario. Un’altra mensa che riceve cibo è quella dei frati del Santo Spirito in via della Vecchia Fiera: questa volta a pensarci sono “Le Befane” che donano soprattutto carne, non più vendibile ma di buona qualità.
La scrupolosa attenzione da parte dei supermercati al ciclo di vita del prodotto non basta: nonostante l’obbligo di data di scadenza e luogo di provenienza per carne bovina, ortofrutta fresca, uova, miele, latte fresco, pollo, passata di pomodoro ed extravergine di oliva, resta il problema per gli alimenti non a denominazione d’origine, come succhi di frutta, yogurt, carne di maiale, pasta, conserve vegetali, formaggi, che possono proporre etichette anonime. A mancanza di trasparenza e dopo gli scandali alimentari del 2008, in Emilia Romagna è aumentato l’acquisto diretto dal produttore, soprattutto in campo ortofrutticolo. Secondo uno studio Coldiretti, in regione il 63% dei consumatori è spinto ad acquistare sui farmers market per la genuinità, il 39% per il gusto, il 28% per il prezzo. Le 4.600 aziende agricole sul territorio vendono in primis vino, seguito da ortofrutta, miele, carne, olio e formaggi.
Marzia Caserio