Che fatica dire quel “sì”. Sono sempre di più le coppie che optano per la convivenza a scapito del matrimonio, sia esso celebrato con rito civile o religioso.
Basta osservare i dati dei comuni più grandi della provincia riminese per averne conferma, con il capoluogo che nel 2008 si è visto teatro di 238 unioni civili e 256 religiose (contro le rispettive 245 e 282 del 2007), registrando un -7 per le prime e -26 per le seconde.
Santarcangelo ha celebrato nel 2008, 107 matrimoni, 67 dei quali religiosi e i rimanenti 40 civili (dei 107, una decina era una coppia “mista”, con uno dei coniugi straniero). Anche se qui è netta la prevalenza del matrimonio religioso, nel comune clementino si è assistito in un decennio (1996-2006) ad un incremento delle unioni civili di 19.33 punti percentuali (dal 14.29% al 33.62%).
Controcorrente rispetto ai primi due, Bellaria Igea Marina che nel 2008 ha unito 46 coppie con rito civile e appena 31 con rito religioso; mentre l’anno prima, pur rimanendo invariato il numero delle unioni religiose (32), era nettamente inferiore quello delle unioni civili 29 (17 in meno).
A Riccione,invece, per il secondo anno consecutivo il numero delle nozze celebrate con rito civile (79) ha superato il numero di quelle religiose di ben 20 unità (59). Anche a Cattolica i “civili” superano i “religiosi” sia nel 2007 sia nel 2008. Nel primo caso sono stati rispettivamente 31 e 18, nel secondo 33 e 19, confermando una stabilità nelle unioni da un anno all’altro.
Aumentano i divorzi
Ad incremento corrisponde decremento. Infatti se tendenzialmente negli ultimi anni è diminuito il numero delle unioni, tende altresì a crescere quello dei divorzi. Solo a Rimini dal 2007 al 2008, si registra un incremento di 92 separazioni (da 149 a 241). Un trend che viene confermato da Riccione che dal 2007 al 2008 è passata da 343 divorziati e 562 divorziate a 363 divorziati e 622 divorziate, registrando 80 divorziati in più in soli 12 mesi. Il 2008, poi ha prodotto 10 divorzi a Bellaria Igea Marina e ben 35 a Santarcangelo 17 invece a Cattolica,rimasti invariati per il 2007 e il 2008.
Oltre i numeri
Cosa sta capitando? Quali sono i motivi che spingono le giovani coppie a optare per la convivenza? È tutto imputabile ai problemi di tipo economico e al precariato del lavoro?
Pare proprio di no. Stefano Vitali assessore alle Politiche per la Famiglia del Comune di Rimini, ci ha raccontato che nel fare un corso prematrimoniale si è ritrovato con 20 coppie, 17 delle quali convivevano già da tempo. Stranezza che ci viene confermata anche dalla dottoressa Vittoria Maioli Sanese, direttrice della Ucipem, consultorio familiare, che racconta: “Mi sono resa conto, da un incontro in cui partecipavano sette coppie, che solo una stava vivendo un fidanzamento normale, mentre tre avevano già dei figli”.
Come leggere questi cambiamenti, allora?
La dottoressa Maioli Sanese, ha provato a darci una mano, tracciando le linee di quella tendenza che a suo dire, si colloca nell’ambito di una mutazione antropologica di più ampio respiro.
“Parto con il dire che si è persa la coscienza dell’immagine pubblica e sociale del matrimonio. La relazione si consuma in uno spazio privato, dove gli altri non hanno più nulla a che fare con noi. Dove l’individuo ritiene che il suo modo di fare, la sua scelta personale non può avere nessuna risonanza sociale”.
Se non viene più riconosciuto il matrimonio in quanto status sociale, in cosa si consuma l’unione di coppia?
“Le coppie nascono con la data di scadenza, nascono con i presupposti sbagliati, si è persa la portata dell’amore come destino. In questi presupposti a breve termine la convivenza è il luogo migliore nel quale alimentare il rapporto”.
Molte coppie giovani pur dichiarando la loro preferenza per la convivenza, o comunque un periodo di convivenza, poi non hanno dubbi nel dire che qualora subentrasse un figlio, il matrimonio sarebbe l’unica strada percorribile. Come lo spiega?
“Questo è vero, non è solo un dato statistico. Quando arriva un figlio le coppie spostano la loro scelta verso il matrimonio. Ritengo che dipenda anche da un fattore di opportunità offerte dalla legislazione italiana. Così come ritengo sia vero che per molte coppie, quella della convivenza sia una fase di passaggio”.
Quanto è sottile e interiorizzata questa tendenza all’individualismo e allo sganciamento con la vita di “società” e quanto invece è percepita in quanto “vuoto”?
“Il meccanismo è molto sottile, spesso interiorizzato. Però mi piace segnalare una sorta di presa di coscienza da parte dei giovani, che in varie occasioni mi hanno espresso il disagio del «Ma dove stiamo andando. Cosa possiamo fare?». Avvertono e con altri colleghi avvertiamo quell’emergenza educativa della quale ha spesso parlato Benedetto XVI. Penso che dobbiamo ritornare a una educazione dell’umano, all’umano, per l’umano”.
E di affievolimento dell’immagine del matrimonio come status sociale parla anche don Paolo Bernabini, assistente dell’Ufficio della Famiglia della diocesi. “Stiamo assistendo a un passaggio epocale – commenta don Bernabini – nel quale il sentimento prevale sulla norma e la ragione”.
E quando don Bernabini parla di norma e ragione si riferisce a quell’insieme di regole che fanno dell’individuo un “animale sociale”, calato in un contesto comune dove si condividono delle norme, appunto. “Quello che temo è l’individualismo e la felicità percepita che si allontana sempre di più dalla felicità reale”.
E il matrimonio in tutto questo cambiamento dove si colloca? “Purtroppo oggi dai sentimenti ci si aspetta il massimo, ma i legami sono fragili e quando dentro una coppia arriva la fatica non si ha la forza per reggerla e andare avanti. Quello che mi sento di dire è di non rimanere nella solitudine ma porsi in comunità, come accade nei gruppi famiglia”.
E le giovani coppie?
Genny e Nicola si conoscono da tre anni e nelle loro intenzioni c’è il matrimonio. Genny è molto chiara nella sua interpretazione del legame matrimoniale: “È un riconoscimento sociale. Un modo per fare le cose per bene. La modalità attraverso la quale si distingue una coppia che fa sul serio da una coppia che prova a stare insieme”, un happy end, insomma. Nel confermare che sarebbe quasi d’obbligo nel caso in cui ci fosse un figlio, conferma altresì l’impossibilità logistica di organizzare una casa e di sostenere economicamente una famiglia. “Forse dirò una banalità – conferma Genny – ma siamo entrambi precari, se domani avessimo un lavoro saremmo pronti a sposarci. Questo vorrà pur dire qualcosa”.
Angela De Rubeis