Un sacco a pelo sottobraccio e uno zaino con l’indispensabile per quattro giorni nella capitale. Ma non si tratta di una vacanza per vedere Roma a fine anno: quello dei ragazzi del MSAc, il Movimento Studentesco Azione Cattolica è un campo di volontariato e condivisione sociale a tutti gli effetti. Una “scuola dai poveri” che è già diventata una tradizione: quindici anni fa erano partiti in cinque da Rimini alla volta della città eterna, l’ultimo campo ha visto 57 ragazzi al via. Tre le destinazioni: la comunità di Sant’Egidio e le suore Missionarie della Carità (quelle di madre Teresa di Calcutta, per intenderci) e la Caritas.
Il piccolo plotone pronto a rimboccarsi le maniche e ad aprire il cuore era formato da 44 studenti delle Scuole superiori, 10 educatori e tre sacerdoti. A farla da padrone i licei scientifici “Einstein” e “Serpieri” di Rimini, seguiti dal Classico “G.Cesare”, ma c’erano rappresentanti anche di Ragioneria, Geometri, Itis, Alberghiero, Artistico, fino ai licei scientifici “Volta” di Riccione, “Ferrari” di Cesenatico e “Marie Curie” di Savignano. Un nucleo composito “guidato” dai responsabili Diletta Mauri, Stefano Malaventura e don Giampaolo Rocchi. “Il tema del campo, centrato sull’anno paolino, era tratto da 1 Cor.9,22-23 «…mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo.” – spiega don Rocchi – Scandiva l’inizio della giornata e la comunicazione serale dopo il servizio”. Ci aveva già pensato il vescovo Francesco a spronare il gruppo alla partenza da Rimini, prima condividendo con i ragazzi quella magna carta della vita cristiana che è l’Inno alla carità di San Paolo, poi provocandoli con queste parole: “Siamo tutti abbastanza poveri per dover ricevere… siamo tutti abbastanza ricchi per poter donare”.
Due pensieri hanno preceduto i ragazzi del campo, due pensieri “guida” della quattro giorni. Il primo è di Gandhi, tratto da Parole ad un amico: “siamo nel mondo non per divertirci, ma per rendere grazie a Dio e a servire la creazione. In che modo dobbiamo glorificare Dio? Servendo la sua creatura: l’umanità”. Il secondo è preso da madre Teresa di Calcutta: “L’importante non è ciò che facciamo, ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo. Fare piccole cose con grande amore”.
“In teoria la sveglia era programmata per le 6.15, ma naturalmente suonava prima, alle 6.00. E la suoneria, cioè la canzoncina dei topi di Cenerentola era un incubo, così come lavarsi senza bidet… così come al solito sono arrivata in ritardo alle lodi. – è l’esperienza di Chiara presso la comunità Sant’Egidio – In linea d’aria percorrevamo quotidianamente più di 80 km in pulman, tra due linee di metropolitane e pulman per arrivare a destinazione ma a guidarmi c’era una frase: Fare il bene della persona che incontri, senza pregiudizi! Ho provato una grandissima gioia solo nel vedere lo sguardo di affetto della persona che ho servito. Uno sguardo che sento di non meritare per aver fatto quasi niente. Io gli do veramente poco e loro mi danno indietro veramente tanto. Perché?”.
“L’incontro con gli «amici», una comunità di disabili uniti in un’unica famiglia e la messa con loro è un’emozione difficile da riportare su un foglio. Gli amici sorridevano. Questo è troppo. Troppo bello” non ha dubbi Tommy. “E io che la scorsa settimana ho fatto una tragedia coi miei perché mi han fatto tornare a casa da una festa alle 2.20 piuttosto che alle 2.30. Poi qui ho visto gente che sulle spalle regge il peso dell’impossibilità, della difficoltà, dell’ingiustizia. L’ho vista sorridere”.
Il gruppo dei 57 riminesi “alloggiava” come una grande famiglia presso la parrocchia Nostra Signora di Lourdes, alle porte della città: tre stanze per dormire in terra coi sacchi a pelo, e un cucinetto per la colazione e la revisione.
“All’inizio mi sentivo come bloccata e un po’ intimorita, – ammette Arianna – ma quegli uomini, i senza tetto, sono riusciti a mettermi a mio agio. Sembrava come se il «servizio» di carità non lo stessi facendo io a loro, ma che fossero proprio quelle persone ad aiutarmi”.
“Grazie per i tanti doni ricevuti, – rilancia Chiara – cioè i volti delle persone incontrate, da Ludovico e Giovanni, a tutti gli ospiti della casa di accoglienza, alle suore, al signore dell’autobus. Non c’è stato momento, durante il corso di questa giornata in cui io mi sia sentita sola: che bello!”.
Le impressioni del gruppo Caritas sono altrettanto toccanti. “Una cosa significativa è stato l’ascolto attento delle differenti storie delle persone incontrate alla mensa. Una cosa negativa è stata la fatica di trovare il coraggio per rompere il ghiaccio inizialmente, per sedermi ad un tavolo ed iniziare a parlare”.
Il parco del convento delle suore di Madre Teresa, anche d’inverno è una favola; c’è perfino un pappagallino che svolazza di albero in albero. “Così mentre scrivo – dice Giulia – mi godo il paesaggio e non posso che pensare alla splendida esperienza vissuta e per la quale ringrazio il Signore! Il lavoro fra le Sisters non sempre è semplicissimo eppure non mi pesa affatto”. C’è Giuseppe il pianista: dagli un pianoforte e fa meraviglie “e io non posso far altro che accostare una sedia ed ascoltare”. Totò, nonostante gli siano state recise le corde vocali (per un tumore maligno alla laringe), “è la persona più espressiva del mondo, un vero e proprio mimo comico!”. Federico l’anziano insegnante di greco non mangia altro che risotto e Bruno si ostina a governare la cucina. “È con questa gente che abbiamo giocato a scala (spudoratamente sconfitti), parlato e scherzato. Come una vera famiglia”.
I ragazzi sono tutti d’accordo: l’esperienza del campo non deve sfiorire. Il MSAC si è dato così alcune prospettive per continuare il servizio: Nicolò Capitani tiene la mappa dei servizi.
Paolo Guiducci