Per molti “comuni mortali” il termine arrampicatore forse potrebbe avere più un significato sociologico (quello, per intenderci, del classico “arrampicatore sociale”) che non sportivo. Eppure l’arrampicata è una vera e propria disciplina associata al Coni che, praticata per puro divertimento o come competizione agonistica, trova lontane origini nell’alpinismo. Con differenze, però, di non poco conto. La prima è racchiusa nella parola sicurezza perché se l’alpinismo classico consiste nel salire una montagna seguendo vie tracciate o avventurandosi in percorsi non ancora tracciati, l’arrampicata sportiva, dicono gli esperti, si può praticare anche lontano da ambienti montani, sempre ed esclusivamente su vie dove le protezioni (come i chiodi) sono già presenti, è a basso rischio e può essere imparata fin da piccoli. “Si può insegnare ai bambini fin dall’età di cinque anni”, spiega Roberto Cuccu, 43 anni, riminese. Dopo un lungo passato da istruttore in più palestre del capoluogo ha scelto di fermarsi, ma solo con gli allievi. “Continuo ad arrampicarmi in compagnia di amici. Ho smesso di insegnare solo per mancanza di tempo, in realtà le richieste non mancherebbero”.
In effetti, per le sue caratteristiche, l’arrampicata può essere uno sport molto interessante per lo sviluppo psicomotorio, fin dalla tenera età. “Si basa sul movimento preciso e coordinato di tutti e quattro gli arti – spiega ancora l’istruttore – non serve una particolare forza fisica, ma tanta tecnica”. Inoltre, il fatto di muoversi in coppia (uno sale la parete, l’altro rimane a terra a tenere e controllare la corda) può aiutare a formare anche il carattere: “Salire è una continua sfida con te stesso dove cadere fa parte del gioco, per questo i bambini che hanno meno paura del pericolo sono molto portati. Inoltre, ti metti nelle mani del compagno che tiene la corda e che, al tempo stesso, deve avere rispetto per te, assecondandoti nella salita”.
Per non parlare del contatto con la natura, del piacere di praticare uno sport in compagnia e di abbinare una passione ad una gita mirata, con itinerari sempre nuovi da scoprire. Eppure i tesserati alla Fasi (Federazione Italiana Arrampicata Sportiva) in provincia non superano le cento unità. E nel territorio non c’è neanche un negozio che venda le attrezzature necessarie. Primo ostacolo da superare per chi desidera esplorare la disciplina. “Il posto più vicino è l’Iper di Savignano – continua Roberto – gli unici due negozi che avevano pensato anche a noi arrampicatori, nel centro di Rimini, hanno chiuso…”. E pensare che tra corda, imbrago, scarpette (che consentono una massima aderenza alla roccia o alla resina, a seconda del tipo di parete), attrezzature da sicura e rinvii (da agganciare ai chiodi posti nella roccia), si spenderanno al massimo 300 euro.
Nel Riminese è la Valmarecchia a farla da padrone tanto nel campo della formazione, con la presenza di una vera e propria scuola sia di arrampicata sia di alpinismo, quanto negli itinerari (falesie) percorribili. Da Verucchio la passione può portare -restando nelle vicinanze – a San Marino, Perticara, fino alle Balze verso la Toscana o alla Gola del Furlo nelle Marche. Ogni falesia ha un suo grado di difficoltà, ovviamente, in base a tipo e inclinazione della parete, tipo di prese o chiodi già agganciati, di dimensione più o meno grande. Ma anche quando il gioco “si fa duro” la sicurezza resta una priorità. A questo proposito, come convincere i più timorosi? “In arrampicata non ci sono casi di persone morte. Certo, se non ti proteggi mentre vai su e non fai bene le manovre, il rischio c’è – parola di istruttore – ma la caduta, contrariamente a quanto avviene nell’alpinismo, avviene sempre solo per errore umano: come quando il sub sott’acqua finisce in decompressione”. Tutto nelle tue mani. Anzi, tutto nella tecnica.
Alessandra Leardini