Don Oreste, anni 50. Ricordi ed emozioni di anni lontani. Per sincerarsi dei fatti è necessario ricorrere ad antichi appunti, a volantini superstiti, a vecchie foto. Ci vorrà del tempo per giungere ad una ricostruzione storica più esatta, a un confronto di fonti diverse, a giudizi più meditati e meno emotivi.
Anni 1955-60, circa. Sono gli anni in cui don Oreste inventa i pre-jù. La Giac di allora – Gioventù Maschile di Azione Cattolica – aveva vissuto un momento non facile a livello di dirigenza nazionale; i riflessi non erano mancati nei Centri Diocesani. Ma a livello di aspiranti le cose erano più tranquille. C’erano gli aspiranti minori, i maggiori, i pre-jù. L’Ufficio Diocesano Aspiranti (familiarmente, l’UDA), con sede in Via Bonsi, aveva il suo assistente diocesano – che era don Oreste – aveva il suo delegato, i suoi collaboratori.
Don Oreste era già un prete “creativo”. Da assistente della Giac, e quindi degli aspiranti, capì tra i primissimi che fra gli aspiranti minori e maggiori, corrispondenti grosso modo agli 11-13 anni, e i pre-jù (allora: 14-15 anni, ma l’età era fluttuante: poteva scendere a 13 o salire in qualche caso a 16) vi era un salto di maturazione psicologica oltre che fisica, diversa sensibilità, diversa problematica umana, religiosa e morale. Capì che, insomma, i pre-jù non potevano essere educati con gli stessi metodi insieme con gli aspiranti minori e maggiori, essendo questi ancora nella fase tranquilla anche se conclusiva della fanciullezza. Non per niente si chiamavano “pre-jù”, cioè venivano subito prima dei giovani ed erano protesi al mondo dei più grandi.
Don Oreste considerava questa età cardine, di ragazzi non più fanciulli e non ancora giovani, come l’età decisiva della vita. Citava volentieri, secondo il testo latino come usava allora, il detto biblico: “indirizza l’adolescente sulla via da seguire; neppure da vecchio se ne allontanerà”. Un’intuizione davvero importante: non pochi adolescenti di allora hanno maturato le scelte decisive della vita proprio da pre-jù.
Don Oreste, sempre piuttosto radicale, volle dare rilievo al lavoro fra i pre-jù, facendone un Ufficio del tutto autonomo rispetto all’UDA: a cavallo fra il 1955 e il 1956 nacque, non senza difficoltà e qualche polemica mai del tutto sopita, l’Ufficio Diocesano Pre-jù nell’ambito della Giac. Assistente, naturalmente, don Oreste, che nel frattempo aveva lasciato il compito di assistente della Giac e degli aspiranti; “delegati”, oggi diremmo “educatori”, Luciano Chicchi e io, che allora avevamo rispettivamente 18 e 16 anni (allora si diventava maggiorenni a 21 anni); collaboravano alcuni ragazzi ancora più giovani. La scelta auspicata da don Oreste, da lui sostenuta con abbondanza di motivazioni psicologiche ed educative, trovava una qualche facilità di attuazione nel fatto che allora gli aspiranti erano tanti e presenti in quasi tutte le parrocchie. Ed i pre-jù potevano contare su gruppi numerosi, di decine di ragazzi maschi, in tutti i principali centri della Diocesi: a Rimini in varie parrocchie (San Nicolò, Duomo, Miramare, ecc.), a Viserba, Bellaria, Savignano, Serravalle di San Marino (allora in Diocesi di Rimini), Riccione, Cattolica, Morciano, Coriano, e perfino a Saludecio, Mondaino e altre località minori.
Don Oreste era l’anima di tutto il lavoro, con l’aiuto di alcuni preti allora giovani, che volentieri collaboravano con lui: don Primo Mazza, don Sisto Ceccarini, don Silvio Buda, don Peppino Innocentini di Serravalle, e altri. L’Ufficio organizzava incontri nelle parrocchie, ritiri in alcuni momenti dell’anno, corsi di esercizi spirituali a Villa Verde, olimpiadi e tornei sportivi in primavera, “campi” in montagna in estate. Fino a creare un’attività capillare, della quale don Oreste era ben più che “assistente”! A questa attività di carattere organizzativo va aggiunta la formazione assidua dei giovani collaboratori laici, che incontrava ogni settimana in gruppo e che seguiva personalmente con la direzione spirituale; la loro formazione veniva completata con la partecipazione annuale a corsi di esercizi per adulti promossi a livello nazionale dall’Azione Cattolica o dalla Pro Civitate Cristiana; a questi corsi i ragazzi di Rimini erano sempre i più giovani in assoluto. Anche i libri che don Oreste suggeriva per la formazione personale di ragazzi di 16-18 anni erano di rilievo ed impegno: da “Come loro” di R. Voillaume, a “Problemi di vita spirituale” di Y. De Montcheuil, a “Cattolicesimo” di H. De Lubac, ai testi di Mounier e Maritain.
Nel 1956 si svolse, in giugno-luglio, il primo “campeggio” esclusivamente per pre-jù nella Casa Madonna delle Nevi di E. Cavulli, a Penia di Canazei. Fu una rivoluzione copernicana per la tradizione riminese, sempre legata alle modeste alture del nostro Apennino. Le Dolomiti esercitavano su don Oreste, e sui giovani che lo seguivano, un fascino particolare: le vette, la neve (allora abbondantissima anche in piena estate), i ghiacciai, i boschi… tutto diventava occasione di avventura e di contemplazione. Ogni giorno si celebrava la Messa; esplicito era l’invito alla confessione e alla direzione spirituale. Si facevano escursioni impegnative e lunghissime, in condizioni che ora sarebbero inimmaginabili: mancanza di attrezzature, scarpe inadeguate e povere maglie di lana, assenza di impianti di risalita… In due settimane, oltre ad escursioni più brevi, si attraversò il Catinaccio innevato (tornando alle 10 di sera!), si salì fino alla forcella Pordoi fra la neve, si scalò la Marmolada dalla parte del ghiacciaio. L’impostazione del campo era a gruppi, valorizzando momenti di gioco, di competizione, di formazione, di escursione. A distanza di oltre 50 anni i ragazzi di allora ricordano gli avventurosi giochi notturni, le partite a numeri, le assemblee nelle quali don Oreste parlava di tutto, assecondando i “centri di interesse” dei ragazzi.
Da queste esperienze, che si rinnoveranno negli anni successivi, affinandosi nei metodi e nelle iniziative, nacque in don Oreste, incoraggiato dai suoi giovani collaboratori, l’idea di una “casa” sulle Dolomiti.
L’antivigilia di Natale del 1957, con me, che allora avevo 18 anni, don Oreste scese dal trenino a Predazzo, ed a piedi, sotto una nevicata leggera, percorse tutta la Val di Fassa, fermandosi ad ogni bar e ad ogni casa (allora molto rare!) per informarsi su possibili terreni in vendita; finchè arrivò ai confini fra Alba e Penia, dove l’indomani, sotto un sole splendente ed una temperatura di quasi 20 gradi sotto zero, vide un terreno in vendita e prese le prime informazioni. Su quel terreno sorgerà la Casa Madonna delle Vette. Intanto, partendo dall’esperienza dell’Ufficio Pre-jù, don Oreste veniva maturando la costituzione di un’apposita Associazione per l’educazione degli adolescenti. Ma questa è una storia che vale la pena di raccontare un’altra volta.
sac. Aldo Amati