La nostra intervista con san Paolo si ferma quest’oggi su di una pagina magistrale della lettera ai Romani, il suo “capolavoro”. Dal Colle del Campidoglio a Roma, dinanzi ad un tramonto autunnale dai mille caldi colori, con lo sguardo che si spinge fino ai confini della grande città, desideriamo ascoltare, dalla voce stessa dell’Apostolo, un suo commento sul capitolo 8 di quella Lettera, là dove Paolo ha tratteggiato la vita del cristiano nello Spirito.
Caro san Paolo, si tratta forse di una delle pagine più intense di tutta la sua opera. Come le venne in mente di affrontare questo tema così importante?
“Non dimentichi che per i testi biblici c’è sempre l’azione ispirante dello Spirito Santo! Evidentemente era Lui che voleva che affrontassi questo argomento e cioè la sua azione nella vita del battezzato! Mi costò quella pagina tante riflessioni e tante notti di preghiera assidua. Il Capitolo 8 della mia Lettera ai Romani è dominato totalmente dal pensiero dello Spirito. Volevo affermare anzitutto che non c’è più nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù. Infatti lo Spirito ci ha liberati, attraverso il dono di grazia nel battesimo di Gesù Cristo, dal peccato e dalla morte. La “potenza del peccato” è stata colpita là dove ha la sua sede, cioè nell’esistenza carnale decaduta, nelle sue pretese e nelle sue brame, nelle sue tensioni e nei suoi tradimenti”.
Ma quando Lei dice “carne” pensa alla nostra esistenza terrena?
“No. La “carne” non è il corpo, né soltanto la sensualità: con questa espressione indico piuttosto una mentalità radicata nel mondo: passioni sregolate, criteri di vita nei quali Dio è assente, autosufficienza (ad esempio i sette vizi capitali). La carne ha sempre di mira se stessa: si tratta dell’egoismo, quello materiale e sensibile e ancor più quello spirituale che si esplica soprattutto nell’assolvimento dei comandamenti di Dio con opere che dovrebbero garantirci e promuoverci al Suo cospetto mediante una nostra giustizia (Rm 10,3; Fil 3,3 ss.) o anche nella fiduciosa sicurezza di appartenere alla progenie dei “salvati” (Fil 3,3 ss.), nel vanto e nell’autoedificazione attinta dalla sapienza o dai doni spirituali (1Cor 1,26; 2Cor 11,18; ecc.). Il modo in cui Dio ha condannato il peccato nella carne è stato l’invio del suo Figlio, santo e obbediente, nella carne. La potenza del peccato è stata infranta da questo intervento di Dio. I cristiani non impostano più la loro vita secondo le inclinazioni e le pretese della carne, ma assumono come norma di vita, lo Spirito”.
Dunque l’esistenza cristiana è sempre un’esistenza “spirituale”?
“Certo noi viviamo nello Spirito. Lo Spirito dimora in noi per mezzo del battesimo. Lo Spirito si è impossessato di noi, si è appropriato della nostra esistenza. Lo Spirito di Cristo, che è lo Spirito di Dio, ci fa sperimentare Cristo come nostro Signore. Noi siamo sua proprietà. Noi non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavitù che ci sottomette all’angoscia. I figli di Dio hanno sconfitto l’angoscia della morte perché hanno ricevuto lo Spirito. Il grido Abbà (= papà, nella lingua aramaica antica) non è un’angosciosa evocazione del Dio assente, ma la fiduciosa invocazione del Dio presente, che è il Padre per eccellenza. Coloro che si lasciano guidare dallo Spirito e troncano il loro agire egoistico, vivranno. Essi sono infatti figli di Dio e hanno ricevuto lo Spirito che fa di essi, un tempo schiavi ricolmi di angoscia, figli di Dio ripieni di fiducia”.
Ma non le pare una visione un po’ distaccata dai nostri fallimenti e dal male e dalla sofferenza che continuano ad essere nel mondo?
“Cristo ci ha preceduti anche nel patire e la nostra sofferenza è, per così dire, innestata nella sua (Col 1,24). Questo soffrire con Cristo che dischiude la futura partecipazione alla sua gloria, rappresenta per i cristiani l’attuazione del loro battesimo. Io affermo che i patimenti del tempo presente non contano nulla rispetto alla gloria incomparabile che si manifesterà in noi. Rispetto al peso sovrabbondante ed eterno della gloria tutti i dolori sono una lieve tribolazione momentanea (2Cor 4,17). Il futuro di chi ha fede e speranza compenserà abbondantemente il presente e col suo splendore trascenderà incomparabilmente le miserie del presente. Tutta la creazione attende la manifestazione della gloria e anela ad essa. A questa gloria, che è la nostra speranza, va il gemito della creazione (vv. 19-22), dei cristiani che hanno lo Spirito (vv. 23-25), anzi dello Spirito stesso (vv. 26-27). Dove c’è attesa e desiderio, speranza e anelito, dove in qualsiasi modo ci si protende al di là di se stessi, qui c’è gia spazio per questo dono di salvezza!”
Dunque si tratta di una grazia che dona non solo la salvezza ma che ci dona anche la possibilità di esserne degni?
“Certo! È qui la grandezza del cristianesimo! Noi dobbiamo solo fare la fatica di aprirci al dono, tutto il resto l’ha fatto il Padre, attraverso il Figlio, nel dono continuo dello Spirito Santo. L’ho scritto chiaramente ai versetti 26-27:“Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio”. I cristiani, in virtù dello Spirito hanno acquisito nella fede la libertà di amare e di sperare”.
Ci legga quelli che secondo lei sono i versetti di questa sua Lettera che meglio esprimono quanto ha scoperto ed ha voluto comunicarci.
Paolo mi prende la Bibbia di mano ed anche con un po’ di commozione mi legge i versetti 35-39)
“Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore”. Questo caro amico è il succo, l’essenza del cristianesimo!.
(12– continua)
a cura di Guido Benzi