La diocesi di Rimini visse un periodo di ristagno culturale e pastorale per diversi anni, dopo la votazione dell’Assemblea costituente delle Legazioni che decise l’annessione delle Romagne al Piemonte (settembre 1859) e dopo la breccia di Porta Pia (20 settembre 1870), che segnò la scomparsa dello Stato pontificio. Le campagne rimanevano saldamente ancorate alla tradizione religiosa, ma l’avvicendarsi dei vescovi e una lunga vacanza nella sede, negli anni Settanta, avevano impedito l’emergere di linee innovative rispetto a quelle che erano prevalse a partire dall’età della Restaurazione. Di fronte all’affermarsi del nuovo Stato liberale, clero e laici impegnati sperarono per molto tempo in un più o meno prossimo ritorno del Papa-re, confortati in questo dal pensiero che nello spazio di mezzo secolo il governo pontificio era caduto tre volte e altrettante volte si era rialzato. Non mancarono tentativi di sintonizzarsi con le iniziative che in altre città italiane i cattolici svilupparono per contrapporsi ad uno Stato che non intendeva riconoscere i valori religiosi e per riaffermare una propria identità.
1870, il Circolo della Gioventù Cattolica Italiana
Nel 1870 — ad esempio — dopo un quaresimale tenuto in cattedrale dal padre gesuita Luigi Previdi era sorto un circolo della Gioventù cattolica italiana, a due anni dalla fondazione su scala nazionale di questa organizzazione da parte di Mario Fani e di Giovanni Acquaderni. Ne fu primo presidente Francesco Venturini. Nel 1873 il conte Francesco Gaetano Battaglini, amico di Vito d’Ondes-Reggio e di padre Curci, frequentatore assiduo a Roma della corte papale, aveva fondato una sezione della Società primaria romana per gli interessi cattolici. Ma entrambe le iniziative ebbero vita breve e stentata. Bisogna arrivare al 1879 perché si creino le condizioni del successivo sviluppo del movimento cattolico.
1879: l’arrivo di mons. Battaglini
In quell’anno Leone XIII inviò a Rimini come vescovo monsignor Francesco Battaglini di Cento (Ferrara), solido studioso del pensiero di Tommaso d’Aquino. Nominato vescovo nello stesso anno di pubblicazione dell’enciclica Aeterni Patris, che dava un grande impulso al rinnovamento degli studi tomistici, Battaglini avviò una vera e propria iniziazione intensiva alla filosofia dell’Aquinate per tutto il clero della diocesi: istituì un’Accademia cui per settimane invitò i sacerdoti ad approfondire in apposite sedute i principali temi filosofico-teologici. Volle che il tomismo fosse insegnato nel Seminario vescovile ed era solito entrare nelle aule per controllare l’efficacia e la profondità dell’insegnamento impartito. Per diffondere anche fuori diocesi gli Atti delle sedute dell’Accademia riminese, il nuovo vescovo favorì la pubblicazione di un periodico, ”La Parola”, che è oggi una fonte documentaria insostituibile, giacchè contiene anche articoli di storia locale.
II recupero del tomismo era inteso da Battaglini come “rinnovamento di tutta la cultura”, e quindi di “tutt’intera la vita sociale dell’uomo”; riappropriarsi di questo patrimonio era l’unico modo per dare consistenza alla personalità culturale dei cattolici e per garantire un’autonoma capacita di intervento, uscendo dalla passività degli anni precedenti e mettendosi al passo con il progetto di Leone XIII di ricreare, privilegiando la presenza nel sociale, una situazione favorevole alla Chiesa: situazione compromessa dalla laicizzazione dello Stato.
Il risveglio cattolico e don Maccolini
Partito Battaglini (nel 1882 Leone XIII lo aveva nominato arcivescovo di Bologna e poco più tardi lo insignì della porpora cardinalizia), fu soprattutto don Ugo Maccolini, parroco di S. Maria in Corte (Servi) a dare concretezza alle impostazioni del vescovo filosofo. Fondatore della Pia Opera del Rosario che diffuse in Italia e all’estero, forte di un crescente prestigio per le sue spiccate capacita organizzative e finanziarie, Maccolini diede mano a tutta una serie di iniziative culturali, caritative e assistenziali. Fondò dapprima un Gabinetto di lettura, presieduto dal conte Francesco Gaetano Battaglini con lo scopo di mettere a disposizione dei cattolici riminesi libri e riviste. Riprese l’attività della Società di S. Vincenzo de’ Paoli, che era declinante. Diede mano alla costituzione di una Società operaia di mutuo soccorso, che raggiunse molto presto il numero di 400 soci: avvenimento notevole se si considera la durezza della condizione proletaria e le difficoltà di organizzazione dovute alla mancanza di grandi manifatture. Maccolini aiutò anche il decollo dell’Oratorio di S. Francesco che raccoglieva, per educarli, ragazzi di famiglie popolari. Era stato voluto dal canonico Francesco Venturini, fondatore del primo circolo della Gioventù cattolica.
I contrasti con la Giunta comunale
II risveglio cattolico entrò ben presto in rotta di collisione con la Giunta comunale presieduta sin dal 1893 dall’avvocato radicale e massone Carlo Alberto Masi. Sotto la sua direzione si manifestò con vigore l’anima anticlericale dei liberali progressisti e dei radicali: si sfornarono delibere che prevedevano l’erezione di un forno crematorio nel civico cimitero, l’eliminazione dei nomi dei santi dalle vie e dalle piazze, la completa laicizzazione delle Opere pie e si frapposero ostacoli di vario tipo all’introduzione dell’insegnamento della religione nelle scuole elementari della città. Si impedì poi a don Maccolini di utilizzare l’area e i materiali del demolito convento Cuor di Gesù (nell’attuale piazza Ferrari, all’angolo di corso Giovanni XXIII, dove ha sede ora la Cassa di Risparmio) per costruirvi un orfanotrofio ed una scuola di arti e mestieri gestita dai Salesiani. L’atteggiamento della giunta, che radicalizzava artificiosamente la lotta politica, e l’uccisione del deputato Luigi Ferrari Banditi propiziarono l’avvicinamento dei cattolici ai liberali moderati: nelle elezioni del 1895 fu eletto un consiglio comunale più favorevole ai cattolici; tre membri, anzi, erano dichiaratamente cattolici (il conte Francesco Gaetano Battaglini, il conte Giovanni Mattioli e Giovanni Tosi).
II nuovo consesso – lo presiedeva l’ingegner Giovanni Monti – aveva annullato le delibere contrarie alle convinzioni dei cattolici e aveva accolto il vescovo Domenico Fegatelli nelle sale del Municipio (la cosa non accadeva da 35 anni), in occasione delle festività natalizie. Inoltre, in seguito a referendum tra i padri di famiglia, due sacerdoti, don Agostino Morri e don Vittorio Berlini, cominciarono ad insegnare regolarmente religione nelle scuole elementari.
Nello stesso anno si era costituito il Comitato diocesano dell’Opera dei congressi: presidente l’avvocato Luigi Ferri, vicepresidente Giuseppe Tosi, segretario l’avvocato Pier Paolo Massani, assistente ecclesiastico don Ugo Maccolini.
1896: nasce il settimanale L’Ausa
Nasceva anche “L’Ausa”, il settimanale destinato a registrare per più di trent’anni (dal 1896 al 1926) le cronache della vita riminese. II momento più alto dell’Opera dei congressi coincise con l’Assemblea degli iscritti nel settembre 1897, presenti il conte Giovanni Grosoli, presidente regionale, e Nicolò Rezzara, del Comitato direttivo nazionale. Don Antonio Pallotta, in una lunga relazione iniziale, aveva documentato il crescendo di attivita e di realizzazioni: 53 comitati parrocchiali, 7 sezioni giovani, 6 società di mutuo soccorso, 3 oratori festivi, 2 casse rurali, 2 circoli cattolici, un’unione agricola ed una biblioteca circolante, 1.400 iscritti.
La repressione
Ad incrinare l’ottimismo e i piani di potenziamento organizzativo erano però venute le circolari del capo del governo, il Di Rudinì, che aveva invitato i prefetti a considerare come pericolose per l’ordine pubblico, al pari di quelle sovversive, le conferenze delle associazioni cattoliche, chiedendo anche che delle adunanze nelle chiese fosse preavvisata la Pubblica sicurezza.
II dispositivo repressivo delle circolari scattò a Coriano il 10 settembre: il parroco don Antonio Mondaini ricevette un atto di citazione in Pretura e più tardi fu condannato al pagamento di un’ingente multa. Alla fine di aprile e nei primi giorni di maggio del 1898 i braccianti del circondario riminese (i ”casanoli”), esasperati dall’aumento del prezzo del pane, assaltarono i forni e li svuotarono.
I tumulti erano scoppiati in tutto il paese e culminarono nelle giornate di Milano del 6-8 maggio 1898, quando il generale Bava-Beccaris ordinò alla truppa di cannoneggiare la folia. Furono imprigionati capi socialisti (Turati, Bissolati e Anna Kuliscioff) e con loro venne arrestato don Davide Albertario, leader dell’intransigentismo cattolico milanese. A Rimini il delegate governativo perquisì la sede dell’Opera dei congressi (si trovava nel Palazzo Martinelli, in via Serpieri) e ne decretò lo scioglimento. “L’Ausa” venne momentaneamente soppressa. La stessa sorte tocco ai comitati parrocchiali.
I primi legami con Romolo Murri
II colpo era durissimo e il movimento cattolico riminese tardo a riaversi. La classe dirigente liberale era riuscita nello scopo di creare una profonda spaccatura tra gli oppositori cattolici che si interrogavano ansiosamente sul che fare. Tra essi, un gruppo di giovanissimi preti, legati al prete marchigiano don Romolo Murri, esponente di coloro che amavano chiamarsi democratici cristiani, metteva in discussione la possibilità di incidere nel paese con sole motivazioni religiose, operando nel sociale, senza la ricerca di necessarie mediazioni culturali e politico partitiche.
Piergiorgio Grassi