Disomogeneità dei trattamenti assistenziali, insufficienza delle prestazioni di assistenza domiciliare, difficoltà di accesso alle sperimentazioni cliniche in corso e ai farmaci per uso compassionevole, eccesso di burocrazia e tempi lunghi per ottenere il riconoscimento di invalidità. Necessità di riconoscere piena validità ai piani terapeutici sottoscritti dagli specialisti e dar corso a una strategia più efficace sul terreno della ricerca di base e finalizzata. Sono queste le rivendicazioni rivolte al Ministero della Salute dai malati di Sla, e dai loro familiari, che sono state ribadite nel corso della giornata nazionale il 18 settembre, dedicata alla terribile sclerosi laterale amiotrofica, malattia che attualmente non lascia scampo. Però le condizioni della vita di queste sfortunate persone, possono essere notevolmente migliorate e rese degne di essere vissute. È quanto emerso anche durante il recente incontro tenutosi a Rimini tra il Presidente dell’Associazione Italiana Sla, Mario Melazzini che combatte da alcuni anni, egli stesso, con la malattia, e familiari ed amici di persone affette da questo male. Attualmente sono circa 5000 persone, con una mortalità, a 3/4 anni dalla diagnosi, dell’80%.
Alla sede dell’Ausl riminese, davanti ad una cinquantina di persone il dottor Melazzini, che è arrivato sulla sua attrezzatissima carrozzina, ha fatto il punto della situazione, ma soprattutto ha ascoltato pazienti e familiari presenti.
“Una malattia definita rara – ha detto il Presidente Aisla – per questo poco indagata, ma che è passata in breve da un rapporto di 6 ad 8 su 100 mila. Qualcosa sta peggiorando, o forse oggi le diagnosi più precise permettono di individuare con certezza e prima lo svilupparsi di questa patologia”.
Ha risposto alle tante domande, soprattutto alle ansie dei parenti presenti. Ha rassicurato spiegando che “non è detto che se c’è un caso in famiglia ne compaiano altri”. Ed ha portato anche tanti esempi concreti. “Ciò che conta è vivere non sopravvivere.– ha sottolineato – Confrontarsi, dare ai malati gli strumenti giusti, per poter scegliere. Un giovane di 41 anni voleva morire dopo aver passato tre anni con la Sla. È andato subito incontro all’ incapacità di deglutire e parlare. Poi in seguito ad una polmonite, costretto in ospedale ha dovuto decidere se essere tracheotomizzato. Ha accettato, da lì, anche lo strumento per parlare con gli occhi. Ora va in giro con la sua carrozzella per casa e si è trasformato”.
Il supporto ai familiari
Su dieci persone che parlano, altre dieci non ci riescono, ma possono farlo con gli ausili di strumenti computerizzati.
Spesso ciò che più conta è il supporto psicologico per malati e persone care, che vivono con loro questo calvario progressivo.
Ma che dire di chi si rifiuta di mangiare o ventilare e si lascia morire?
“Che piacerebbe anche a me starmene abbandonato, tutto il giorno sdraiato, limitando al minimo ogni dolore, invece che seduto con enormi fatiche e sforzi per parlare. Ma non lo faccio. Non bisogna arrendersi alla malattia. C’è un signore che lavora ancora in magazzino, gli è rimasto solo il movimento residuo di un ginocchio, ma lui imperterrito si è dotato di tutti gli strumenti meccanici possibili e continua ad andare a lavorare. Ogni giorno, a registrare i carichi in arrivo e uscita. L’ha voluto fare con tutto se stesso e continua a farcela e a sperare”.
La possibilità farmacologica
Tra le richieste dei parenti presenti, anche quella di poter inserire i propri famigliari in gruppi di studio, dove vengono somministrati farmaci sperimentali. Oggi ce ne sono diversi avviati in tutta Italia, sia con molecole che con cellule staminali neurali. Su queste ultime lavora un laboratorio di Terni che però non ha ancora la certificazione. Stanno preparando le cellule, ma ancora non si sa bene dove trapiantarle. Per questo occorre che da più parti si contribuisca alla ricerca e la giornata Nazionale per la Sla serve anche a questo scopo. Raccogliere fondi da destinare allo studio di soluzioni di vita.
Il malato va preso in cura senza etichette.
Molti malati di Sla si sentono murati vivi dentro casa costretti all’immobilità e al silenzio. Si isolano dal mondo, pensano al suicidio assistito, magari prendono anche accordi. Ma alla fine sarebbe solo una scelta di egoismo e non è quello il messaggio che vogliono lasciare a chi amano. Ma bisogna pensare a sollevarli da questi pensieri e occorre una costante assistenza domiciliare.
A Rimini, ci sono poche garanzie di presa in carica del malato da parte dell’Ausl, non si è ancora concretizzato un percorso di continuità, anche se c’è un gruppo di medici riminesi che si sta preoccupando di dare risposte concrete. L’Ausl riminese è sotto organico, la Direzione Sanitaria sembra abbia autorizzato un medico che parzialmente si dedicherà alle visite a domicilio, come presa in carico del malato di Sla. Come ha spiegato Silvia Bartolini che si occupa dell’Aisla riminese.
Qualcosa si sta muovendo. A livello Ministeriale è stata costituita una commissione per stilare un percorso di continuità tra diagnosi cura e assistenza, ora questo decreto legge 275 del 27 settembre 2007, va applicato in tutte le Regioni. L’Emilia Romagna dal canto suo, ha emesso una circolare che sancisce che ‘il malato che ha diritto, con le caratteristiche del quadro clinico, deve vedere soddisfatto il suo bisogno di apparecchiature…’.
Inoltre esiste già un tavolo tecnico che si occupa di criticità di assistenza ai malati.
“A Bologna e Modena e Reggio Emilia ci sono centri validi – conferma Melazzini –ma se la diagnosi c’è occorre una struttura multidisciplinare dove lavorano insieme neurologo, pneumologo, gastroenterologo, con unità riabilitative, per dare un aiuto sul posto a persone che hanno difficoltà estreme di movimento. Di queste strutture ce ne sono pochissime. A Milano, Pisa, Torino e poche altre. Ma ci auguriamo di poter avere presto come all’Ospedale Niguarda di Milano una struttura a 24 posti, dove la persona può essere presa in carico nella sua interezza, dalla diagnosi, all’accompagnamento finale”
Cinzia Sartini