Agosto 2008 sarà ricordato come il mese delle Olimpiadi di Pechino ma anche, dalle nostre parti, come “quella volta che dei tizi avevano proposto di fare le Olimpiadi 2020 in Romagna”.
La proposta, seriamente presentata da un gruppo di imprenditori, è ovviamente destinata a cadere nel vuoto. La filosofia di fondo di per sé è tutt’altro che malvagia: le strutture ricettive, quelle ce n’é già a sufficienza, e visto che le infrastrutture vanno comunque rinnovate, perché non approfittarne per un progetto più ambizioso? A tradire però i promotori sono i voli pindarici, a partire dal dirottamento dei voli di Rimini e Forlì su un ipotetico Aeroporto Intercontinentale di Pisignano. Ma anche il villaggio olimpico su un isolotto in mare e uno stadio olimpico da 90mila posti a Rimini. Se ci vogliono, a stare stretti, cinque anni per progettarne e costruirne uno da 15mila, forse è meglio cambiare lo slogan in “Romagna 20 e 20 quaranta”.
(“Lo stadio è forse la condizione più semplice – recita ottimisticamente il sito www.romagna2020.com – a Rimini non si discute di realizzare un nuovo stadio… si discute, ha voglia se si discute”).
Insomma, perché esporsi al rischio di un fallimento colossale quando ormai ci siamo abituati a convivere con i piccoli e grandi intoppi di casa nostra, si vedano lo stesso stadio ma anche il Trasporto Rapido Costiero e la nuova Questura?
Meglio, come appunto ha fatto Rimini, gemellarsi con Soci, rampante centro russo che ospiterà le olimpiadi invernali del 2014.
“Un grande territorio che pensa in grande”, recita lo slogan della campagna per Romagna 2020. E per il logo una proposta l’avrei: cinque piade al posto dei cinque cerchi. Ma forse è meglio lasciar pensare in grande gli altri. Poi noi, in caso, ci aggreghiamo.
Maurizio Ceccarini