O protagonisti o nessuno, aveva promesso la ventinovesima edizione del Meeting di Comunione e liberazione. E la promessa si è concretizzata nei volti, nelle parole e nelle storie di quelle, tante, persone comuni la cui vita è cambiata dopo l’incontro con Cristo: la donna ugandese malata di Aids che ritrova la speranza; l’angelo del Burundi che salva migliaia di bambini orfani delle etnie hutu e tutsi; Cleuza e Marcos, del Movimento dei lavoratori senza terra del Brasile, che ritrovano la forza di aiutare gli altri; i carcerati che accompagnano i visitatori nella mostra dedicata, appunto, alle carceri. “Persone che non hanno trovato nella loro energia interiore la forza per affrontare la vita, ma che hanno trovato nell’incontro con Qualcuno o con Qualcosa la possibilità di riscoprire il famoso volto unico e irripetibile di cui in questi giorni tanto abbiamo detto”. Sono le parole della presidente della kermesse di Cl, Emilia Guarnieri Smurro, che ha così spiegato il significato del titolo scelto per l’edizione 2008. “Non è la forza della volontà che manda avanti nella vita, è la forza dell’incontro con Qualcuno che ti guarda e che ti dice: Possiamo andare”.
Uomini senza patria
Protagonisti capaci di imprimere una svolta positiva nel mondo ma anche “uomini senza patria”: è intitolato così, infatti, il libro del fondatore di Cl, presentato a chiusura dell’evento. E un motivo c’è. “L’incontro con Cristo – aveva detto Giovanni Paolo II nell’82, ricevendo un gruppo di studenti di Comunione e liberazione – rende inassimilabili alla società. Siete uomini senza patria. Senza patria perché siete inassimilabili a questa società”. “Siamo senza patria perché riconosciamo che Cristo è la consistenza della nostra persona”, ha affermato a Rimini il presidente della Compagnia delle Opere, Bernhard Scholz, commentando l’opera del fondatore di Cl.
Il sangue dell’agnello
Dai cristiani “senza patria” a quelli perseguitati in patria. Ad essi è dedicata un’altra pubblicazione presentata al Meeting. , ad opera di Rodolfo Casadei, inviato speciale del settimanale Tempi raccoglie diverse testimonianze: da quelle dei profughi cristiani iracheni rifugiati in Libano, Giordania, Siria, allo stesso Iraq settentrionale, nella parte curda, fino alla difficile situazione in Turchia.
“In Iraq stanno soffrendo tutti: musulmani, cristiani e altre religioni – racconta Casadei -. Ma mentre la maggior parte della popolazione soffre a causa della guerra, nei confronti dei cristiani è all’opera una vera e propria persecuzione religiosa. Secondo le Nazioni Unite, ci sono 4 milioni e 400 mila profughi e sfollati interni iracheni; di questi, 400 mila sono cristiani. In Iraq un iracheno su 7 è profugo, mentre un cristiano su 2 è profugo o sfollato2.
Echi dall’India
Proprio il difficile rapporto tra le religioni con un’attenzione particolare agli echi anticristiani che hanno risuonato di recente in India per mano delle violenze degli estremisti hindù, è stato uno dei temi più discussi nei giorni della kermesse. Eppure, in un momento in cui la situazione internazionale è confusa e carica di tensioni, grazie agli interventi di diverse personalità della Chiesa, dal cardinale Bagnasco al cardinale Tauran a monsignor Mamberti, fino ai vescovi Pezzi, Fisichella, Negri e Hinder (vicario apostolico d’Arabia Saudita), il Meeting è diventato il luogo di un dialogo per la pace, i diritti dell’uomo e la convivenza tra i popoli.
Per mons. Rino Fisichella, Rettore dell’Università Lateranense e presidente della Pontificia Accademia per la vita, le morti e le persecuzioni di questi giorni in India dicono che “i martiri ci sono ancora oggi come ai primi tempi della chiesa” e queste violenze sono “frutto di un fanatismo che viene censurato dai media solo perché siamo cristiani”.
Da qui la necessità, per la Chiesa, di recuperare un ruolo pubblico nella società, che non è “ingerenza” ma capacità di dire “parole di vita e speranza“. “Noi non stiamo nelle sacrestie, siamo nel mondo. Nessuno potrà chiuderci la bocca”, ha rivendicato mons. Fisichella.
A mettere in guardia dal rischi di “cristianofobia” anche mons. Dominique Mamberti segretario per i rapporti con gli Stati. Il prelato ha ricordato cha a parte le violenze in India, solo nel 2007 i missionari uccisi nel mondo sono stati 21 e che metà dei cristiani in Iraq, che nel 2003 erano un milione, sono fuggiti in Siria e Giordania. “La Santa Sede – queste le sue parole – non si stanca di sottolineare che il fondamento della libertà religiosa si trova nella pari dignità di tutte le persone umane e di conseguenza si deve combattere con efficacia tanto la cristianofobia che l’islamofobia e l’antisemitismo2. Il tema della tolleranza religiosa è presente anche nella risoluzione, presentata dal vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro e approvata il dicembre scorso dal Parlamento europeo a larghissima maggioranza, “sui gravi episodi che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose“.
Un appello per la pace
Al Meeting si è alzato anche da un gruppo di parlamentari un ”Appello per la fine della furia anticristiana in India“. A scriverlo l’on. Renato Farina. “Qualunque uomo che ami la pace e la libertà – dice il testo – deve unirsi in questo momento all’appello del Papa per la fine della furia anticristiana che sta attraversando la regione di Orissa in India”. Per i firmatari del documento “non ci possono essere alibi per chi sobilla o tollera manifestazioni di fanatismo con omicidi e devastazioni di chiese“ ed esprimono “la condanna più ferma“ che “tocca anche l’omicidio del leader religioso indù”, una scusa “per una vera e propria pulizia etnica a base religiosa”. L’appello si conclude con una preghiera al premier Monmohan Sing “perché il suo grande Paese possa adoperare tutte le sue risorse per bloccare questa inaudita violenza che, se non adeguatamente combattuta, non potrà che minare l’immagine positiva dell’India e le sue relazioni con il nostro Paese”.
Protagonisti positivi
Dall’intolleranza religiosa all’emergenza pace il passo è breve. E ancora una volta Chiesa e politica si trovano d’accordo. Se il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha posto l’accento sulla necessità di una nuova eleborazione del concetto di pace, non più intesa come “assenza di guerra“ ma come “garanzia di accesso di tutti al godimento dei diritti fondamentali della persona“, il Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ha precisato come le stesse religioni possono essere “fattori di pace”, intesa come “riflesso dell’armonia divina”, sebbene il paradosso che si vive oggi è che “le religioni fanno paura per le azioni di alcuni credenti che hanno tradito la propria fede”. Sul cammino per la riconciliazione tra i popoli, ha aggiunto, “Tutte le religioni invitano i loro seguaci alla compassione: un credente non può essere indifferente di fronte all’uomo che soffre o che è vittima di chi è più forte di lui”. In questo contesto la missione dei credenti è quella di “essere protagonisti di una vera e concreta ’pedagogia della pace’, ovvero: primato della persona umana sullo Stato e sull’organizzazione economica della società; speciale attenzione alla giustizia; rifiuto della guerra quale mezzo per risolvere le controversie tra Stati; primato del diritto sulla violenza”.
Un messaggio di pace è arrivato anche da Amre Moussa, segretario generale della Lega degli Stati Arabi, che riunisce 22 Paesi in rappresentanza di 300 miloni di persone. È stato lui a richiamare il dovere di tutti a “non cadere prigionieri delle frange estremiste e dello scontro di civiltà“ e a parlare dell’importanza di un’etica dello sviluppo in nome della pari dignità delle persone, perché aiutare il Terzo Mondo a riemergere vuol dire anche rifiutare le disparità e le ingiustizie che dividono i diversi popoli.
Il titolo per il 2009
Tra tanti protagonisti negativi, dunque, c’è sempre qualcuno che può fare la differenza. Può riassumersi così la riflessione più importante che il popolo del Meeting – con una presenza stimata di oltre 700 mila persone, 4.000 i volontari – porta a casa dalla ventinovesima edizione. Ci sono tanti uomini potenti – sintetizza Emilia Guarnieri Smurro -. Anche in queste situazioni dure, di guerra e di violenza, in fondo quello che può fare la differenza è che qualcuno con un gesto di libertà abbia il coraggio di guardare la realtà e di provare ad essere buono, non inseguendo i sistemi perfetti. Provare ad essere buono vuol dire guardare al desiderio che lui ha – perchè anche gli uomini potenti hanno il desiderio di bene, di pace, di verità – guardare al desiderio che lui ha e che gli altri uomini hanno. Questo può, non dico potrebbe, cambiare le cose“.
Come ogni anno, è stato annunciato dalla Smurro anche il titolo della prossima edizione che si svolgerà dal 23 al 29 agosto 2009: “La conoscenza è sempre un avvenimento“.
Alessandra Leardini