“Abbagliati dal Suo volto. Lettera ai Presbiteri sulla contemplazione”. Questo il titolo di un’ampia riflessione che il vescovo Francesco ha voluto condividere con i suoi sacerdoti in preparazione all’Assemblea diocesana prevista per il 12 ottobre, ma che avrà come momento di preparazione l’incontro di Presbiterio di mercoledì 17 settembre.
La lettera inizia con il “piacere di risfogliare mentalmente pagine e fotogrammi dal folto album del mio-nostro, ormai quasi compiuto, primo anno riminese”. Ne offriamo un’ampia sintesi.
1. Ripenso, rivivo, ringrazio. Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo (2Cor 1,3) che nei mesi scorsi ha fatto a noi infinitamente di più di quanto da parte mia – ma, sono sicuro, anche da parte vostra – si poteva immaginare o pensare. (cfr Ef 3,20) Ci ha donato di sperimentare ancora una volta la sua onnipotenza grandissima, somministrataci in quote direttamente proporzionali alla nostra grandissima impotenza. Come Pastore dolce e vigoroso, ci ha allungato il suo braccio robusto e la sua tenera mano nei passaggi più scivolosi e ci ha fatto riposare dopo i tratti più ripidi e scoscesi del nostro impervio cammino. Ci ha rincuorato nell’ora della paura e ha ridato fiato e speranza a chi tra di noi sentiva di non farcela più. Quale Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, ci ha consolato in ogni nostra tribolazione (2Cor 1,3) come quando abbiamo pianto per la morte di don Oreste, ma non ha esitato a disturbare la nostra tranquillità con il grido dei poveri, ogni volta che abbiamo rischiato di “andare in automatico”. Ci ha donato la freschezza di ben quattro giovani preti (don Massimiliano, don Raffaele, don Alberto, Don Marcello), di un diacono candidato al presbiterato (Stefano) e di due diaconi permanenti (Elio, Michele). Come Padre che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi (Rm 8,32) ci ha anche edificato con l’umile, serena docilità di alcuni confratelli nell’accettare le prove della salute o della vecchiaia, e ci ha pungolato con la pronta obbedienza di diversi di voi che hanno vissuto con sofferta, ma sempre generosa disponibilità la nuova missione che ho ritenuto coram Domino di dover loro affidare. Il Dio che usa misericordia (Rm 9,16) ha regalato poi non solo un bellissimo seminario, nuovo di zecca, ma anche un buon gruppetto di seminaristi a cui stanno per aggiungersi diversi aspiranti, pronti ad incominciare l’anno propedeutico nel prossimo settembre.
Il “giro-preti”
E non è finita qui… quanti altri doni ancora ha fatto il Signore al nostro Presbiterio! come non ricordare, benedire, rendere grazie?! Perciò ringrazio il mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera (Fil 1,3). In particolare lo ringrazio per l’intensa gioia che ho provato nel venirvi a visitare uno ad uno nelle vostre canoniche e per aver trovato da parte di tutti e di ciascuno un’accoglienza che non finisce di emozionarmi. Quel primo “giro dei preti” mi ha stampato nel cuore volti, nomi, storie incancellabili. Ve lo debbo proprio dire, ma per non mettervi a disagio, continuo a farmi prestare le parole da s. Paolo: Mi rallegro perché posso contare totalmente su di voi (2Cor 7,16). Quelle visite mi hanno permesso di allacciare un canale di comunicazione con ognuno di voi, una comunicazione schietta e cordiale, dall’inconfondibile timbro “romagnolo”, che, con la grazia dello Spirito Santo, diventerà sempre più fluida, più intensa e profonda. Diventerà semplicemente – lo possiamo, lo dobbiamo sperare! – sempre più umana e cristiana, e fiorirà nella più fraterna comunione sacerdotale.
Verso l’Assemblea
In questi giorni il mio pensiero corre spesso in avanti, verso l’Assemblea Diocesana del 12 ottobre.Fin da quando ne abbiamo cominciato a parlare, ho potuto registrare in mezzo a voi attenzione sincera, unita a vivo interesse e accompagnata da una seria, responsabile consapevolezza. Non possiamo sciupare questo dono, che tutti vogliamo piuttosto accogliere come un frammento preziosissimo di presenza reale dello Spirito Santo nella nostra Chiesa. Non possiamo e non dobbiamo bruciare un evento così rilevante con attese esorbitanti, con aspettative incontentabili, ma neanche con presenze puramente formali né tantomeno con schizzinose latitanze.
Come prepararci, noi presbiteri?
Mi domando perciò: cosa possiamo fare noi tutti, come membri delPresbiterio, , per prepararci a questa Assemblea, dedicata alla contemplazione del volto del Signore? (…) Ne parleremo più diffusamente nella riunione apposita del Presbiterio il prossimo mercoledì 17 settembre in Seminario. Ma una prima risposta me la dovete consentire: c’è senz’altro una cosa che solo noi possiamo fare, nel senso che nessuno la può fare al posto nostro: riaprire la questione della nostra vita spirituale. In altre parole, riassumerci l’impegno di controllare il peso specifico della dimensione contemplativa nel nostro ministero.
L’invito del Vescovo è nell’anno paolino quello di mettersi alla scuola di San Paolo, maestro di preghiera. E qui sta il cuore della lettera, impossibile da proporre in sintesi per l’ampiezza e la profondità del pensiero. Sarà possibile per chi lo desidera acquistare il libretto preparato da il Ponte per l’occasione e disponibile in libreria.
I temi che mons. Lambiasi tratta sono:
– La preghiera non è un optional…“è come l’aria, come l’acqua o il pane, di cui non si può mai fare a meno, pena la morte. Prima e più che un dovere, la preghiera è un bisogno del cuore, una necessità primaria e ineludibile.”
… è incarnata
“La preghiera di Paolo è esperienza vitale, non si colloca ai margini, ma nel cuore della vita”.
… è trinitaria
“Rendere grazie al Padre “nel nome del Signore Gesù” non vuol dire pregare invocando il nome di Gesù con le labbra, ma significa pregare “in Gesù, come figli amati e chiamati nell’unico Amato. Lo Spirito poi viene in aiuto alla nostra debolezza suggerendoci che cosa sia conveniente domandare, secondo i disegni di Dio”.
… è eucaristica
“San Paolo ringrazia o meglio rende grazie e invita i cristiani di Tessalonica a fare altrettanto: In ogni cosa rendete grazie (eucharisteite)”.
… è umile e fiduciosa
“È la preghiera che nasce dentro la prova, allorché si avverte la sofferenza, il tormento e l’angoscia”.
… è contemplativa
“Certo, noi ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa (1Cor 13,12),ma non siamo ciechi, perché siamo stati illuminati nel battesimo e possiamo contemplare, anche se non ancora “faccia a faccia”, il volto del Padre riflesso nel volto del Figlio suo risorto”.
… è mistica
“La contemplazione non è un fine della vita cristiana, ma un mezzo per conseguire il carisma più grande, la carità. (1Cor 13,13). Finché siamo in pellegrinaggio verso la patria, ciò che più conta è tendere all’unione trasformante, alla piena comunione mistica con il Signore, in modo da poter dire con Paolo: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. (Gal 2,20)”.
Conclusa il “check-up sulla preghiera con il test di san Paolo” il Vescovo si mette in gioco e con semplicità racconta la sua esperienza personale in fatto di preghiera.
“Francesco,mi ami tu?”
“Il servizio apostolico – lo diciamo spesso – è amoris officium, un compito d’amore. Questo significa che essere apostoli è vivere una vita, non tanto esercitare un ruolo o avere un lavoro. Essere pastori non è lo stesso che fare i professionisti della pastorale. Debbo ricordarmi continuamente che il primo motivo per cui Gesù ha scelto i Dodici non è stato quello di mandarli a predicare, ma perché stessero con lui (Mc 3,14s). La condizione imprescindibile posta da Gesù a Simone di Giovanni per affidargli le sue pecore non è stata se Pietro era il più colto tra gli apostoli o il più capace di coordinare gruppi di studio o di organizzare iniziative pastorali, ma: Mi ami tu? (Gv 21,15ss).
Come vostro Vescovo, non posso mai dimenticare che il Signore non pretende da me delle prestazioni sempre più ardue né il mio primato in classifiche sempre più selettive; vuole semplicemente la mia umile, gratuita fedeltà; insomma ha sete del mio amore. Questo da una parte mi inquieta, anche se non mi avvilisce, e dall’altra mi dà pace.
Cominciare la giornata pregando
Inoltre mi fa bene coltivare la coscienza che io, voi, i nostri fedeli (…) siamo tutti chiamati all’intima unione con Dio (CCC 775; 2014). Se siamo “chiamati” è perché siamo amati, e se siamo amati, non possiamo fare gli indifferenti: dobbiamo rispondere alla chiamata. La preghiera è la prima risposta. Se non prego, prima o poi mi riduco allo stadio terminale. Perciò devo difendere con le unghie e con i denti la mia ora di adorazione al mattino. L’esperienza di anni mi fa dare ragione a D. Bonhoeffer:
“Quando si è riusciti a dare una unità alla propria giornata, questa acquista ordine e disciplina. E’ nella preghiera del mattino che bisogna cercare questa unità, e così potrà essere trovata nel lavoro. La preghiera del mattino decide della giornata. Il tempo sprecato, le tentazioni alle quali soccombiamo, la pigrizia e la mancanza di coraggio nel lavoro, il disordine e l’indisciplina dei nostri pensieri e delle nostre relazioni con gli altri, hanno molto spesso la loro origine nel fatto che si è negligenti nella preghiera del mattino”.
Io “sono pregato”
Quando entro in adorazione, mi aiuta la certezza che la preghiera è un dono, prima che un dovere; è una grazia da accogliere, più che uno sforzo spossante da impormi. Più che una mia attività, è una azione dello Spirito Santo in me; più che un mio slanciarmi verso il Padre, è un lasciarmi prendere tra le sue braccia. (…) Questo pensiero mi aiuta ad entrare nella preghiera con mitezza, senza dover stringere i denti e spremere i muscoli.
Preghiera, questione di cuore
Nel confronto con San Paolo – scrive il Vescovo – “mi rendo conto che per me la preghiera è ancora troppo cerebrale e troppo poco affettiva. Me lo diceva il padre spirituale del seminario: la contemplazione non è questione di scatola cranica, è questione di cuore. Per questo mi aiuta a rimanere in quota la “preghiera del cuore”: prendere la corona e, davanti al SS.mo nella cappellina dell’episcopio, ripetere alla sazietà qualche breve litania, tipo: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”, “Al mattino, o Dio, fammi conoscere il tuo amore”, o recitare qualche giaculatoria di quelle imparate da bambino, come per es.: “Dolce cuore del mio Gesù, fa’ che io t’ami sempre più”. Questa preghiera del cuore sento che ha una ricaduta marcata nel campo degli affetti e delle relazioni. Nella Summa Theologica san Tommaso ha lasciato scritto che il Padre Nostro “dà forma a tutta la nostra vita affettiva”. (II-II, q.83, a.8) È vero: se pregare è lasciarsi amare, se contemplare è non stancarsi di chiedere al Signore il dono della contemplatio ad amorem (s. Ignazio), allora la mia castità non si ridurrà ad una somma algebrica di esercizi più o meno riusciti di autocontrollo. E ne risulterà chiarificato e pacificato anche il mio rapporto con la comunità. Non sarà un rapporto morboso di dipendenza reciproca. Nella preghiera lo Spirito d’amore mi farà recuperare libertà e serena fortezza, perché mi ricorderà ogni volta che ce ne sarà bisogno – e sarà spesso! – che il ministero ordinato è centrale nella comunità, ma il centro della comunità non è il ministro ordinato. Perché se la comunità è la sposa del Signore, io non sono lo sposo, ma l’amico dello Sposo, un amico che coltiva una sola gioia, che Lui cresca e io diminuisca. (…)
La lettera del Vescovo si conclude con la citazione di un brano del card. Ratzinger sul dono del discernimento e sull’importanza della preghiera intesa come ascolto della voce di Dio, soprattutto attraverso la lectio divina:
“Questo atto di ascolto esige una vera e propria attenzione del cuore, una disponibilità non solo intellettuale, ma integrale di tutto l’uomo. La lectio divina deve essere quotidiana, deve essere il nostro nutrimento quotidiano, perché solo così possiamo imparare chi è Dio, chi siamo noi, che cosa significa la nostra vita in questo mondo”.