Ci siamo. Ancora poche ore e l’edizione 2008 dei Giochi olimpici prenderà ufficialmente il via. Un’edizione ricca di polemiche, di tentati sabotaggi, di rivendicazioni, di paure per la terra che trema, di allarme per il livello dello smog. Un’olimpiade che per la prima volta da anni a questa parte, non vedrà a Casa Italia nessun riminese come ospite. Almeno negli sport tradizionali, perché in quelli dimostrativi qualche “biancorosso” ci sarà: Xu Hui Hui, la campionessa mondiale di Wushu. E se poi vogliamo mettere da parte per una volta tanto il campanilismo, di atleti di casa ce ne sarebbero anche altri. Magari non indosseranno il tricolore, ma i sammarinesi li sentiamo un po’ come “nostri”. Sammarinesi che potrebbero conquistare anche la loro prima storica medaglia d’oro con Daniela Del Din nel tiro a volo. Ma questa è un’altra storia. La nostra, quella tutta vestita di biancorosso, non può che essere una storia di dolci ricordi e di tremende delusioni. Perché Rimini e le Olimpiadi hanno sempre avuto un rapporto di odio e amore. E allora non ci resta che sfogliare l’album dei ricordi (in rigoroso ordine alfabetico) e ripercorrere la storia olimpica dei nostri atleti. A partire dal più grande in assoluto per il quale l’ordine alfabetico viene messo da parte: Romeo Neri. Nato a Rimini il 26 marzo del 1903, ultimo di cinque figli, Neri è stato lo sportivo riminese più famoso al mondo. Ginnasta sublime partecipò ai Giochi olimpici di Los Angeles del 1932 conquistando tre medaglie d’oro: nel concorso generale individuale e a squadre, oltre alle parallele che erano il suo punto forte. Passano quattro anni, le Olimpiadi tornano in Europa, a Berlino, e Neri è ancora tra i favoriti ma proprio pochi giorni prima di partire si procura uno strappo al bicipide del braccio destro che lo mette ko. Altro medagliato a vestirsi con il metallo più prezioso è Maurizio “Icio” Stecca che (guarda un po’ tu il caso) a Los Angeles 1984 vince l’oro nel pugilato, pesi Gallo. Il torneo è durissimo, con cinque incontri nel giro di appena 8 giorni, ma Maurizio batte tutti i suoi avversari fino alla finalissima quando nell’altro angolo incrocia i guantoni con il 17enne messicano Hector Lopez: “Icio” trionfa con un 4-1 regalando così a Rimini la quarta medaglia d’oro della sua storia olimpica. Sempre Los Angeles 1984, per la città arriva un altro podio. Questa volta a conquistarlo è lo schermidore Roberto Manzi che nella spada a squadre si mette al collo una medaglia di bronzo. A questo punto per completare gli scalini olimpici mancherebbe solo un argento. Che arriva puntuale ad Atene 2004, a indossarlo è Alex Righetti che con la Nazionale di pallacanestro perde (84-69) contro l’Argentina di Manu Ginobili e Hugo Sconochini. Se questi sono i medagliati olimpici, ce ne sono tanti altri che hanno preso parte ai Giochi ma non sono mai arrivati sul podio. Partiamo da Walter Boninsegni. Nato a Mestre il 27 luglio del 1902 (è morto il 3 gennaio del 1991) ma riminese d’adozione, Boninsegni partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 nel tiro a segno. L’Italia dominò la gara di pistola: primo posto, terzo posto e quarto posto. Purtroppo la medaglia di legno la “vinse” proprio Boninsegni. A tradirlo, dopo aver condotto in testa tutta la gara, fu una prestazione poco brillante nel barrage conclusivo. Passata la delusione il campione riminese tornò ad allenarsi sodo e quattro anni più tardi, ai Giochi di Berlino, tornò a indossare la casacca Azzurra, ma questa volta non andò oltre il sesto posto. Dalla B di Boninsegni alla C di Nicola Ciotti. Nato a Rimini il 5 ottobre del 1976, Nicola si è subito dato all’atletica e in modo particolare al salto in alto. Proprio in questa disciplina riesce a conquistare la convocazione per Atlanta 2004 dove termina al 13° posto, primo tra gli esclusi alla finalissima. Con Marco Giungi si rimane in orbita atletica. Nato a Espoo, in Finlandia, il 30 ottobre del 1974, Marco fin dall’età di quattro anni è vissuto a Riccione dove ha iniziato a coltivare la passione per la marcia. Nel 2000, alla vigilia delle Olimpiadi di Sydney, vince sette titoli italiani ma la convocazione non arriva. Cosa che invece accade quattro anni dopo per Atene 2004 dove viene convocato per i 20 chilometri di marcia dove, però, non riesce a dare il meglio di sé. Dalla strada alla palestra. Protagonista è Patrizia Luconi. Nata a Rimini il 24 ottobre del 1970, figlia d’arte, inizia giovanissima a volare su tappeti, parallele e quanto di altro. Gli osservatori nazionali prevedono per lei un luminoso futuro ma nell’autunno del 1984, all’età di 14 anni, in un incontro a Teramo, si rompe un ginocchio: saltano menisco, legamenti crociati e collaterali. Patrizia ritorna e nel 1988 prende parte alle olimpiadi di Seul dove fa vedere tutta la sua classe, ma la rottura del tendine d’achille, avvenuta all’inizio dell’anno le impedisce di poter primeggiare. Sempre dalla ginnastica arriva un’altra storia di gioia ma anche di lacrime. Lacrime perché Gabriella Marchi non c’è più, strappata alla vita a soli 33 anni da un male incurabile. La sua era una classe cristallina tanto che ai Giochi Olimpici di Monaco del 1972, a soli 16 anni, dimostra di essere la ginnasta italiana più forte del Paese concludendo al 48° posto e ottava alle parallele con un 9.40 che fino a quel punto nessuna atleta aveva mai raggiunto. Arriviamo così alla M di Carlton Myers che nel 2000, a Sydney ha l’onere e l’onore di portare la bandiera Italiana durante la sfilata di presentazione. Una soddisfazione unica che ripagò Carlton escluso dalle semifinali dopo il ko con l’Australia (65-62) nei quarti. Si torna a parlare di ginnastica e si torna a parlare di Neri. Ma questa volta non di Romeo ma di suoi figlio Romano Neri. A 20 anni dalla fantastica tripletta del papà, Romano partecipa ai Giochi di Helsinki del 1952 dove non riesce a dimostrare tutto il suo valore. Alla lettera P troviamo un atleta al quale il mondo sportivo riminese, soprattutto quello del batti e corri, deve tanto, se non tutto. Perché fu Eugenio Pagnini a portare il gioco del baseball per la prima volta a Rimini e a insegnarlo ai suoi alunni del “Giulio Cesare”. Ma Pagnini fu anche un grandissimo esponente del pentathlon moderno e partecipò a ben due olimpiadi, entrambe sfortunatissime. I primi Giochi furono quelli di Amsterdam datati 1928. L’allora 23enne parte a razzo e conquista il primo posto assoluto grazie alle ottime prove sia nella podistica sia nel nuoto. Mancava solo la prova ippica e poi la medaglia d’oro sarebbe stata sua ma il sorteggio gli “regala” un cavallo perdente, Pagnini chiude la prova al 29° posto scivolando in classifica fino all’undicesimo. La delusione è tanta ma il 23enne riparte con slancio mettendo nel mirino le Olimpiadi di Los Angels di quattro anni dopo. Ma a volte il destino è beffardo, l’atleta riminese è ancora tra i primi in classifica quando il sorteggio gli rifila un altro cavallo di bassa lega, alla fine sarà 12°. Si cambia disciplina, si torna sul ring. Lo si fa grazie a Pierangelo Pira, il primo pugile del dopoguerra a partecipare ai Giochi olimpici. Il boxer vola oltreoceano, a Montreal dove nel 1976, lui peso Welter, si trova costretto a combattere nella categoria superiore e non riesce così a dimostrare la sua classe. Stessa sorte, ma per tutt’altro motivo, tocca a uno dei pugili più amati in Romagna: Edelweiss Rodriguez. Pizna, come era soprannominato, partecipa alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. Il viaggio è lunghissimo, la truppa azzurra s’imbarca a Napoli sul “Biancamano” per poi raggiungere New York. Da lì tutti in treno fino a Los angeles dove dopo poche ore Rodriguez è già sul quadrato contro il filippino Gray. Si va avanti fino alla sfida con l’ungherese Enekes, i due sono i super favoriti per l’oro finale. Il pugile riminese manda al tappeto il magiaro ma alla fine perde ai punti tra le polemiche e la rabbia. Un capitolo a parte spetta ai giocatori di baseball perché nelle varie edizioni delle olimpiadi sono stati diversi i riminesi (di nascita o d’adozione) presenti: a partire da super Mario Chiarini, passando per Matteo Baldacci, Andrea Evangelisti, Riccardo De Santis, Beppe Carelli, Roberto Cabalisti, Elio Gambuti e Paolo Ceccaroli. Purtroppo il batti e corri italico non ha mai avuto fortuna. Ma l’importante, alle Olimpiaidi, non è vincere quanto partecipare. Come diceva il grande barone Pierre De Coubertain.
Francesco Barone