La paura è passata, adesso è tempo di festeggiare. Magari stappando “quella bottiglia tenuta in fresco da anni”, ci scherza su il sindaco Giorgio Pruccoli. Le bollicine sono ancora frizzanti, sembra assicurare il primo cittadino. La Corte d’Appello di Bologna ha dato ragione al Comune e fa rimettere nel fodero di Elisabetta Celli la causa milionaria che da 30 anni teneva con il fiato sospeso l’Amministrazione. “Giusto vietare le villette”, dunque, la guerra dei 30 anni è vinta. Secondo la sentenza (ultimo grado di giudizio prima della Cassazione, che però s’esprime solo sulla forma del processo), il Comune aveva ragione nel far decadere – per tutelare l’ambiente e il paesaggio – la costruzione di un poker d’immobili compresi quelli di Elisabetta Celli, che – unica del lotto – aveva poi chiesto (e ottenuto) dal Tar il risarcimento di 1,3 milioni di euro per la mancata edificazione.
“La sentenza accoglie le eccezioni avanzate dal Comune. – commenta raggiante Pruccoli – Ci sono voluti 33 anni prima di chiudere la partita ma alla fine giustizia è fatta”.
La vicenda prende il via in quel tratto di via Brocchi che doveva ospitare quattro villette su un’area di 66mila metri quadri (venduta poi nel 1996 all’Immobiliare Severino Semprini di Villa Verucchio), ma l’Amministrazione cancellò la concessione. La Celli ebbe l’idea di ricorrere al Tar, che condannò Verucchio a pagare 3 miliardi di lire. Tre i sindaci convolti nella storia: Vinicio Fantini cancellò le (300) concessioni edilizie, Sergio Giovagnoli che estese il vincolo paesaggistico e Pruccoli che ha portato in fondo la battaglia. Per arrivare a questo risultato, ci sono volute una decina di sentenze. E nel mezzo ci sono i tre pignoramenti intentati dalla Celli per rifarsi delle mancate concessioni, nessuno dei quali è andato a segno: il Comune si è barricato.
“La sentenza è una buona notizia per i verucchiesi, – rilancia il primo cittadino – ma anche per i comuni impegnati nel rispetto e nella salvaguardia dell’ambiente. Ringrazio per il sostegno Italia Nostra e Legambiente”.
Sul campo è rimasta però la Pinacoteca. Nell’eventualità di pagare il debito ultramilionario, la Provincia di Rimini è arrivata in soccorso acquistando il piano nobile della Pinacoteca, mentre i due appartamenti a pianterreno sono stati alienati dal Comune (dopo una prima asta andata deserta) per oltre 400mila euro. La Pinacoteca non fa più parte dei gioielli di famiglia, e c’è chi fa le pulci. “La sentenza è stata ribaltata non perché il Comune vide giusto nell’annullare le concessioni ma semplicemente perché ci si è accorti – attacca il capogrupo dell’opposizione Jean Louis De Carli – che la base della costruzione era stata realizzata su un sedime non corrispondente a quanto previsto”. In ogni caso il Comune ha disatteso ad una sentenza, e poteva accantonare ogni anno una piccola cifra per saldare il debito senza “vendere Pinacoteca, lotti e azioni di Romagna Acque”.
Ora la spada di Damocle da 1,3 milioni di euro che pendeva sulle casse comunali è scongiurata e l’amministrazione può riprendere il suo normale corso dopo anni trascorsi in trincea.
Paolo Guiducci