Infarti, sincopi da calore, crisi nervose, gastriti e tutto ciò che ne consegue, incidenti, schiacciamenti, tagli e contusioni. Una domenica di ordinaria “normalità” al Pronto soccorso dell’ospedale “Infermi” di Rimini.
Oltre 200 persone dalle 7 del mattino si sono accalcate sulle barelle nelle zone a loro riservate, a seconda dei codici di urgenza assegnati all’arrivo e poi come per incanto attorno alle 17, calma piatta. Ma ci sono state anche punte di 14 persone, accalcate in camerette che al massimo possono contenere tre barelle più un familiare a testa. Guai poi se ti capita di arrivare a ridosso del cambio turno: per circa due ore si diventa invisibili. Dalle 12.30 alle 14.30, prima cambiano di turno gli infermieri, poi i medici e tra passaggi di consegne e altro non c’è modo di far scorrere la fila.
“Di solito succede sempre la domenica” ci dicono dall’accettazione del triage “nel pomeriggio la gente preferisce il mare a noi” continuano con una nota ironica due giovani addetti, “ma poi il lunedì ricomincia tutta un’altra musica, è uno dei giorni più affollati quello”.
Pensare che in molti credono, a torto, che sia il sabato il giorno più critico. Invece ci spiegano che molti vanno dal proprio medico che riprende le visite di inizio settimana, dopo essere stati lì durante il week-end, così dopo lo spavento del malore scatta la richiesta del ricovero, e riparte una nuova “processione”, sempre andando a ingrossare un’altra fila al pronto soccorso.
In estate le ambulanze hanno i rinforzi estivi, come pure i medici che nel fine settimana dovrebbero essere 4 o 5 distribuiti nelle varie postazioni. Ma non basta per accellerare le procedure e diminuire le attese: dalle due alle 4 ore per un codice verde, saltiamo il rosso che ha la precedenza assoluta, per gli altri dipende dal momento, anche l’intera giornata. Una signora con il figlio minorenne, è dovuta tornare due volte, l’ultima è rimasta dalle due di notte alle 16 del pomeriggio dopo perché occorreva il consulto di un neurologo che durante le giornate estive non è in sede. Stessa sorte di un quarantenne. Ovviamente quando metti tutti insieme in una stanza 7 persone, quando al massimo ne potrebbe contenere tre, la privacy si va a far benedire. Si diventa una sorta di grande famiglia. E nell’attesa, tra una chiacchiera e un’altra, ti accorgi che gli infermieri hanno quasi tutti accenti del sud, qualcuno delle ambulanze è in rinforzo da Bologna, ma è del Meridione l’ossatura maggiore: “Rimini è bella, si vive bene e ci divertiamo anche” ci dicono. Hanno voglia di scherzare, in fondo è domenica anche per loro che sono al lavoro. Tutti giovanissimi, hanno un’aria allegra, a volte poco intonata ai dolori e alle ansie che stanno vivendo pazienti e familiari, in attesa di essere visitati. Quando arrivano in barella bellezze straniere, bionde occhi azzurri, che parlano solo inglese, per loro l’attesa dura solo pochi minuti “ha visto – dice ironica una signora sui 50 anni – siamo una città attenta ai turisti!” C’è l’interprete (all’Infermi si parla inglese, francese, tedesco, russo ma all’occorrenza anche altre lingue) e i giovani si scambiano occhiatine, sorrisetti e commenti sulla bellezza nordica. Sembra di essere tornati ai tempi di Zanza (il birro della riviera riminese che non si lasciava sfuggire neppure una nordica, ndr), nella versione però, con divisa blu e arancione, in un atrio di ospedale invece che sulla spiaggia di Bellariva.
Una domenica da dimenticare
“Ero già pronta per andare al mare con marito e figlio, quando all’improvviso un dolore fortissimo all’addome, spilli in tutto il corpo e mancanza totale di forze, mi hanno costretta a rinunciare”. È il racconto di una signora arrivata con l’ambulanza alle 11 circa di mattina, al pronto soccorso di Rimini, con crampi addomininali, nausea e dolori al petto, e dopo aver perso parecchi liquidi già dal giorno prima. Giudicata codice verde, messa su una barella, dopo aver escluso un infarto in atto con l’elettrocardiogramma, questa “fortunata” signora per farsi fare una diagnosi ha dovuto aspettare le 15. A quel punto le è stata fatta una flebo e il prelievo per le analisi, che sono state viste dal medico alle 17.30 anche se erano pronte dalle 16.30 come recita la scritta sul referto (ma l’infermiera non le aveva scaricate). Il tutto per essere dimessa alle 18 circa. Gli approfondimenti lasciati al medico di base. “Pensavo fosse la cosa peggiore quella di stare su una barella per 4 ore, con dolori fortissimi, in un ingresso dove solo una tendina mi divideva dalla porta automatica che si apriva e chiudeva in continuazione, azionando ogni volta un getto di aria condizionata, che non ha certo giovato al mio stato. Ma il peggio è arrivato dopo la visita medica: con la flebo che andava a manetta, mi sono ritrovata sempre sulla solita barella (a questo punto dopo 5 ore con la schiena a pezzi) stipata in una stanza da tre con i separè regolamentari, dove già c’erano 14 persone (7 barelle più un famigliare a testa), con le suole delle scarpe di un uomo anziano proprio in faccia, e un ragazzo con i suoi genitori seduti attaccati a me che mi alitavano su viso e corpo a distanza ravvicinata. Una sensazione indescrivibile, peggio delle bestie. Solo dopo diverse lamentele con le infermiere che si sono giustificate dicendo ’siamo in un pronto soccorso, bisogna avere pazienza’ le cose sono tornate alla normalità. I pazienti sono stati destinati ai reparti dove li aspettavano per il ricovero e la ressa si è dimezzata, lasciando il posto alla decenza al rispetto della privacy”.
Alla signora, comunque, è andata sempre meglio di quell’anziano che la settimana scorsa, feritosi con la motosega a una gamba mentre lavorava nell’orto con il letame, è stato prontamente ricoverato alle 16.45 in Ps con codice rosso. Il problema che da quel momento, sono passate ben tre ore e mezza prima che venisse trasferito in Emergenza ortopedica. Lì altre due ore di attesa fino a che alcuni familiari si sono spazientiti e hanno chiesto spiegazioni. Risultato, i sanitari hanno avvisato il 113 che li ha allontanati. A questo punto, però, è intervenuta la figlia che ha chiesto di parlare con il Dirigente in servizio e così dopo un’altra ora e mezza, l’uomo è stato operato alla gamba. “Il problema – sottolinea la signora – è che mio padre presentava due ferite profonde, per lo più infettate. Dovevano essere pulite e suturate in un ambiente sterile, non so perché non sia stato fatto, so solo che dopo le 24, e all’ennesima richiesta di aiuto, hanno portato mio padre in sala operatoria e lo hanno operato. Adesso è costretto a fare la camera iperbarica e speriamo non sopraggiungano infezioni”.
Insomma, non sempre tutto fila liscio come dovrebbe e quando accade, è logico che parenti e amici, manifestino la loro paura. Certo è che in pronto soccorso si lavora e si lavora tanto. Forse basterebbe qualche camice bianco in più. Soprattutto nel periodo estivo.
Francesca Pergola