Spesso la risoluzione di molti problemi dipende dalla nostra consapevolezza nel considerarli come tali, e affrontarli quindi con il dovuto tempismo. Questo può essere il caso dell’enuresi notturna infantile, meglio conosciuta come pipì a letto!
Di perdita urinaria si parla poco e mal volentieri, e questo atteggiamento può alimentare la percezione d’insicurezza personale nel bambino impedendogli una serena vita di relazione. Un disagio riportato anche dalla testimonianza di Maria, maestra elementare che per fare venire in gita un bambino ‘incontinente’ ha accettato la presenza del babbo che ogni due ore, durante la notte, svegliava il figlio per accompagnarlo in bagno, pur di evitare spiacevoli inconvenienti.
Non chiamatela malattia
L’enuresi notturna è un disturbo, più che una malattia, e consiste nella perdita involontaria e completa di urina durante il sonno in età (5-6 anni) in cui la maggior parte dei bambini ha ormai acquisito il controllo della vescica. Difatti i neonati nascono senza alcuna capacità di controllare la vescica, che per un riflesso automatico viene svuotata, indipendentemente dal momento e dal luogo, appena la si percepisce piena. Quando il bambino cresce sviluppa la capacità di controllare la pipì che viene così trattenuta per tutta la notte, o fatta in bagno. In alcuni bambini però questo non accade, o più semplicemente la vescica può non aver ancora raggiunto una piena maturazione sia del volume di urina che è in grado di contenere, sia dei meccanismi che permettono al bambino di controllare la fuoriuscita della pipì ‘involontaria’ durante la notte. Ad arricchire le possibilità può intervenire anche un insufficiente controllo ormonale della ghiandola dell’ipofisi (che posta alla base del cranio, supervisiona, tra le altre cose, il lavoro ormonale).
Il parere dell’esperto
Vico Vecchi, Primario del Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale “Infermi” di Rimini, ha le idee chiare sulla questione. “Questo è un disagio che deriva da più fattori e che certamente può dipendere anche dalla ricorrenza del fenomeno nella stessa famiglia, dal sonno pesante del bambino, da momenti di particolare stress vissuto in famiglia a scuola… ecc. – spiega il medico – Tutte queste numerose cause inoltre, cambiano anche i tempi legati alla risoluzione del disturbo. Non esiste, infatti, una vera e propria ‘regola’ sulla tempistica della guarigione, perché molto dipende da come il bambino reagisce alla cure e dal problema specificatamente riscontrato”
Ma quale l’età per iniziare ad intervenire?
“Si possono fare i primi controlli vescicali nei bambini che continuano a bagnare il letto dopo i cinque o sei anni. Questo è un disagio molto diffuso, su un campione di pazienti i bambini che hanno perdite notturne oltre i 5 anni sono il 15%. Mentre il 5% dei bambini raggiunge i 10 e solo l’1-2% arriva ai 15 anni con il disagio. L’enuresi notturna si definisce primaria se il bambino con gli anni non ha mai raggiunto il controllo notturno della pipì. Secondaria quando il bambino torna a bagnarsi dopo un periodo, di almeno sei mesi, in cui avevano smesso di bagnare il letto”.
La terapia
La terapia può essere principalmente di due tipi: farmacologica o comportamentale, starà al medico, dopo i dovuti accertamenti, decidere quale sia la più adatta, caso per caso. La somministrazione di farmaci, per esempio non deve avvenire prima dei sei anni. Consiste, comunque, nella prescrizione, per un periodo che può andare dai tre ai sei mesi, di un ormone antidiuretico (desmopressina) che riassorbe l’urina in eccesso. Mentre per quel che riguarda la terapia comportamentale, si tratta dell’adozione di un insieme di regole che possono sembrare banali, ma che nei ritmi frenetici di una vita ‘normale’ vengono trascurate, e che hanno come obiettivo quello di fare educazione sul ‘fare pipì’, compresi degli esercizi che favoriscono il controllo di alcuni muscoli.
Perché le terapie siano efficaci spesso il medico chiederà ai genitori di compilare un dizionario minzionale, ovvero la registrazione del ‘comportamento’ della vescica (quantità d’urina, numero di volte, orari delle minzioni, modalità…); e un calendario ‘notti asciutte’ che servirà per fare una statistica sulle dinamiche delle perdite notturne.
Il decalogo del letto asciutto
Il Professor. Vecchi, ha una serie di ricette, una sorta di decalogo che può aiutare i genitori a comportarsi nel modo giusto, qualora si presentasse un problema del genere nei loro figli. “In primo luogo il bambino non deve mai essere sgridato o deriso. Il rimprovero o lo scherno aggravano la situazione, mentre un atteggiamento comprensivo la migliora. Nel caso che anche i genitori abbiano sofferto di enuresi, comunicarlo al bambino può avere per lui un effetto rassicurante. Farlo partecipe di quello che accade nei momenti di indagine e controlli. In ogni caso abituare il bambino a bere poco la sera, prima di coricarsi, è consigliabile. Questo non risolverà il problema ma il bambino urinando di meno si sentirà più forte nell’autostima. Infine non farlo sentire solo, bensì incoraggiarlo, dandogli la possibilità di esprimere senza vergogna i suoi pensieri e le sue preoccupazioni”
Al medico spetterà anche il compito di tranquillizzare i genitori che troppo spesso si lasciano prendere dall’ansia o al contrario dalla leggerezza. Sì, è importante non trascurare il disturbo che spesso per il bambino può essere angosciante e punitivo (niente gite, niente campeggi, niente ‘pigiama party’ con gli amici), ma non serve fare allarmismi, perchè in molti casi il disturbo ‘bagnato’ si risolve naturalmente.
Laura Pagliani