Quando si riflette sull’insicurezza che sembra permeare la società italiana, ci si dovrebbe domandare quanta parte del fenomeno sia originato da questioni legate alle difficoltà delle famiglie italiane, prima di addossare il problema completamente ad altri fenomeni come l’immigrazione e la violenza crescente.
Per decenni gli esperti hanno spiegato che la solidità del tessuto sociale italiano si legava ad una ricchezza delle famiglie italiane, che riuscivano ad essere attori sociali promotori di sviluppo. Con pratiche di sostegno che promuovono una specie di welfare “fai da te”: come i nonni che aiutano i nipoti a pagare il mutuo per la prima casa o i figli che contribuiscono al pagamento dell’assistente familiare dei loro genitori anziani e, magari, non auto-sufficienti.
Però appare sempre più evidente che questa ricchezza si corroda alle fondamenta. Il terreno sotto i piedi delle famiglie va franando. Anche per l’introduzione della flessibilità lavorativa che, se da una parte ha aumentato la possibilità di accedere ad un’occupazione, dall’altra ha reso meno prevedibile il futuro. Oggi assistiamo anche ad una continua riduzione del potere di acquisto del reddito familiare. Secondo gli ultimi dati Istat il tasso di aumento dei prezzi che a maggio ha toccato il 3,6% non era mai arrivato così in alto negli ultimi dieci anni. Allora, quando ci si interroga su come ridurre l’insicurezza forse sarebbe utile ragionare sulle necessità delle famiglie italiane che vedono ridursi le loro possibilità di consumo e quindi la loro qualità di vita.
A risolvere questo problema sicuramente non basteranno pattugliamenti per le strade che potenzialmente potrebbero ridurre borseggiatori, ma non alleviare i bilanci economici familiari. Servirà uno sforzo per inventare, finalmente, un welfare italiano formato famiglia tanto spesso invocato, e poi poco realizzato come appare evidente dalla spesa sociale dedicata alle famiglie che raggiunge appena l’1% del Prodotto interno lordo. Per porre attenzione alle loro reali e quotidiane necessità e progettare soluzioni possibili sarà indispensabile considerarle soggetti attivi e propositivi, non soltanto ”consumatrici” di spesa sociale, ma anche produttrici di bene comune.
Andrea Casavecchia