E’ giunta solo ora la documentazione video del funerale che la comunità Naga del Manipur (India) ha riservato a padre Pietro Bianchi, corianese, morto l’8 marzo a Dimapur all’età di 86 anni dopo quasi 70 anni di servizio a quel popolo. Immagini impressionanti, che gli spettatori di Ètv Romagna avranno modo di vedere direttamente nella rubrica “I giorni della Chiesa” venerdì 20 alle ore 21 e domenica 22 alle 18. Davvero la testimonianza della gratitudine di un popolo per l’immensa opera che il nostro conterraneo ha svolto. E proprio per preparare questa visione abbiamo chiesto ad un suo fraterno amico di ricordarne ancora una volta la splendida figura.
Padre Pietro è figlio di questa nostra terra di Romagna, ove vivono familiari, amici ed estimatori coi quali egli, nonostante la lontananza, coltivava intensi rapporti e che vedeva nel corso di ricorrenti visite in patria.
Nato a Coriano nel 1922, poi residente in San Giovanni in Marignano, nel 1933 era entrato nel Seminario Diocesano di Rimini ove, già attento alla chiamata religiosa, aveva scelto la vita missionaria in terra straniera. Accolto nell’Istituto “Cardinale Cagliero” dei Salesiani di Don Bosco in Ivrea per aspiranti missionari, ancora studente era passato alle Missioni del nord-est dell’India, al confine con la Cina e la Birmania. Ivi le regioni dell’Assam, del Manipur e le terre limitrofe sono state il campo della sua attività missionaria.
Destano interesse le vie percorse dal nostro padre Pietro; maggiore ammirazione, tuttavia, suscitano le motivazioni delle scelte operate.
Ad ammonimento e norma dei giovani che varcavano un tempo la soglia del vecchio seminario, posto a fianco del Tempio Malatestiano, si leggeva e tuttora si legge, nonostante il diverso impiego di quella sede: “Patet iuventuti sacris disciplinis imbuendae” – è aperto (il Seminario) ai giovani da iniziare alla conoscenza delle scienze sacre – dove l’auspicato scopo non è pienamente raggiunto con la cognizione intellettiva delle realtà evocate, ma piuttosto col divenire, i giovani stessi, corpo e vita delle realtà stesse.
È qui che il giovane Pietro, in ascolto alla vocazione e sotto la guida di illuminati direttori di anime, confermò l’iniziale scelta ed in essa l’indirizzo missionario. In seguito, serbando buon ricordo di quei giorni parlava con gratitudine del direttore spirituale del Seminario don Amedeo Polverelli, chiamandolo suo consigliere e guida alla scelta missionaria. Ed ancora ricordava il proprio parroco di S. Giovanni in Marignano, don Virgilio Pollini, che lo aveva avviato al Seminario: “Non dimenticherò mai questo santo sacerdote che mi aveva aiutato a discernere la mia vocazione ed a cui avevo sempre potuto rivolgermi per una parola gentile e di conforto”.
Altri, in India, i problemi di Pietro. Sono in corso le operazioni della seconda guerra mondiale. L’Italia è schierata contro l’Inghilterra che tiene sotto protettorato le Indie. Gli aspiranti missionari italiani colà residenti, quali appartenenti a nazione ostile, sono posti in stato di arresto domiciliare, poi segregati in campi di concentramento e tenuti tali fino all’anno 1944. Essi solo in seguito riprendono l’interrotto cammino verso il sacerdozio che si compirà con l’ordinazione, avvenuta per Pietro il 6 gennaio 1951 nella cattedrale di Shillong, capitale regionale, per ministero del Vescovo missionario Stefano Ferrando.
Ma il missionario non è solo sacerdote ed evangelizzatore. Egli in terra di missione è chiamato ad essere anche pionere, imprenditore, promotore di opere sociali, procuratore di mezzi per realizzazioni a sostegno dell’attività missionaria.
L’attività di padre Pietro ed in particolare le sue opere missionarie sono raccolte, su esposizione del protagonista e narrate dal confratello dott. A. J. Sebastian in un libro scritto in lingua inglese, pubblicato nelle Indie nel 1999, col titolo “In His name” (In nome di Cristo), e tradotto poi in lingua italiana e diffuso in Italia, edizioni il Ponte Rimini luglio 2001. Vi si nota uno stile semplice e disadorno, così voluto dal protagonista, perché suscettibile di immediatezza col lettore.
Ivi vediamo padre Pietro farsi apostolo e andare per i villaggi sperduti nei vasti territori indiani, dove il nome di Cristo non è mai risuonato.
Lo seguiamo in veste di promotore, collaboratore e responsabile di centri apostolici e assistenziali, di strutture sanitarie e scolastiche. Nell’anno 2005 le Scuole Salesiane, che nelle zone considerate comprendevano tutto l’iter preuniversitario, accoglievano circa seimila studenti. Lo stesso padre Pietro fu per lungo tempo e fino all’improvvisa sua scomparsa, insegnante e direttore delle istituzioni scolastiche.
Agendo così sul campo vedeva, finalmente, attuati i propositi della giovinezza, il dispiegarsi dell’attività apostolica e l’estendersi del Regno di Cristo in terra. Vedeva, inoltre, quale effetto immediato della sua opera, l’aprirsi al progresso civile la vita di popolazioni di cui lui stesso, in segno di condivisione si era fatto uguale (padre Pietro aveva assunto la cittadinanza dello Stato Indiano).
Coglieva pure, a stimolo e perseveranza dell’azione missionaria, i segni della buona accoglienza delle popolazioni evangelizzate e l’apprezzamento delle pubbliche autorità, più volte manifestato nei confronti delle Missioni di Don Bosco.
Particolare cordoglio e larga partecipazione, anche da parte di pubbliche autorità, ha suscitato la scomparsa di padre Pietro e le seguite onoranze funebri sono state intensamente seguite. Giunge inoltre notizia che in loco stanno già attuandosi iniziative dirette ad istituire l’Opera di padre Bianchi, perché il suo spirito non muoia e la sua persona continui a fare il bene, anche dopo la sua morte.
È auspicabile che anche la sua terra conservi di Lui edificante memoria.
Viterbo Tamburini