Grande festa domenica 15 a Kuçova per l’arrivo del vescovo Francesco in visita per la prima volta alla missione diocesana.
La sua prima giornata è stata piena: arrivo alle 2 della notte e alle 10 eucaristia presieduta insieme al vescovo Hil della Chiesa dell’Albania del sud nella quale è inserita la nostra comunità missionaria mandata per impiantare questo iniziale germe di Chiesa Cattolica.
Il vescovo Hil era giunto non solo per accogliere il “fratello nel ministero” ma anche per amministrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana a 7 ragazzi e nel pomeriggio accogliere nel catecumenato 16 donne: la più giovane Anxhela 13 anni e l’anziana Gjorgjie 72 anni.
Questo gruppo di persone provengono tutti dalla “stazione” missionaria di Uznova, dove c’è stata la primissima realtà cattolica del Centro “Shpresa”, fondato da don Giancarlo di Arezzo, e poi don Osvaldo e ultimamente le sorelle della Piccola Famiglia dell’Assunta di Montetauro. Sono frutto quindi di una lunga incubazione e lavoro preparatorio.
Fino ad ora ad Uznova c’erano solo due giovani battezzati: Emanuel ed Elia. Ora si è sufficienti per fare decentemente un canto con fede.
Dopo di loro altri 9 giovani hanno già fatto ingresso nel cammino del catecumenato e ora almeno una decina hanno chiesto di entrarvi.
La loro preparazione è durata due anni e possiamo dire che è stata quotidiana. Infatti fin dall’inizio si è puntato più che ad un percorso diluito e prolungato, alla intensità e incisività. I formatori hanno lavorato sodo su pochi obiettivi:
– Innanzitutto conoscenza diretta e immediata del Cristo maestro nella sua Parola.
Si sono letti e commentati, in certi tempi anche tutti i giorni, interi libri del Nuovo e Antico Testamento, con l’obiettivo preciso di “dipingere Cristo”, senza dilungarsi in commenti che in romagnolo si dicono “pappardelle”, né in preziosismi letterari. San Bernardino da Siena avrebbe detto: “commento grosso”.
– Formare alla comunione.
Forte vita di gruppo: si passano domeniche insieme, si fanno molti periodi di convivenza (almeno 3 prolungati, in un anno), spesso sono a mensa dalle sorelle della comunità: cosa notevole per chi come loro non è abituato a sedersi a tavola. I rapporti sono stretti, si affrontano subito i litigi, le incomprensioni, non si rimanda niente a domani.
– Conoscenza diretta di esperienze mature di chiesa.
I giovani sono stati in alcuni luoghi specialmente del nord dove loro coetanei tentano strade per ravvivare le comunità cattoliche. A proposito, indimenticabile, come vi potete immaginare, l’anno scorso alla fine di un campo di formazione, l’incontro con don Oreste. Si è impresso nel loro cuore e hanno condiviso con noi il dolore del suo distacco. Così tre settimane fa a “scombinarli” è stato l’incontro con Olivero del Sermig di Torino. Se ne deduce che la chiesa è tutta da costruire.
– Un ultimo obiettivo è stato quello di favorire amicizie con ragazzi italiani non del tipo “mordi e fuggi” e “forse ci rivedremo”, ma continuative e di valore. Per questo abbiamo chiesto ai ragazzi italiani che venissero solo se erano disposti a ritornare e a tenere i contatti in modo stabile.
Ora, in questi giorni, si sta cercando di scrutare assieme come affrontare il grande percorso ad ostacoli del loro futuro: lavoro e immigrazione; quale chiesa desiderare; chiamate e responsabilità.
Ma intanto si cerca assieme di gustare quanto buono è il Signore, infatti siamo più che mai consapevoli che la grazia del Signore nel cuore e per la prima volta sia un’esperienza inebriante e unica.
Assieme a questi giovani noi facciamo alla nostra chiesa e soprattutto ai giovani della diocesi di Rimini un appello a una profonda solidarietà, più che un aiuto chiediamo una condivisione delle mete alte.
Lanfranco Bellavista