C’è anche chi ne ha paura. Paura di essere punto, magari d’estate mentre va in motorino e sotto il casco può entrare di tutto. In realtà la vera paura è che, continuando di questo passo, le api un giorno possano addirittura estinguersi, cosa che produrrebbe danni irreparabili all’intero ecosistema globale, visto che “senza api l’uomo non potrebbe vivere più di 4 anni“, almeno secondo Albert Einstein. Una frase tornata di attualità negli ultimi periodi. Perché la moria delle api è un problema serio, che interessa tutte le zone italiane e in maniera particolare l’Emilia Romagna e la provincia di Rimini, da sempre terra di apicoltori e agricoltori che grazie all’impollinazione delle api riescono poi a concepire le loro produzioni.
“Da agosto 2007 a marzo 2008 c’è stata una perdita del 30-40% degli alveari – ci rivela l’ingegner Riccardo Babini, segretario dell’Associazione Romagnola Apicoltori (ARA), che ha sede a Bagnacavallo, e che raccoglie il maggior numero di apicoltori riminesi – e in certe zone si è toccato addirittura il 70%. Ora la situazione si è cristallizzata ed è sotto controllo, ma di certo il quadro generale è preoccupante”.
Un trend negativo che negli ultimi 10 anni si è sempre acuito. E le cause sono molteplici: dall’acaro Varroa, un parassita esterno agli alveari, al cambiamento generale delle condizioni climatiche passando per gli avvelenamenti del mais.
“Il Varroa è un acaro velocissimo, conosciuto dal 1982, e che ultimamente si è assuefatto ai prodotti studiati da noi apicoltori per estirparlo.– prosegue Babini – Il problema principale è che l’acaro, che d’inverno non dovrebbe sopravvivere, sta beneficiando delle stagioni molto miti, con il letargo delle api che dura molto meno di prima: non appena gli insetti cominciano a popolare l’ambiente, l’acaro torna fuori“.
D’accordo con il segretario dell’ARA, è Carlo Cuccia, uno dei primi apicoltori biologici riminesi.
“Effettivamente la situazione è critica, gli alveari sono calati del 30% a causa soprattutto del Varroa, ma anche dei pesticidi del mais e del cambiamento delle condizioni climatiche. Personalmente sto cercando, assieme ad altri colleghi, di migliorare la prevenzione e di studiare in laboratorio il vaccino migliore per combattere l’acaro, altrimenti la situazione rischia di diventare tragica”.
Eccola quindi, la correlazione del fattore patologico con quello meterologico, mentre l’altra causa principale è lo spropositato uso di fertilizzanti per il mais da parte degli agricoltori.
“A dire il vero in Romagna di mais ce n’è ben poco, anche se noi come ARA cerchiamo continuamente di sensibilizzare gli agricoltori a capire l’importanza che le api hanno per il loro lavoro e per l’ambiente in generale – riprende Babini – anzi: le api servono di più a loro, visto che senza api scomparirebbero tutte le specie vegetali ad impollinazione entomologa. È un equilibrio importantissimo, un motivo per il quale l’apicoltura e l’agricoltura devono migliorare assolutamente il loro rapporto: le api servono per un 5% alla produzione di miele, e per il 95% al rilevamento ambientale e all’impollinazione di fiori e piante“.
In Romagna, nel 2007, sono stati censiti 35mila alveari, con una preponderanza nelle zone collinari, dove c’è minor presenza di frutteti e più fioritura di castagni, girasoli ed erba medica. L’importanza di questi esseri viventi è talmente alta che a Bologna, in via Indipendenza, a cadenza sistemica, vengono effettuati test di rilevazione ambientale proprio tramite le api.
“Le api vivono solo ed esclusivamente in un ambiente sano e pulito, se l’ape non sopravvive significa che anche l’uomo avrà dei problemi e il livello di inquinamento dell’atmosfera è quasi insostenibile. La prima cosa che fa un’ape quando l’ambiente è malato è lasciarsi morire, quasi un sacrificio per comunicarci la gravità della situazione”.
In questo quadro, la produzione del miele, attività che spesso i profani ricollegano immediatamente alle api, assume una valenza addirittura minima.
“L’anno scorso la produzione è stata a norma, sui livelli del 2006, anche se in questi primi mesi del 2008, dopo un buon inizio, non abbiamo prodotto molto anche a causa della primavera turbolenta a livello metereologico. Il prezzo del miele è ovviamente al rialzo, come tutti i prodotti agricoli quando c’è un calo di produzione: l’ARA sensibilizza tutti alla produzione di miele biologico, e ad oggi il 45% delle aziende romagnole è in linea con la nostra richiesta“.
Matteo Peppucci