Chissà com’è contento stasera don Oreste! Quello che Marinella esprime spontaneamente, è un sentimento comune. È passata un’ora e mezzo da quando una piccola pattuglia di volontari dell’associazione Papa Giovanni ha accolto il vescovo Francesco (accompagnato da due sacerdoti) e li ha condotti sulle strade della notte riminese a incontrare le “sorelle schiave” tanto care al “prete degli ultimi”.
L’appuntamento è alla Grotta Rossa alle ore 23 di martedì 20 maggio. Due pullmini della comunità del servizio anti-tratta sono in partenza con diverse destinazioni: uno sulla via del mare, l’altro sulla statale.
Ci si raccoglie un attimo di fronte al piccolo monumento dedicato a don Oreste per una preghiera.“Da quando è morto – racconta il Vescovo – non è passato giorno che non l’abbia sentito vicino nell’affrontare i problemi… continua ad essere una presenza viva, che mi sostiene. Negli ultimi tempi rientrando in casa alla sera tardi dopo qualche incontro, ho notato la presenza di tante sorelle che stanno sulla strada. Pensando all’assemblea di venerdì dedicata al tema della prostituzione, il volto di don Oreste mi si è affacciato alla memoria. Lui cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe invitato ad accompagnarlo per guardare in volto quelle ragazze. Per questo sono con voi stasera”.
Il viaggio inizia. Sul pullmino, Gianpiero spiega in cosa consiste il lavoro del servizio anti-tratta: “Il nostro è un contatto personale che si approfondisce pian piano. Le ragazze sono per lo più rumene e bulgare. Ognuna ha un protettore, anche se loro non lo confermeranno mai. Costui paga lo spazio che la prostituta occupa ad un’organizzazione. Insomma è una specie di subappalto. A grandi linee si può dire che gli albanesi controllano il territorio ed i rumeni sono i papponi”.
Piove e per un po’ non c’è anima viva nella notte riminese. D’improvviso, ecco le prime ragazze spuntare da un piazzale. “Sono Ana e Mariana, – dice una volontaria – manca Cristina”. Sono moldave. Marinella, che d’ora in poi sarà il ponte reale fra le ragazze e i componenti del pullmino, inizia il dialogo.
Si apre il portellone, ma nessuno scende per non intimorire le ragazze. Marinella le conosce bene. Si salutano come vecchie amiche. Ana è sulla strada da tanto, troppo tempo, ha 25 anni, un bimbo di tre anni di cui è fiera. Mostra la foto. Ha un atteggiamento da padrona rispetto a Mariana, che osserva, ma non parla. “È zeppa d’alcool” dice una volontaria sottovoce. “Per stare sulla strada molte si imbottiscono d’alcool e cocaina”. Il Vescovo, seduto davanti, accanto a Marinella e all’autista ascolta e osserva in silenzio. È il suo primo impatto con quel mondo. “Ho visto persone – commenterà in seguito – con un’umanità ferita, logorata; se si potesse aiutare ad esprimere in modo umano quel desiderio di serenità, felicità, che si portano dentro e che emerge nel dialogo, dopo le prime ritrosie. Ho visto il lavoro dei volontari, la fatica che si fa a stabilire un ponte di comunicazione, il bisogno di rispettare i tempi per un dialogo più vero e profondo”.
Cristina, la terza del gruppo, non è con loro. È incinta di molti mesi; già da tempo era evidente la pancia. Controvoglia, Ana parla di aborto. Fosse così, si tratterebbe certamente di aborto clandestino.
Qualche centinaia di metri più avanti staziona Caterina. Anche lei ha 25 anni (anche se ne dimostra di più nel suo corpo esile e la bocca rovinata) ed un bimbo affidato ai genitori in Romania. “Molte di queste ragazze – commenta Gianpiero – hanno alle spalle storie di estrema povertà e di violenza. Un’inchiesta eseguita in Romania racconta che il 70% delle ragazze che finiscono sulla strada hanno subìto almeno una violenza.
“In Caterina – dirà poi il Vescovo – ho visto il volto di un’umanità sfruttata e sciupata. Un essere che è stato ‘cosificato’ e trattato come una mela marcia da buttare. Eppure, se la guardi davvero in faccia, vedi che è una persona, una figlia di Dio. Voglia il Signore riaccendere in lei il desiderio del riscatto, di risorgere…”.
Non piove più. Adesso le ragazze spuntano come funghi. Ce ne sono davvero tante. Ci fermiamo di nuovo. Maria è giovanissima, e un volto da ragazza di parrocchia. Ha 21 anni. Sorride al nostro arrivo, ma le volontarie che sono sul pullmino leggono molta paura nei suoi occhi. Marinella scende e comincia a parlare. L’approccio è molto positivo. Maria chiede aiuto, vuole cambiare, prende un numero di telefono per un contatto il pomeriggio seguente: “Vorrei un lavoro per cominciare qualcosa di diverso”. Nasce spontaneamente un piccolo momento di festa, un abbraccio. Marinella fa scendere il Vescovo che parla con la giovane. Più tardi commenterà: “C’è grande gioia nel vedere il desiderio vivo di voltare pagina, avvertire un senso di fiducia anche nel chiedere aiuto. Un messaggio splendido: è possibile aiutare a guarire, a risorgere. Dentro queste persone, pur abbruttite spesso dalla cattiveria dell’uomo c’è una umanità viva. A noi il compito di farla emergere. Per questo è stato spontaneo far festa con lei”.
Il cellulare di Maria interrompe quel frammento di felicità. “Forse è il protettore. – immagina Gianpiero – Capita spesso che ci controllino a distanza e poi intervengano, a volte anche con minacce”. Invece è una collega, lontana non più di cento metri. Alcuni giovani hanno combinato qualcosa che non ci viene detto. Il nostro dialogo si interrompe. Quando poco dopo passiamo sulla stessa strada, notiamo 7-8 ragazze raggruppate e molto agitate. Fra loro c’è anche Maria. Gli occhi stavolta denunciano la paura. “Meglio non fermarsi, – taglia corto Gianpiero- quando sono arrabbiate non fanno troppe distinzioni”.
È ora di tornare a casa. Negli occhi e nel cuore restano quei volti, che sono persone.
“Dobbiamo continuare a riflettere – dice il Vescovo – per capire cosa la nostra Chiesa è chiamata a fare. La Papa Giovanni fa un’opera splendida, ma cosa possiamo fare tutti noi come Chiesa?”.
Giovanni Tonelli