Essere missionari nell’epoca della globalizzazione”. Questo il titolo dell’incontro che si è svolto venerdì 4 aprile presso il Centro della pesa di Riccione. L’evento è stato uno dei primissimi appuntamenti inseriti nel programma del IV Convivio dei Popoli per la Pace (che terminerà il 18 maggio) ma ha rappresentato anche un interessante momento di riflessione e confronto per chi i due giorni seguenti ha offerto il proprio servizio al Campo Lavoro Missionario. All’incontro hanno partecipato Elisabetta Garuti, dell’associazione Papa Giovanni XXIII e coordinatrice del progetto “Rainbow”, e Franco Moretti redattore di Nigrizia e Padre Comboniano che è stato missionario per quasi 30 anni in Kenya. Il tema della serata è stato approfondito attraverso le testimonianze di missione dei due invitati che hanno collegato la loro esperienza alla scottante questione della globalizzazione.
La prima a prendere la parola è stata Elisabetta Garuti che ha incentrato la parte iniziale del suo intervento leggendo una lettera che Don Oreste Benzi le aveva chiesto di scrivere 9 anni fa proprio riguardo la globalizzazione.
“La globalizzazione ha appena bussato alla mia porta.[…] Ieri era il volto di 50 bambini orfani, in grave stato di malnutrizione. Alcuni, al di sotto dell’anno di età, moriranno perché le nonne che li accudiscono non possono permettersi di comprare il latte in polvere necessario perché costa 20.000 lire al barattolo. Possono però permettersi di comprare la Coca Cola o la Fanta, perché costa 700 lire. E i loro bambini, colpevoli solo di avere perso la mamma, moriranno. Non ci resta che la carità. E che dire di tutte le persone anziane in stato di abbandono e malnutrizione, che tutti i giorni bussano alle porte dei nostri centri. A uno di loro abbiamo chiesto “Che cosa possiamo fare per aiutarti?
E lui ci ha risposto: “Io vorrei mangiare un pollo e morire”. Gli abbiamo comprato il pollo. Non ci resta che la carità. Un sistema economico che ci spinge sempre di più verso la carità vuole dire che ha volutamente eliminato da tempo la giustizia dai suoi obiettivi”.
Sono righe scritte una decina d’anni fa, ma le cose non sembrano cambiate in meglio, anzi sono peggiorate. L’acqua e il latte continuano a costare più della “globalizzata” ed universale Coca Cola. Quali gli strumenti attraverso i quali la globalizzazione potrebbe diventare un processo che metta al primo posto lo sviluppo integrale dell’uomo?
“Una giusta re-distribuzione delle risorse, la condivisione di conoscenze e strumenti per migliorare la vita in tutti i paesi. I risultati si vedrebbero in termini di diminuzione delle povertà, accesso sostenibile a medicine, scuole e nutrizione. Ogni Paese si potrebbe sviluppare secondo le proprie tradizioni nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Non ci sarebbero guerre e genocidi”.
Gli effetti della globalizzazione devono essere combattuti, ma si incontrano comunque problemi che stanno a monte degli aiuti stessi…
“Trovare un metodo giusto di aiuto che non si ritorca poi contro le gente che vuoi aiutare, non è semplice. Non solo: ormai sappiamo per esperienza che l’assistenza da sola, intesa come risposta al bisogno immediato della fame, della mancanza di medicine, della miseria subumana, spesso mossa più da un senso di colpa degli occidentali, che non da un senso di giustizia, ha creato e crea una sindrome da dipendenza che blocca, o non favorisce, il riscatto di questi popoli verso l’autosufficienza”. Esistono dei valori oggettivi a quali far riferimento quando si tratta di mettersi al servizio dei più bisognosi?
“Bisogna seguire i valori annunciati nel Vangelo. Un cristiano non dovrebbe dormire la notte sapendo che qualcuno muore di fame”.
Poi è stato il turno di Padre Franco Moretti che ha parlato del missionario moderno.
“Sicuramente nei prossimi anni, ma già adesso, ci troveremo sempre più di fronte a missionari laici. D’altronde Gesù, il primo missionario che è venuto sulla terra, era un laico”.
È cambiata la percezione del missionario, sia da parte degli abitanti del paese nel quale il missionario si trova che da parte dei missionari stessi?
Molto spesso in Africa mi son sentito dire “Cosa ci fai qua?”. Questo per capire che bisogna combattere le conseguenze della globalizzazione, ma prima di tutto si devono risolvere le cause di tali problemi: ormai l’abbiamo capito tutti. Il missionario del futuro opererà sempre meno all’estero e sempre più nel suo paese per cercare di far cambiare stile di vita ai suoi cittadini”.
La globalizzazione ha reso l’Africa più povera di quanto non lo fosse 30 anni fa…“La globalizzazione non ha globalizzato niente. Siamo in una situazione di glocalizzazione: le ricchezze globali si concentrano in poche località”.
Matteo Petrucci