Sonotra coloro che hanno avuto la grazia di poter incontrare padre Pietro Bianchi, sacerdote salesiano, in India dal 1938, nella sua missione in Manipur, poche settimane prima della sua morte. Avevo conosciuto padre Bianchi in occasione delle sue visite in Italia, divenute più frequenti con l’avanzare dell’età. Aveva alcuni famigliari nel riminese, che lo sostenevano nella sua attività missionaria, e molti amici e benefattori, come lui amava chiamarli, in Romagna e anche in altre parti d’Italia. Con il loro aiuto era riuscito a realizzare numerosi progetti di promozione sociale e di sostegno all’evangelizzazione. Da diversi anni aveva iniziato anche le adozioni a distanza per gli studenti delle scuole fondate da lui e dagli altri salesiani in Manipur.
Nella ricorrenza del suo giubileo sacerdotale, avvenuta nel 2001, era stata tradotta a cura del Centro Missionario Diocesano, una biografia, già pubblicata in inglese, che riportava soprattutto note della vita missionaria di padre Pietro. La lettura di quel testo mi spinse a voler conoscere più da vicino l’opera di questo missionario, che era stato un pioniere della missione in una terra lontana ed era ancora attivo, sebbene ormai anziano. Per questo ho organizzato il viaggio missionario che mi ha portato, nelle scorse feste natalizie, insieme ad altre sei persone della nostra Diocesi, a visitare la missione di padre Bianchi in Manipur.
Sapevamo che durante l’anno era stato ricoverato per diversi mesi all’ospedale, per cui pensavamo di trovarlo ammalato. In realtà l’impressione che abbiamo ricevuto è stata quella di una persona debilitata sì, anche a causa di problemi alla vista, ma ancora vivace e lucida nel dialogare con noi della sua vita missionaria. Dopo un primo contatto con padre Bianchi presso la comunità salesiana di Imphal, la capitale del Manipur, abbiamo visitato le missioni da lui fondate nell’interno.
In questi luoghi suggestivi per gli scenari naturali, tra le popolazioni tribali evangelizzate da padre Pietro, ci siamo resi conto di quale sia stata la grandezza dell’opera da lui compiuta. Egli ha fondato la chiesa dall’inizio tra popolazioni non ancora raggiunte dall’annuncio evangelico o che ne avevano appena sentito parlare, viaggiando con ogni mezzo possibile, anche a piedi per diverse giornate, per raggiungere i villaggi più lontani.
Nei luoghi in cui è giunto ha formato comunità cristiane, costruito cappelle e scuole per i ragazzi. Tutto questo oltre cinquant’anni fa.
Conoscendo più da vicino alcune di queste comunità, ci siamo resi conto di come il cristianesimo sia fiorente, di quanto siano numerosi i giovani che aderiscono alla fede e quanto sia apprezzata l’opera dei missionari. Le vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale, sorte tra queste popolazioni, testimoniano ulteriormente il livello di fede raggiunto.
L’attività infaticabile di questo missionario si è espressa particolarmente nel complesso di scuole da lui fondate o ampliate, con l’appoggio della congregazione salesiana. Ma sarebbe ingiusto limitare a queste opere il suo raggio di azione.
Padre Bianchi ha operato per la crescita umana e spirituale delle popolazioni tra le quali ha vissuto, intervenendo in ogni situazione di bisogno, per quanto gli era possibile. Da questa condivisione dei problemi della gente sono nati i progetti di aiuto in occasione delle alluvioni (ricostruzione delle strade, delle case, delle scuole danneggiate), le case per i poveri, il sostegno alle famiglie bisognose.
Una delle realizzazioni più recenti che abbiamo visitato sulle montagne del Manipur è un piccolo villaggio per famiglie povere. Padre Bianchi aveva acquistato un terreno molto ampio adatto alla coltivazione, aveva fatto costruire una decina di abitazioni, un magazzino, una piccola scuola e aveva consegnato le case e la terra alle famiglie più povere, scelte dalla gente stessa. Il suo desiderio era di ampliare il villaggio con altre abitazioni, per offrire anche ad altri la possibilità di avere una casa dignitosa e un lavoro.
L’ultimo progetto, che abbiamo finanziato da Rimini, è una casa per donne anziane sole, vicino alla missione di Sajouba, dove padre Bianchi aveva abitato fino allo scorso anno. Nei pochi giorni vissuti nella sua missione, abbiamo celebrato diverse volte la Messa insieme a lui. Durante una di queste egli ha tenuto una omelia in cui ha esposto molto semplicemente la sua idea di missionario: non si è missionari per fare cose straordinarie, né perché si possiedono particolari capacità. Si è missionari per fare la volontà di Dio, mettendo la propria umanità al servizio del vangelo, senza paure e senza calcoli. Occorre lasciare operare il Signore nella nostra vita, perché è lui il vero e unico missionario. I frutti dell’azione missionaria sono opera sua, non nostra. Mi sembrano parole che si addicono bene come testamento spirituale alla vita di questo nostro fratello, che ci ha insegnato molto con la sua testimonianza, pur vivendo così lontano da noi.
don Paolo Donati