Home Attualita In volo angeli dalle ali d’acciaio

In volo angeli dalle ali d’acciaio

Abbiamo tra le mani la vita delle persone”. È con questa frase che il Capitano Stefano Bazzo dà inizio al secondo viaggio de “Il Ponte” dentro le caserme delle forze armate del territorio. Siamo in via Flaminia, e dentro l’aereoporto militare, insieme ai vicini dell’Esercito e della Finanza, ci sono loro, quelli del 15° Stormo Aeronautica, 83° Centro C/SAR (search and reascue), quelli che per statuto hanno il compito di “Ricercare e salvaguardare gli equipaggi degli aeromobili militari e concorrere alle operazioni di soccorso per la salvaguardia della vita umana a beneficio della collettività nazionale ed internazionale”. Salvare vite, quindi, come quelle delle tre persone naufragate a Riccione pochi mesi fa per via del mare grosso e di onde alte sei metri, quando il soccorritore della squadra del Capitano Bazzo si calò a recuperarli uno dopo l’altro. Nell’aeroporto di Miramare ci sono 120 persone, di cui 20 piloti e il resto diviso tra tecnici e specialisti, tutti a servizio della manutenzione degli elicotteri di soccorso, Il raggio aereo servito abbraccia 180 miglia, ossia un’area di ampiezza pari a 360 chilometri, da Pescara e Ancona da sud, sino a coprire l’intera area del nord est. Nessuno dei 120 fa parte del gruppo di volontari in ferma breve, che potenzialmente sarebbero potuti arrivare dopo l’abolizione della leva obbligatoria, a partire dal 2002. Un fattore che dipende dall’alta specializzazione del SAR che attualmente ha nel suo gruppo solamente ufficiali e sottoufficiali (di cui 2 donne in torre di controllo), mentre l’altro gruppo dell’aeronautica presente nell’aeroporto conta circa il 40% dei volontari.

La vita prima di tutto


“Garantire il soccorso non vuol dire solamente alzarsi in volo quando veniamo chiamati per un’emergenza – commenta il Capitano – la garanzia, si esplicita anche nel minuzioso controllo cui sottoponiamo i nostri elicotteri”.
Ogni mezzo, infatti, viene controllato prima e dopo il volo da due squadre distinte, l’una composta da tecnici l’altra dai piloti. Ci sono poi revisioni continue e scaglionate sulle 100 ore di volo o sui 60 giorni di volo e così in varie altre occasioni. Una minuziosità che li ha portati ad accumulare zero incidenti (causati da problemi tecnici) in 30 anni di servizio.
Nell’unico hangar che occupano nell’aeroporto si trova l’officina, gli uffici della logistica, una saletta ricreazione (che assicurano essere, quasi sempre vuota) e la sala navigazione, nella quale è raccolta la cartografia dello stivale, perché in casi eccezionali quelli del SAR di Rimini devono alzarsi a sostenere i cugini degli altri tre gruppi del 15° Stormo Aeronautica, che arrivano da Roma, Brindisi e Trapani.
Entrare nella vita di queste 120 persone è più semplice di quanto non possa apparire, tolte le ricostruzioni cinematografiche che li fa temerari e bellissimi come Tom Cruise, in realtà conducono normali vite, divisi tra il lavoro e la famiglia, con la sola eccezione che per lavoro volano a salvare incoscienti marinai della domenica, a trasportare organi a fare da scorta aerea alle autorità nazionali e anche al Papa, come è accaduto in occasione del viaggio del Santo Padre a Loreto, lo scorso settembre in occasione dell’Agorà dei giovani. Chiediamo, allora, al Capitano Bazzo:
Com’è la vita di un pilota del SAR?
“Io sogno di fare il pilota da quando ero in terza elementare. Così sono andato nell’unica accademia Aeronautica italiana, che si trova a Napoli. A 19 anni ho fatto il mio primo volo e sembrerà strano ma ho prima guidato un aereo e poi un’automobile. Poi la scuola di perfezionamento in Texas e poi finalmente sono diventato un pilota militare a tutti gli effetti. In seguito ho dovuto fare una scuola di abilitazione per far volare gli elicotteri e poi le prime destinazioni. Adesso sono a Rimini da 4 anni, lavoro dalle 8 del mattino alle 8 di sera per cinque giorni alla settimana. Nelle ore del giorno che non lavoro e nei giorni di riposo sono sempre a disposizione per possibili reperimenti. Praticamente quando si sceglie di fare questo lavoro la divisa te la cuci addosso, ma il gioco vale la candela”.
Quello dell’Accademia è l’unico percorso possibile?
“No. A Caserta esiste una scuola per sottoufficiali, dove i ragazzi possono finire gli studi, due o tre anni delle superiori. Poi esiste una scuola per sottoufficiali a Firenze”.
Nei 4 anni in cui è stato a Rimini, quali sono i soccorsi più frequenti?
“Noi copriamo un ampio raggio di costa, quindi molto spesso ci capitano dei soccorsi in mare, ma ricordo con precisione il trasporto di un cuore da Pescara a Padova, quando per decollare aspettavamo quel pesante fardello, sapendo che dall’altra parte un uomo ci aspettava. Avevamo margini di errore di 15 minuti e professionalmente e umanamente non è semplice gestire questa pressione”.
Siete impegnati in qualche missione all’estero?
“Attualmente no, però siamo stati in Iraq nella missione Antica Babilonia, dal 2003 al 2006. A turno siamo andati tutti, anche se in realtà un quarto dell’intero 15° Stormo era in pianta stabile in Iraq. Il nostro lavoro era rivolto principalmente al recupero e al soccorso di militari, coadiuvati dall’ottimo ospedale che la Croce Rossa aveva costruito sul territorio”.
È vero che esiste un metodo italiano che nelle missioni all’estero ci distingue dagli altri?
“Si è vero e questo ci inorgoglisce molto. Noi andiamo ad aiutare e non a colonizzare, non imponiamo i nostri modelli ma seguiamo le forze locali e i civili in un percorso di autonomia. Mi ricordo che dopo la tragica morte dei Carabinieri a Nassirya, la popolazione civile era in piazza a manifestare contro coloro che avevano rivendicato l’attentato; perché i militari italiani dopo anni di guerra gli avevano riportato la luce e l’acqua potabile, e temevano che quei nostri morti ci facessero andare via. Poi non è andata così”.
Dal ’96 gira la voce che lascerete Rimini per Pisignano (Cervia), quanto è veritiera questa voce?
“Il trasferimento ci sarà, non sappiamo quando, anche se la data più plausibile è quella che ci vede spostati nel 2010. In realtà la nostra sorte è strettamente legata al fatto che la base di Pisignano perderà la sua operatività con la partenza degli F16, pur mantenendo la gestione logistica della base. Solo a quel punto per noi si libererebbe un posto più idoneo, in quanto utilizzato esclusivamente da noi. In caso di emergenza sarebbe fondamentale non dover dividere lo spazio con nessun altro. Per quanto graditi siano i nostri vicini, è una questione di sicurezza nel gestire il lavoro di soccorso”.
Tra missioni all’estero, possibili trasferimenti e chiamate notturne, come è possibile gestire la vita privata?
“È possibile, in primis perché quando salvi una vita sei ripagato di tutti i sacrifici, quelli che ho fatto per arrivare sino a qui e quelli che faccio ogni giorno stando lontano da mia moglie, specialmente adesso che siamo in attesa del nostro primo bambino. Ma ripeto, quando ho salvato quelle tre vite a Riccione e poi tutte le altre, sono sicuro che anche mia moglie si è sentita con me, orgogliosa e contenta. Partecipe con il suo sacrificio, di aver riportato a casa di quelle donne i loro padri e mariti. Tutto questo è impagabile”.

Angela De Rubeis