In terra, vicino al portone, ho appoggiato tutto quello che avevo, zaino e borsa. Poi mi sono seduto sullo scalino, pensando che potevo aspettare il giorno e non svegliare chi dormiva”. Chi parla non è il ragazzo di ritorno da una lunga vacanza, ma un giovane riminese appena rifiorito alla libertà dopo due anni di prigionia. È reduce da due stagioni appese tra la vita e la morte e qual è il suo primo pensiero? Di non svegliare la famiglia che dorme.
Antonio Antoni era questo 23enne dalla amorevolezza sconfinata, una qualità che il campo di concentramento, l’orrore della guerra, la fatica della ricostruzione, poi la vecchiaia, non hanno scalfito. “Umile e schivo, uomo di pace, acogliente e premuroso” l’ha definito il vicario generale della Diocesi di Rimini nell’omelia funebre in quella chiesa di S. Agostino che il “maestro Antoni” (così era conosciuto da tutti) ha frequentato da sempre. “È stato di conforto per noi – dicono ad una sola voce la moglie Irene e le figlie Carmen e Paola – sentire in tante e così sincere manifestazioni di dolore la testimonianza degli affetti che egli aveva destato e che lo manterranno vivo nel ricordo”.
Antoni si è spento a 86 anni con il sorriso sulle labbra, lo stesso con il quale ha servito la Chiesa e la società riminese. Un impegno partito da lontano, e segnato da una pagina indelebile. Antoni era un sopravvissuto ai campi di concentramento tedeschi. Lo avevano catturato i soldati del Fuhrer perché dissidente. Il 12 settembre 1943, da sottotenente della regia aeronautica, è imprigionato a Wizendorff, ma dopo quindici giorni viene spedito ad Hannover. “Aquila azzurra 157343” (questo il nome in codice) il 20 marzo 1944 è sbattuto ad Holzen, un paese tra Amburgo e Hannover. Qui si è inventato infermiere, schivando pallottole e resistendo ai soprusi, distribuendo a quanti incontrava sul cammino umanità e aiuto. Non pochi li ha salvati da morte sicura. L’ha raccontata questa vicenda, in modo stringatissimo, in un libro Le mie prigioni, anzi un taccuino. A denti stretti, si lascia sfuggire qualche elemento in più, anche a me che lo incalzavo durante i nostri incontri quotidiani, al mattino e nel pomeriggio nell’ufficio della Casa Marvelli. Negli ultimi mesi si era lasciato convincere dalla rivista Ariminum, preparando alcune pagine di coinvolgenti ricordi. Raccontava per non dimenticare, e non è stato dimenticato. All’età di 80 anni l’amministrazione di Holzen l’ha voluto riabbracciare. “Mi ha invitato il sindaco del paese – aveva detto quasi sottovoce al collega Marco Forcellini – anche là, il 27 gennaio, celebreranno l’arrivo degli americani, e la Giornata della Memoria. E hanno voluto che per ricordare i nostri connazionali ci fossi anch’io”. Schivo come sempre, Antoni ometteva di raccontare che l’invito era particolare. Nell’estate del ’45, in quel paese della Germania del nord aveva lavorato alla sistemazione del piccolo cimitero nel quale erano seppelliti i commilitoni deceduti, con l’unico desiderio di onorarli. Da un marmista fece costruire una lapide. C’è scritto: “Questa pietra ricorda quelli che nella grigia prigionia mancarono perché loro non rinnegarono la libertà dell’uomo”.
Per la sua partecipazione al conflitto bellico aveva ricevuto la “Croce al merito di Guerra” ma senza farne mai un vanto. Preferiva evocare la sua amicizia con Alberto Marvelli e Gigi Zangheri, accanto al quale si adoperò nel dopoguerra nello scoutismo dell’ASCI e nell’Azione Cattolica. Preferiva rinverdire il sodalizio culturale e sociale con la professoressa Maria Massani, della quale seguì l’impegno nella Gioventù Studiosa e nella Fondazione “Alberto Marvelli”, della quale è stato vice presidente e segretario, svolgendo un volontariato assiduo, gratuito e prezioso. “Casa Marvelli è stata la sua casa – testimonia il presidente della Fondazione, Armando Foschi – la sua grande famiglia. Ogni ora del giorno si trovava nell’ufficio della Fondazione, intento a curare ogni particolare dei vari problemi: meticoloso ma non burocrate; disponibile e cordiale con ogni persona, ma insofferente alle chiacchiere, a cui preferiva sintesi costruttive”. Della Casa Marvelli ha accompagnato nel tempo le trasformazioni fino al volto attuale, che vede la Casa sede delle diverse testate dei mezzi di comunicazione diocesani. Negli ultimi anni aveva fondato gli scout adulti, il Masci, ma da sempre animava “iniziative a favore dei giovani. – ricorda ancora Foschi – Come il corso guide e accompagnatori turistici, giunto alla 44esima edizione, che ha inserito nel mondo del lavoro oltre mille operatori. E la Cooperativa Camas, per facilitare l’occupazione degli allievi”.
Uomo di carità intraprendente nel campo di concentramento, impegnato nell’associazionismo cattolico, in prima fila nella ricostruzione, animato da un alto senso civile, ma sempre umile e schivo. E amorevole. Come altro fotografare Antoni che “ogni mattina andava a far visita per mezzora ai suoceri ammalati a San Giuliano?” ricorda Luciana Ricci. “Il maestro Antoni è una figura storica della città e della Chiesa riminese. – è la sintesi operata da mons. Amati – Sì, perché anche chi vive nell’umiltà costruisce la storia! Era un cristiano vero: nella vita personale, nella famiglia, nella professione; nella testimonianza civile, nel volontariato ecclesiale e sociale”. Il 25 gennaio, nel giorno del suo compleanno, amici e parenti ricorderanno Antoni in una messa nella cappella di Casa Marvelli, alle ore 17, quella stessa cappella che il maestro preparava per la celebrazione ogni ultimo venerdì del mese.
Paolo Guiducci