La storia. Roberta Cecchetti di Villa Verucchio è una grande esperta di diritto dell’infanzia
Da Villa Verucchio in giro per il mondo per far rispettare le leggi internazionali e difendere l’infanzia. Specie quella negata, costretta al lavoro minorile, sfruttata e anche abusata.
Classe 1968, Roberta Cecchetti oggi vive a Ginevra, città dove hanno sede tante agenzie delle Nazioni Unite e molte organizzazioni non governative che operano nell’ambito dei diritti umani e dell’assistenza umanitaria.
Dopo il Perito Turistico a Marebello, la Cecchetti si è iscritta alla Scuola Superiore di Studi Turistici di Rimini che poi si è trasformata in Scienze Politiche con indirizzo internazionale al Campus di Forlì dell’Università Bologna. Il Master in Studi sullo Sviluppo alla Soas (School of Oriental and African Studies) dell’Università di Londra è stato il trampolino di lancio per una carriera in difesa dei minori.
È un’esperta internazionale di diritti dell’infanzia.
“Il filo rosso della mia carriera è stato quello dei diritti dei bambini. Da quando sono partita da Villa Verucchio sono andata prima a Bruxelles dove ho fatto diversi stages presso una rete europea che lavorava sui bambini ed è lì che ho imparato che esisteva una convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia adottata nel 1989 e che prevede diritti fondamentali con cui ogni bambino e bambina nasce. Quella è rimasta poi la mia ‘specialità’ soprattutto in ambito della protezione.
La mia area specialistica è quella della protezione da ogni forma di violenza di abuso e sfruttamento. Mi sono occupata a livello internazionale di lavoro minorile, di bambini di strada, di bambini soldato. L’ambito si è sempre più allargato fino a riguardare la protezione da ogni forma di violenza fisica, sessuale, psicologica e negligenza”.
Svolge diversi ruoli, ad esempio accompagna le organizzazioni e le scuole nella formulazione di politiche a salvaguardia dei bambini.
Può spiegarci meglio come si svolge il suo lavoro?
“Fra gli incarichi ricevuti in ambito protezione c’è stato anche quello di accompagnare organizzazioni non governative e scuole private, che hanno sede a Ginevra, nella formulazione di politiche di salvaguardia e di protezione dell’infanzia.
Quando si opera con popolazione di età minore e vulnerabile bisogna fare particolarmente attenzione all’uso del potere che si ha come adulti ma anche come operatori di organizzazioni che danno assistenza perché ci si trova sempre in una posizione superiore e in questi casi spesso accade che adulti e operatori abusino del loro potere. Con queste politiche si intende ridurre al minimo i rischi per i bambini di abusi e sfruttamenti di ogni tipo. Il rischio zero non esiste ma ciò che le organizzazioni e le scuole private con cui ho lavorato cercano di fare è di creare conoscenze, strutture e protocolli per far in modo che venga riconosciuta la responsabilità di ciascuno di proteggere i più vulnerabili. Fare prevenzione con formazione, cercando di riconoscere quali sono i segnali che i bambini sfruttati o abusati possono lanciare e realizzare protocolli tali che nel caso di segnalazioni (ed è responsabilità di tutti segnalare) ci siano meccanismi da attuare per analizzare la segnalazione e dare seguito a seconda della gravità e dell’urgenza del caso”.
Una parole chiave è rete.
“Una regole d’oro nella protezione, dalla prevenzione alla risposta, è di non agire mai da soli.
La protezione minori è sempre responsabilità collettività, e in seguito di persone designate per le loro particolari capacità, la formazione e le conoscenze così da agire nell’interesse superiore del minore. Ma queste decisioni è importante prenderle sempre insieme: ci siano almeno due persone che agiscano e decidano assieme ai genitori e alla famiglia nell’interesse superiore del minore”.
Ha operato per anni con una famosa organizzazione mondiale. Ci racconta qualcosa di questa esperienza?
“Per 15 anni ho lavorato con Save the Children, una delle più grandi e antiche organizzazioni internazionali non governative che lavorano e operano a favore dei diritti dei bambini. La fondatrice è la signora inglese Eglantyne Jebb che nel 1924, 100 anni fa, nel 1924, scrisse la prima dichiarazione universale sui diritti dell’infanzia. È stata una pioniera nel riconoscere ai bambini il diritto ad una vita dignitosa, un diritto innato, perché non sono solo persone in divenire ma persone ora e adesso.
Questi tre lustri di esperienza a Save the Children sono stati davvero formanti: non sarei la persona che sono ora se non avessi trascorso questo tempo in seno all’organizzazione con dei professionisti e delle persone e colleghi che hanno condiviso con me questa passione e questa voglia di far avanzare il concetto di bambini non solo appendici dei genitori ma persone nella loro interezza, che crescono e che devono sviluppare le loro capacità ma che ad ogni tappa hanno comunque capacità. Per Save the Childern i bambini sono anche cittadini che possono esprimere opinioni e visioni sulle politiche pubbliche che impattano sulla loro vita.
Con Save ho lavorato in diversi Paesi e con diverse posizioni, anche a Roma per due anni e mezzo. A Ginevra ho aperto l’ufficio di rappresentanza presso le Nazioni Unite: rappresentavo l’organizzazione presso le istanze multilaterali delle Nazioni unite presenti nella città elvetica.
In seguito mi sono occupata di sostenere l’organizzazione nello sviluppo di politiche pubbliche a sostegno della protezione dei minori e in questo ambito sono stata in diversi Paesi per sostenere gli uffici nazionali di Save, realizzare campagne e promuovere la protezione e la divulgazione di politiche pubbliche e la promulgazione di leggi per protezione dei bambini. Indonesia, Messico, Perù, Senegal: sono state esperienze molto belle, arricchenti, trascorse con colleghi locali che come me condividevano la voglia e la passione che i diritti dei loro bambini fossero garantiti e rispettati”.
Una storia che le è particolarmente rimasta impressa nel cuore.
“Nel 2013 una organizzazione locale senegalese formata da bambini e adolescenti lavoratori, una sorta di sindacato, mi ha chiesto tramite Save the Children di cui erano partner (e dalla quale erano sostenuti finanziariamente e tecnicamente), di organizzare una due-giorni di formazione per diventare più strategici ed efficaci nelle richieste nei confronti dei datori di lavoro, dei capi del villaggio e di tutte le strutture informali e formali di potere che avevano influenza sulla loro vita e le loro condizioni di lavoro.
La due-giorni ( nella foto un momento) è stata organizzata in un villaggio poco distante da Dakar e pianificata in toto con i responsabili senegalesi. Parlavo francese mentre la lingua prediletta dai ragazzi era Wolof: per tradurre le mie parole, un ragazzo realizzava disegni schematici per interpretare e raffigurare graficamente ciò che dicevo sul significato del fare comunicazione, del fare lobbing, qual è la differenza, quali gli strumenti da utilizzare, quali gli attori, quale l’oggetto delle nostre azioni, qual è il migliore messaggero, quali sono i messaggi da portare.
I protagonisti di questa due-giorni molto intensa, gioiosa e partecipata erano ragazzi dai 12 ai 18 anni, a testimonianza di come già nei giovani una sensibilità ‘politica’ possa essere presente e importante e come intendano fare propria questa responsabilità per influenzare la vita e le relazioni con gli adulti che hanno certamente più potere ma debbono ascoltare i più piccoli nelle loro legittime richieste”.
L’ultimo rapporto Unicef pubblicato ad ottobre 2024 dipinge una realtà di abusi sconcertante.
Di fronte a numeri del genere, Lei non rischia mai di sentirsi schiacciata dalla brutalità di queste azioni che feriscono in ogni parte del globo?
“I numeri degli abusi sessuali sui bambini sono sconcertanti e dipingono una realtà brutale di abusi e soprusi da parte soprattutto di adulti che tradiscono la fiducia dei bambini che ripongono in loro il naturale bisogno di protezione. È una situazione in cui ci sente spesso sopraffatti e personalmente vittima di un profondo senso di ingiustizia.
Per rendersi conto della situazione questi numeri bisogna averli e confrontarsi con questa realtà che purtroppo esiste ed esiste in tutto il mondo: non c’è alcun Paese del globo possa dire che abusi non esistano o manifestati. La capacità e la volontà di riconoscere che questo abominio esiste parte proprio dagli strumenti che una organizzazione si dà per contare, e per contare occorre avere consapevolezza e formazione per saperlo fare e fare in modo che anche i bambini si aprano, si confidino e tornino ad avere fiducia negli adulti, che poi debbono agire per poterli proteggere.
Osservando questi numeri si avverte un senso di oppressione ma disporre di essi è la tappa principale da cui bisogna partire per poter agire”.
Cosa Le manca del suo paese di origine?
“Di Villa Verucchio sento l’assenza dei cappelletti, della piadina, del cibo in generale, come del modo di stare insieme, quella forma ‘clanica’ che abbiamo noi romagnoli di occuparci gli uni degli altri.
Torno tre, cinque volte l’anno e non manco mai per Natale.
Il paese è molto cambiato in questi anni.
Meno omogeneo, più ricco di persone, esperienze e culture diverse.
Sono cresciuta attorno al convento dei frati di Villa Verucchio: i frati sono sempre meno ma continuano ad animare la vita lì attorno. Da bambina volevo fare la chierichetta ma sono stata impedita perché le ‘femmine’ non potevano stare all’altare. Oggi le mie nipotine Alice e Martina servono abitualmente la messa, un chiaro segnale che la Chiesa è di tutti”.