Il suolo non è una risorsa da consumare, ma un bene comune da preservare e tutelare. Eppure….
Il 5 dicembre è stata la giornata mondiale del suolo che ha l’obiettivo di ricordarci che la terra non è una risorsa da consumare, come purtroppo facciamo troppo spesso, ma un bene comune da preservare e tutelare. Un terzo del suolo mondiale è già degradato, soprattutto perché inquinato, ma non è solo questo il problema. Il suolo è sottoposto a inondazioni dal mare e dai fiumi, ma anche soggetto alla siccità e poi ancora al rischio di frane e di smottamenti. I cambiamenti climatici ci ricordano a quali pericoli siamo esposti noi e le altre specie viventi. Tutto l’ambiente è a rischio anche nei luoghi in cui viviamo. In troppe aree si è costruito in zone non adatte, ce lo ricordano drammaticamente le alluvioni a cui abbiamo assistito in Emilia-Romagna negli ultimi anni. Fenomeni cosiddetti estremi, ma che ormai si verificano in maniera ricorrente, anche più volte l’anno.
Ecco perché dobbiamo prestare una particolare cura al territorio ed evitare ulteriore consumo di suolo e in modo particolare impedire di edificare nelle aree soggette a rischio idrogeologico.
Se a livello conoscitivo tutto questo ci è chiaro, nella pratica, nel nostro agire quotidiano, ce ne dimentichiamo e collettivamente produciamo comportamenti quantomeno poco virtuosi. Gli ultimi dati dell’Istituto Superiore per l’Ambiente ci dicono che nel 2023 il consumo di suolo, in Italia, è proseguito senza le enza interruzione. Nell’ultimo anno, e nuove coperture artificiali hanno riguardato 72,5 km2, ovvero, in media, circa 20 ettari al giorno. Un incremento del suolo consumato inferiore rispetto al dato dello scorso anno, ma che si conferma al di sopra della media dell’ultimo decennio. Il nostro Paese, nell’ultimo anno, ha perso suolo al ritmo di 2,3 metri quadrati ogni secondo. Il comune di Rimini non fa eccezione.
Infatti, rientra tra i primi 30 comuni, con più di 100.000 abitanti, per percentuale di suolo consumato, conquistando la 22ª posizione. In provincia i comuni di Maiolo, Cattolica e Novafeltria sono quelli che nel 2023 hanno consumato più suolo, rispettivamente con il 4,1%, lo 0,44% e lo 0,42%. Certamente non un bel segnale. Oltre il 25% del suolo cementificato in provincia di Rimini è a rischio idraulico elevato. Ovvero consumiamo suolo in aree cui è statisticamente ragionevole attenderci fenomeni alluvionali nei prossimi venti o cinquant’anni al massimo, questo è quanto sostiene Ires Cgil in un recente commento sulla situazione riminese.
Nei prossimi cinquant’anni l’innalzamento del livello medio marino sarà tra i 30 ed i 45 centimetri
Tra l’altro oltre ai pericoli alluvionali c’è da considerare il rischio frane, ricordando che il 13% del suolo cementificato, in provincia, è in aree franose.
Nel contesto provinciale di Rimini, la superficie complessiva delle aree soggette a pericolosità da frane è di 189,87 km2, pari al 22% del territorio complessivo. dettaglio, la superficie delle aree a pericolosità da frana molto elevata è pari a 93,642 km2, equivalente 11% del totale, quella a pericolosità elevata è di 95,068 km2, corrispondente all’11% del territorio.
Ponendo l’attenzione alle classi a maggiore pericolosità, quindi elevata e molto elevata, assoggettate ai vincoli più restrittivi di utilizzo del territorio, le aree ammontano a 188,71 km2, pari al 21,8% del contesto provinciale, ben al di sopra della media regionale che è pari al 14,6%.
Per quanto riguarda il rischio idraulico a livello comunale, le classi con maggiore intensità di pericolosità di alluvioni risultano, ovviamente, distribuite lungo la fascia costiera, con il Comune capoluogo che rientra in questo ambito. Nel dettaglio, i comuni di Rimini, Bellaria Igea Marina e Riccione rientrano nella classe più alta di rischio.
I problemi però non finiscono qui, lungo la costa c’è il pericolo dell’innalzamento del livello dell’acqua. Gli scenari di previsione per l’innalzamento del livello medio marino previsto stimano, per la costa Romagnola, vede un range d’innalzamento del livello medio marino tra i 30 ed i 45 centimetri, nei prossimi cinquanta anni.
In questa situazione i piani urbanistici dovrebbero avere grande attenzione alle aree che sono soggette a fenomeni di pericolo idrogeologico, di frane e di invasione delle acque marine. Bisogna tener presente che le urbanizzazioni di scarsa qualità, l’impermeabilizzazione dei suoli e la bassa efficienza energetica degli edifici aggraveranno gli effetti del cambiamento climatico, peggiorando la qualità della vita soprattutto per i meno abbienti. Oltre ai danni agli edifici e alle persone, il dissesto idrogeologico contribuirà a peggioramenti strutturali e allo spopolamento dei piccoli centri più esposti. Tutti i Comuni della provincia sono in ritardo nell’elaborazione e nell’approvazione dei piani urbanistici generali, che di questi problemi si devono far carico, e questo sicuramente non è un buon segnale, sembra che prevalga la sottovalutazione dei rischi della fragilità del territorio e dello stesso cambiamento climatico. Speriamo che recuperino in fretta il tempo perso.
Alberto Rossini