In un mondo iperconnesso, in cui tutto cambia in un battito di ciglia, la spiritualità sembra essere l’ultima cosa di cui ci si preoccupa. Infatti i giovani, un tempo fondamentali nelle comunità religiose, oggi appaiono sempre più distanti dalla fede. Non è solo una questione di numeri, ma di un’intera generazione che cerca nuove risposte altrove, abbracciando il pensiero scientifico, l’individualismo e nuovi valori sociali. Quali sono le cause di questo distacco? È davvero la fede a non parlare più ai giovani o sono i giovani a non trovarvi più la loro voce? Vediamo qualche possibile risposta.
La secolarizzazione e l’emergere di nuovi valori
La secolarizzazione, ovvero il processo attraverso cui la società si allontana da norme e credenze religiose, ha avuto un impatto significativo sulla mentalità dei giovani. Nelle società moderne, la fede è spesso sostituita o affiancata da altre fonti di valori, come l’umanesimo laico, la scienza e la filosofia.
In questo nuovo scenario, dunque, la fede tradizionale non è più l’unica lente attraverso cui interpretare la realtà.
La tecnologia e la crisi dell’autorità religiosa
La tecnologia, inoltre, ha reso l’informazione più accessibile che mai, con internet che funge da piattaforma per una moltitudine di idee e opinioni diverse. Questa sovrabbondanza di informazioni porta i giovani a esplorare, confrontare e mettere in discussione le credenze religiose, evidenziando la pluralità di visioni del mondo che caratterizzano l’era moderna. Il risultato è un approccio più critico alla religione, in cui la verità non è più esclusiva di una singola tradizione. Allo stesso tempo, molti adolescenti considerano quella religiosa un’istituzione ipocrita o inadeguata, incapace di rispondere alle esigenze di un mondo che cambia repentinamente.
La testimonianza
Sentiamo proprio dalla voce di Luca, giovane riminese di 28 anni che si identifica come ateo, quali possono essere i motivi del suo distacco dalla fede, dalla Chiesa e la religione in genere. Coincidono con quelli già sopra elencati? Ce ne sono degli altri?
“Quando ero un bambino, sono stato immerso nel mondo della religione come parte di una consuetudine sociale. I miei genitori hanno visto la partecipazione alle pratiche religiose come un rito di passaggio quasi inevitabile. Ho ricevuto il battesimo, seguito poi dalla comunione e infine la cresima. La mia presenza alla messa domenicale e al catechismo era una parte regolare della mia infanzia. Tuttavia, una volta completato il percorso della cresima, non ho più continuato a frequentare la Chiesa. Questa disconnessione è avvenuta naturalmente, senza imposizioni da parte della mia famiglia, anche i miei coetanei di allora avevano smesso di partecipare. L’assenza di un legame personale con la fede ha poi contribuito al mio distacco”.
Cosa ti ha portato a identificarti come ateo, dunque?
“Adotto, molto semplicemente, un approccio razionale e scientifico alla vita e non ho mai trovato utile soffermarmi a riflettere su entità trascendenti o superiori. La religione non suscita alcun interesse in me, né vi trovo un significato che possa arricchire la mia visione del mondo”. Quali sono stati le esperienze o i pensieri che ti hanno condotto a mettere in dubbio la religione o la fede in Dio? “Non posso indicare un’esperienza specifica che mi abbia portato a rifiutare l’idea dell’esistenza di Dio. Tuttavia, percepisco la religione come un concetto datato, superato e dogmatico. Ritengo che l’Italia, con la sua forte connessione storica e culturale con la Chiesa, sarebbe diversa senza l’influenza di quest’ultima. Probabilmente emergerebbe una mentalità più moderna e aperta”.
Dunque non credi che la religione possa avere un ruolo positivo nella società
“No… Basti pensare che oggi le famiglie si presentano in molte forme, comprese quelle costituite da coppie dello stesso sesso, un riflesso dell’evoluzione sociale. La Chiesa, al contrario, sembra rimanere ancorata a posizioni tradizionali senza fare significativi passi avanti. Un esempio emblematico è la figura del prete che, pur essendo alla guida della comunità, vive una vita priva di esperienze come il matrimonio e la partenità. Ciò risulta in contraddizione, a mio avviso, con il messaggio di inclusività e amore che la Chiesa predica”. Qual è la tua opinione sul concetto di vita dopo la morte o su un fine ultimo dell’esistenza? “Considero la vita e ciò che accade dopo la morte attraverso una lente scientifica. La vita è unica e irripetibile, per questo va vissuta appieno. Non credo in un’esistenza post-mortem: dopo la morte, per me, c’è il nulla. Le domande fondamentali della vita, come ‘Perché siamo qui?’ o ‘Qual è il nostro scopo?’, trovano secondo me risposta in concetti come il caso e la fortuna. Siamo il risultato di eventi fortuiti, di un’incredibile combinazione di circostanze naturali. Anche se la vita è straordinaria nella sua complessità, non attribuisco questa meraviglia all’intervento di un Dio. Riconosco il valore intrinseco della mia esistenza e apprezzo il tempo che ho”. C’è qualcosa che ti piacerebbe che i credenti comprendessero meglio riguardo la tua posizione di ateo? “Penso che la comprensione e l’apertura mentale siano essenziali per una società più tollerante. Le scelte di vita di ognuno dovrebbero essere rispettate, poiché la vita è una sola e ognuno ha il diritto di viverla come meglio crede, senza timore di critiche o pregiudizi”. Ultima domanda… Cosa pensi di questo distacco dei giovani dalla fede? “Forse è tempo di ripensare il modo in cui la fede si esprime e di interrogarsi su come questa possa rinnovarsi per rispondere alle sfide di un mondo in rapido cambiamento. La spiritualità, infatti, non è del tutto scomparsa: si è semplicemente trasformata, cercando nuove forme di connessione che potrebbero essere più in sintonia con le esigenze di noi giovani. Lontano da dogmi e strutture rigide, la fede potrebbe trovare nuove strade per rispondere ai bisogni più profondi di chi vive nell’incertezza, nella ricerca e nel cambiamento”.