Per la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia eseguita in forma di concerto Rodelinda di Händel
ROMA, 22 novembre 2024 – È tra le opere più conosciute e amate di Händel, ma più per il virtuosismo canoro che per una vicenda drammatica non proprio avvincente. In Rodelinda rivivono infatti tutti i fasti delle meraviglie barocche amatissime dal pubblico londinese del tempo, quando gli interpreti avevano nomi leggendari come Cuzzoni o Senesino, che hanno posto inevitabilmente una pesante ipoteca su ogni esecuzione futura.
Se però si effettuano drastiche sforbiciature, come è successo nell’esecuzione in forma di concerto proposta all’Accademia di Santa Cecilia nell’ambito della stagione da camera, si stenta a riconoscere la fisionomia di questo ‘dramma per musica in tre atti’, composto da Händel nel 1725 su versi di Nicola Haym (che aveva rielaborato un libretto preesistente di Antonio Salvi per Perti). Così, quando ci si avvia troppo precipitosamente verso il finale, e diviene sempre più difficile orientarsi nella farraginosa organizzazione drammaturgica, resta l’impressione che certi tagli siano stati effettuati soprattutto per agevolare i cantanti – non sempre in grado di rispondere ai desiderata haendeliani – anziché per la preoccupazione di non stancare troppo gli ascoltatori odierni. È possibile, comunque, che una parte del pubblico si consideri già soddisfatta per aver ascoltato ben due controtenori (sono loro le vere star canore di oggi), indipendentemente da quelli che possono essere i loro contributi all’esito complessivo dell’opera, che passa quasi in secondo piano.
L’esecuzione era affidata all’ensemble La Lira di Orfeo, gruppo fondato dal controtenore Raffaele Pe – curatore pure dell’edizione critica – con cui collabora abitualmente. I diciannove validi strumentisti (Concertmaster la violinista Elisa Citterio, che suona per quasi tre ore rimanendo sempre in piedi) sono stati protagonisti di un’esecuzione corretta, forse un po’ anonima, cioè priva di quella varietà – soprattutto dinamica – che infonde originalità a un’interpretazione.
Sul versante canoro, invece, meglio dimenticare i fasti vocali delle origini come pure gli strabilianti vertici raggiunti in tante incisioni discografiche. Il compito d’interpretare Rodelinda, regina dei Longobardi (la vicenda è ambientata nel VII secolo), spettava al soprano canadese Karina Gauvin: dopo un avvio un po’ sottotono nella celeberrima aria Ombre, piante, urne funeste! è riuscita gradualmente a trovare una sua dimensione, raggiungendo i migliori risultati nei momenti più elegiaci. Bertarido, il re cacciato dal trono e suo sposo, era appunto il controtenore Pe, che deve fare i conti con una certa – inevitabile? – disomogeneità vocale: una prestazione dagli esiti nell’insieme discontinui, pur compensata da pregevoli passaggi lirici dove il cantante ha esibito un’indubbia intensità espressiva. La seconda donna, Eduige, sorella di Bertarido, era interpretato dal mezzosoprano Giuseppina Bridelli, corretta nonostante un canto poco fluido. Ancor più faticosa e forzata l’emissione del tenore Luigi Morassi, nei panni del tirannico Grimoaldo. Il basso Mirco Palazzi si è fatto apprezzare nel ruolo del confidente e anima nera Garibaldo, sebbene apparisse a disagio nelle discese più gravi, dove ha corso più volte il rischio di stimbrarsi. Peccato poi che il personaggio di Unulfo sia il meno rilevante sul piano drammatico, né canti le arie più belle. Il controtenore polacco Rafał Tomkiewicz, infatti, è apparso il migliore del cast sia per una voce piena e penetrante sia per l’apprezzabile omogeneità dell’emissione.
Un’occasione mancata, che non ha reso giustizia alle caratteristiche di un’opera bellissima e che – quanto meno – meritava di essere apprezzata nella sua interezza.
Giulia Vannoni