E così le elezioni regionali ci hanno consegnato una vittoria netta, inequivocabile, decisa, indiscutibile, nitida, robusta, ampia, lampante, inconfutabile. E soprattutto, per usare un tecnicismo politico, bulgara. Potrei riempire questo spazietto di sinonimi tanto le cose non cambierebbero.
La vittoria dell’astensionismo conferma, casomai ce ne fosse bisogno, che ormai l’elettorato ha trovato un’identità mai così forte: quella di disaffezione, indifferenza, disinteresse (tranquilli, non riparto coi sinonimi). L’astensionismo non dà fastidio ai vincitori: non guasta la festa perché ce ne si dimentica subito, non rilascia dichiarazioni stampa e non fa stories su Instagram, non chiede uffici o incarichi, scompare nelle tabelle delle percentuali di voto per cui chiunque, dall’elezione dei rappresentanti di classe a quelle del Governo, può gloriarsi di avere ricevuto un’investitura. E agli sconfitti va benissimo così possono rifugiarsi nel “cosa esultate, non abbiamo perso noi, ha perso la politica gnegnegne”. E ormai non conta più la percezione della vicinanza o meno di un’istituzione: con la Regione a livello di affluenza è andata ancora peggio che con le Europee. Ma visto che bisogna essere realisti, per favore basta con le pantomime: è inutile dire che la politica deve governare e parlare ai cittadini. Non sa fare bene una cosa sola alla volta, figuriamoci due. Chi vince ha il diritto e dovere di governare, per favore governi. Anche per il vincitore bulgaro.