FONDAZIONE RIGHETTI A palazzo Buonadrata l’intervento dell’ex ministro Renato Balduzzi “I dati vanno aggregati e contestualizzati. La qualità dell’assistenza, post pandemia, è aumentata”
“La sanità è al primo posto tra le preoccupazioni degli italiani”.Citando il rapporto realizzato il mese scorso da Demos per Repubblica, Mirna Ambrogiani, presidente della Fondazione Igino Righetti, introduce l’incontro dell’11 novembre a palazzo Buonadrata (Rimini) Curare la sanità pubblica. Relatori l’ex ministro alla Sanità Renato Balduzzi (nella foto) e il giornalista Primo Silvestri, moderati dal giornalista Giorgio Tonelli. Liste d’attesa lunghe anni, medici in fuga non solo dai pronto soccorso, milioni di italiani che rinunciano a curarsi per mancanza di soldi. Di fronte agli stessi numeri nascono polemiche tra una maggioranza, per esempio, che sostiene di aver aumentato i fondi per la sanità, e l’opposizione che ribadisce tutto il contrario. “ Essendoci tanti interessi, e pesanti, in sanità, giocare con i dati è allettante: servono dal punto di vista di chi li propone. Per questo è molto difficile riuscire ad avere una lettura esatta e corretta”, spiega Balduzzi.
Lei quindi cosa ci suggerisce?
“Abbiamo tantissimi rapporti annuali in Italia sulla sanità. I tre più interessanti, perché provengono da Università differenti sotto il profilo culturale e organizzativo sono quelli del Crea di Tor Vergata (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), del Cergas Bocconi (Centre for research on health and social care management, Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) e dell’Osservatorio salute dell’Università Cattolica.
Sono interessanti perché condividono una certa lettura e quando ciò accade c’è ragione per pensare che quelle conclusioni siano affidabili”.
Cosa ci dicono? Sottolineeranno sicuramente la situazione di sofferenza del sistema… “Ma assolutamente no. Non con le caratteristiche percepite nella comunicazione pubblica, nei giornali, nei social. All’indomani della fine dell’emergenza pandemica (precisando che sarà difficile liberarci in fretta da un fenomeno pandemico così pesante), i primi rapporti disponibili, quelli relativi al 2022, pubblicati nel 2023, fatto da questi tre Centri, sottolineavano un dato quasi paradossale e cioè che la garanzia e la qualità dei livelli essenziali di assistenza post ondate pandemiche non erano diminuite rispetto a prima della pandemia, anzi erano aumentate”.
Ma allora perché se vado in un pronto soccorso in Spagna esco con la diagnosi e la cura dopo un’ora e mezza, mentre in uno qualsiasi qui in Italia devo organizzarmi per trascorrerci le ore, se non le giornate?
“La Spagna ha nel tempo realizzato una buona sanità territoriale. Non mi stupisce quindi la situazione del loro pronto soccorso. Noi stiamo ancora meglio degli spagnoli per quanto riguarda tutta una serie di altri indicatori, come per esempio la speranza di vita, noi siamo i primi in Europa e Rimini è sopra la media nazionale.
E un servizio sanitario si qualifica anche e soprattutto per questo. Pur consapevoli che la speranza di vita non è legata solo all’efficienza dei servizi sanitari, non può nemmeno prescinderne”.
Cosa ne pensa del dibattito politico del momento, sulla legge finanziaria e sui finanziamenti alla sanità?
“I dati parlano da sé. Per poter valutare correttamente bisogna contestualizzare. Se ci si trova in un periodo di ciclo economico positivo e la percentuale dei rimborsi destinati alla sanità non si alza, vuol dire che c’è una volontà politica. Se sto in un periodo di ciclo economico durante il quale arrivano inaspettate tante risorse da fuori, dall’Europa per esempio, come è successo con la pandemia, e non aumenta la percentuale dei rimborsi destinati alla sanità, beh allora c’è una volontà politica”.
Lei come faceva?
“Io ho fatto il ministro dal 2011 al 2013.
Non c’era un centesimo delle casse dello Stato. Il mio problema era che il ministro dell’Economia, che non era cattivo ma semplicemente doveva fare quadrare i conti e doveva allungare le mani dove poteva, si tenesse lontano dalla sanità. Ci sono stati e ci sono momenti nella storia d’Italia dove questo problema non esiste. Allora sì che bisogna farsi valere. Ma la storia bisogna dirla tutta”.
Cosa intende?
“Abbiamo tuttora una spesa pensionistica fuori dall’ordinario. Non c’è famiglia in Italia che non abbia tratto vantaggi da una serie di normative che hanno portato a uno squilibrio della spesa pensionistica.
Questo non c’è in altri paesi. È molto difficile pensare che possano essere investite (come dovrebbe essere) in sanità e in salute molte più risorse finché rimane questo squilibrio. È ancora più difficile pensare che possano essere destinate tante risorse alla salute finché rimane un livello di evasione fiscale che non ha paragoni negli altri Stati. Basterebbe dimezzarla. Un po’ di evasione fiscale, spiegano gli esperti, è fisiologica, ma quando tu ne hai 120 o 130 miliardi non è fisiologica: sei patologico. Recuperando solo il 35-40% hai una manovra finanziaria di un anno. Anche su questo non tutti i governi si comportano allo stesso modo.
Bisogna distinguere, altrimenti ci facciamo prendere in giro”.
Cosa ne pensa della questione della carenza di personale sanitario e delle conseguenti liste d’attesa?
“Ci sono specialità nel servizio sanitario nazionale che hanno liste d’attesa più lunghe un po’ perché mancano i professionisti, un po’ perché troppi professionisti lucrano. Anche questa è una cosa che va detta, senza demonizzare alcuno.
Altrimenti non si riesce a capire perché noi abbiamo una media medico abitante superiore alla media europea. I professionisti mancano in alcune specialità, come il pronto soccorso, ma per il resto non abbiamo pochi medici, semmai sono mal distribuiti. Abbiamo un esercito di medici di famiglia, mediamente preparati, pochissimo utili al sistema perché non sono integrati in rete. I Cau (Centro assistenza urgenza) sono una bellissima realtà e sono esatti i dati che forniscono le Regioni: con la predisposizione di queste strutture, in poco tempo c’è stato un abbattimento degli accessi al pronto soccorso che in qualche caso è arrivato a 53%. È vero anche che ci sono qua e là resistenze. Quella sanitaria è una rete: chiede che i vari punti siano collegati, l’ospedale con il territorio. Se mancano le volontà, scriviamo delle cose tanto per scrivere”.
A proposito, al novembre del 2012 risale la pubblicazione del suo ‘decreto Sanità’. A che punto siamo?
“Nel riassetto dell’assistenza territoriale quasi casualmente è emersa la figura delle Case della comunità come sviluppo delle Case della salute che alcune Regioni, in primis la vostra, hanno implementato. Altre regioni hanno fatto finta. Dove c’era un ambulatorio si è ordinata una nuova insegna ed è diventato poliambulatorio. Dove non hanno fatto le Case della salute, ma hanno cambiato solo l’insegna, di fatto c’è un vecchio poliambulatorio.
Adesso qualcuno giocherebbe a fare lo stesso scherzetto anche con le Case della comunità con il risultato che chi ci guadagna è uno solo quello che produce l’insegna. Tutti gli altri ci guadagnano a essere presi non in carico ma in giro”.
La situazione
Silvestri: “Pronto soccorso: qui peggio che in Spagna”
“Voglio partire dalla lettera di una turista italiana che è andata all’ospedale Regina Sofia di Cordova, in Spagna. È entrata alle 11,45 nel pronto soccorso, ha fatto tre visite e due radiografie, è uscita alle 13,10, cioè dopo un’ora e mezza. Bene. Qualche giorno fa sono capitato per motivi familiari al pronto soccorso di Rimini. C’è un tabellone che mostra i tempi di attesa: per un codice arancione 257 minuti, cioè 4 ore; per un codice azzurro 207 minuti. Non è una novità, ma è una conferma. O gli spagnoli sono troppo bravi, o noi abbiamo qualche problema”. A Primo Silvestri, giornalista e scrittore, direttore di Tre, Tutto Romagna economia, è toccato introdurre il tema, concretizzandolo in termini numerici e anche pratico-esperienziali, portare dati. “In fatto di sanità vengono diffusi tanti numeri di fronte ai quali, il governo che dice che si sta investendo in massimo, l’opposizione che dice che non è proprio così: i numeri si possono tirare da una parte all’altra. Ognuno lo fa per confermare il proprio ragionamento”.
C’è un modo per fare chiarezza? “Sono andato a vedere cosa dice un osservatore esterno, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Il trentesimo report, Panorama sulla salute 2024, dice che l’Italia è balzata dal secondo al nono posto nella qualità dell’offerta sanitaria del mondo”. Quanto c’entra in questo record negativo la spesa? “L’inflazione ultimamente è stata molto alta. Se investo la stessa cifra di un periodo in un altro momento caratterizzato da un’inflazione del 15-20% voi capite che ha un valore minore”.
Come è posizionata l’Italia in Europa in fatto di spesa per la sanità? “A parità di potere d’acquisto, nel 2023 per singolo abitante, l’Italia ha speso 2.379 euro, la Francia 3.759 euro, la Germania 4.400 euro, la Spagna 3.200 euro, ma 2.500 ai tempi dei fatto della lettera,un po’ più di noi, offrendo servizi migliori. È chiaro che stiamo di anno in anno spendendo di meno. Rimini e l’Emilia Romagna non sono fuori dal contesto italiano: se i soldi non arrivano è chiaro che si presentano difficoltà, si allungano le liste. Ma c’è chi non può aspettare. In Italia, sono 4,5 milioni le persone che rinunciano a curarsi per difficoltà economiche”. (fa)