Perle come sberle. Nel centenario della nascita di don Oreste Benzi pubblicata un’ampia raccolta (600 aforismi) di suoi detti, provocazioni e aneddoti
Don Oreste in formato tascabile. Un librino di carta e di carne.
Meglio, di mente e, soprattutto, di cuore, di un cuore pulsante. Attenzione: il presente non è un libro su don Oreste. È proprio di don Oreste. Un arazzo di 600 suoi detti, che, con linguaggio più solenne, vengono chiamati aforismi. Curata “con intelletto d’amore” (Dante) dalla postulatrice della causa di beatificazione, la prof. Elisabetta Casadei, abbiamo tra le mani una raccolta, accurata e assai interessante, di massime, sentenze e pungenti provocazioni. Veri e propri slogan, dunque?
Ma no: questo termine, abbinato al soggetto ‘don O. B.’, risulterebbe vocabolo sconcio, dal cattivo odore di pubblicità e di commercio. Del cuore non si fa mercato.
Insomma il nostro libretto si presenta come un minuscolo ma prezioso scrigno che custodisce una lunga litania di parole, luminose come perle dal candore incandescente, scovate dai tantissimi scritti autentici, ripescati dalla serie sterminata di omelie e catechesi.
Oltre che setacciati da conferenze e interventi in convegni vari, che si distribuiscono su una mappa di ben oltre 400 voci, tra amore e dolore, famiglia e società, giovani e anziani, lavoro e sfruttamento, fraternità e ostilità, storia e spiritualità.
Bene, se dovessi dare qualche consiglio per la consultazione di questo tascabile – dal momento che ho avuto la fortuna di vederlo nascere e crescere – mi permetterei di suggerire di partire dalle ultime pagine dove vengono scandite quelle tantissime voci tematiche che compongono il corposo indice analitico, dalla A alla Zeta.
Se riesco, provo a prenderne una voce per ogni lettera dell’alfabeto, ispirandomi a un criterio puramente statistico: sono le voci che registrano il numero più alto di ricorrenze.
Ma forse, prima ancora, è il caso di precisare cosa sia un aforisma. Secondo lo psicologo-psicoterapeuta Bernardo Paoli, è una sorta di “ bomba linguistica” che in una breve frase e con linguaggio nitido e marcato concentra un più ampio e articolato messaggio di vita.
Elisabetta Casadei, sua postulatrice nella causa di beatificazione: “Le cose belle prima si fanno e poi si pensano”
L’ABC del Don
A come Amore. È la voce più ricorrente di tutto l’aforismario benziano. Qui la curatrice crea due sotto-gruppi: Amore per Dio e Amore di Dio. Nell’immaginario collettivo l’espressione viene per lo più intesa come l’amore nostro rivolto a Dio. Mentre noi sappiamo (ma lo crediamo veramente?) che l’amore primoprimario è l’amore di Dio per noi, come ci ricorda l’evangelista Giovanni: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi. (…) Noi amiamo perché lui ci ha amati per primo” (1Gv 4,10.19). Per il Don questo amore preveniente e assolutamente prioritario di Dio per noi è talmente forte e insuperabile da trasfigurare perfino il dolore in opportunità di amore e di salvezza da parte di Dio. Di qui la sua preghiera: “Quando mi trovo davanti ai miei fratelli che si dibattono nella sofferenza, chiedo solo al Signore: «Fa’ che lui si senta amato da Te, mio Dio»” (n. 379).
B come Bambino/i. A proposito di una bimba di 11anni che gli chiede perché i suoi genitori si sono separati: “Se facessimo fare le leggi sulla famiglia ai bambini di otto anni, avremmo il paradiso su questa terra” (n. 312).
C come Chiesa. A proposito della Chiesa ‘ospedale-da-campo’: “La Chiesa corre il rischio di diventare un grande pronto soccorso, dove si curano i malati, ma non ci si chiede perché si ammalano” (n. 108).
Ma se non si parte da una buona diagnosi, non si approda mai a una buona terapia. Ed ecco un folgorante messaggio sulle persecuzioni: “Quante volte le persecuzioni che la Chiesa riceve, non sono dovute a odio, ma perché non siamo abbastanza cristiani” (n. 258).
Poi, sulla cosiddetta pastorale dei cosiddetti lontani, il botto: “Non ci sono i lontani; siamo noi i lontani da coloro che sono lontani da Dio” (n. 592).
D come Dio. Dio, nostro senso e nostro unico fine: “Senza Dio l’uomo deve negarsi e ingannarsi, perché Dio è l’unica ragione dell’essere umano” (n. 67).
Certo, ma… e il dolore? “Tante volte io dico al Signore: «Io non so, Signore, perché succede questo, ma io so che Tu lo sai, e questo mi basta»” (n. 104). Don Oreste vuole condividere con noi anche un altro flash: “Ho scoperto che la misericordia è l’aspetto materno di Dio” (n. 57).
Alcuni detti sono già diventati famosi: “L’uomo non è il suo errore”, e “Per stare in piedi bisogna stare in ginocchio”, come quello indicato come primo dalla curatrice del volume
E come Educare. “L’educazione è cosa del cuore”, affermava don Bosco. Anche don Oreste, dal canto suo, è stato un finissimo educatore. Vedi un suo principio di grande saggezza: “Se una verità non entra prima nel cuore, difficilmente entra nella mente” (n. 13). Il Don ha curato in modo particolare gli adolescenti (i pre-jù), dei quali diceva: “Hanno una casa, ma non hanno una famiglia” (n. 21). E dei giovani ricordava: “I giovani hanno bisogno di incontrare degli innamorati di Gesù, non dei facchini di Dio, o atei che sanno molte cose su Dio” (n. 548). E quando pensava ai figli, in generale, sbottava sconsolato: “Quanti ce ne sono di orfani con i genitori vivi!” (n. 60). Ed ecco un’altra perla, o un’altra sberla del Don, come la chiamerebbe, con felice assonanza, la Casadei.
Si sa: il servizio educativo esige la pazienza. Ma cos’è questa benedetta pazienza? “È la capacità di soffrire prendendo l’altro com’è, per aiutarlo a diventare come deve essere” (n. 70).
F come Felicità: vedi anche Gioia. Un lampo: “Io nella mia vita ho trovato una via per avere sempre la gioia. L’ho trovata quando ero giovane. Il punto centrale è questo: non pensare mai a me. Allora sto bene” (n. 85).
G come Gesù. È la voce più attestata in assoluto, con la bellezza di ben 83 ricorrenze.
Ne spulciamo solo due, semplicemente esclamative. La prima: “La vita cristiana non è un insieme di regole, è una relazione vitale con Lui, Gesù.
Il cristianesimo non è neanche una teologia. È Cristo Gesù che ci conforma a Lui” (n. 317). La seconda, dirompente: “Non basta vivere per Gesù, bisogna vivere in Gesù (…), altrimenti da incendiari si diventa pompieri che si arrabbiano con gli incendiari” (n. 424). Insomma: Gesù o è tutto o è niente.
Meditiamo, gente.
Ma adesso, arrivati a questo punto, devo gridare: Aiuto! Mi manca pochissimo altro spazio per toccare il tetto massimo delle battute che mi aveva concesso il Direttore. Mi rendo conto che non sono neppure arrivato alla metà dell’Abecedario del Don. Allora faccio una proposta. Do la disponibilità di una seconda puntata, però a condizione che ci siano almeno venticinque lettori che la richiedano direttamente al Direttore.
+ Francesco Lambiasi