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Janáček nei luoghi di Mendel

Quartetto Q VOX - PH Marek Olbrzymek

Al Festival Janáček il concerto dei Q VOX nel refettorio della abbazia agostiniana dove viveva e lavorava Gregor Mendel 

BRNO, 2 novembre 2024 – Possiede un significato storico straordinario la sala che ospita il primo dei concerti da camera del Festival Janáček. Era infatti il refettorio dell’abbazia agostiniana di Brno, in cui viveva Gregor Mendel ­e dove questo gigante della scienza (non solo della biologia) condusse i suoi esperimenti su migliaia di piante di Pisum sativum, ottenendo quegli esiti enunciati nel 1865 e che – pur ignorati per qualche decennio – gli permisero di porre le basi della genetica classica. Nel cortile del convento, il monaco compiva anche le sue osservazioni meteorologiche: un tratto che lo accomunava a tanti colleghi scienziati italiani di quel periodo, soprattutto appartenenti a ordini religiosi. Visitando il museo adiacente al refettorio è possibile poi informarsi sulle principali tappe della variegata biografia intellettuale di Mendel (un altro percorso a lui dedicato, il Mendelianum, concepito più specificamente per attività didattiche, si trova in centro città). Si può così prendere atto che, pur non essendo nato a Brno, l’abate gravitò nella città ceca per quasi tutta la vita, fino alla morte. Un destino che in qualche modo lo accomuna a Leoš Janáček, nonostante i trentadue anni che separano le loro date di nascita. Anche il compositore non era nativo di Brno, ma trascorse gran parte della propria esistenza nella località morava: centro gravitazionale delle esistenze di due grandi uomini.

Pavel Maška – PH Marek Olbrzymek

È contiguo al luogo dove si svolgevano esperienze scientifiche di tale rilevanza, dunque, lo spazio che ha ospitato il concerto dei Q VOX: un singolare quartetto vocale maschile fondato nel 1997, costituito da tenore e baritenore, cui si affiancano baritono e basso. L’accostamento tra musica e scienza, suggerito dallo spazio, è comunque una scelta meno anomala di quanto si potrebbe pensare. L’autore più presente nei brani in programma, Janáček, era infatti particolarmente interessato alla scienza. Con grande rigore ha sempre condotto pionieristici studi sulla voce, basandosi sulla lingua parlata, ai fini di modellare la parola sulla musica, in modo da ottenere la massima resa espressiva nell’emissione del suono. Ed è uno dei motivi per cui le sue composizioni vocali vanno ascoltate rigorosamente in ceco e non in traduzione, anche da chi non conosce questa lingua.

I magnifici componenti del quartetto (Petr Julíček, tenore, Tomáš Badura, baritenore, Tomáš Krejčí, baritono, e Pavel Maška, basso), che hanno cantato rigorosamente a cappella, sono riusciti a valorizzare al meglio i testi poetici, riuscendo a trasmettere con la massima naturalezza le sensazioni veicolate dalla musica, al di là degli ostacoli linguistici. I quattro artisti possiedono uno sbalorditivo affiatamento e cantano davvero a una voce sola, tanto che all’inizio appariva difficile distinguere le loro diverse individualità: per metterle a fuoco è stato necessario aspettare qualche passaggio solistico, e le loro fisionomie vocali si sono fatte allora più nitide. Si potevano così apprezzare il colore da tenore lirico di Julíček, la naturalezza dell’emissione baritonale di Krejčí (non a caso il più giovane di un insieme formato non esattamente da ragazzi), la rotondità da basso-baritono, più che da basso assoluto di Maška, evidente soprattutto quando fa da pedale grave all’intero gruppo; quanto a Badura, si è sempre mantenuto nell’ambito di un registro piuttosto centrale.

Il programma del concerto, molto ben impaginato, puntava soprattutto su Janáček, che aveva svolto – non a caso – una lunga attività come direttore di coro, di cui rimane traccia nella sua ricca  produzione dedicata ai più svariati organici vocali. I quattro cantanti hanno prima affrontato pagine dove prevale il doloroso senso di smarrimento di versi poetici connessi alla guerra, sia di Janáček sia di un altro autore, Pavel Křížkovský, frate dell’abbazia agostiniana, quasi coetaneo di Mendel e maestro del giovane Leoš (forse l’anello di congiunzione fra le attività di Mendel e gli interessi per la scienza di Janáček?). L’atmosfera si è poi alleggerita, divenendo meno malinconica, con richiami alla natura e a suggestioni amorose, compreso Laská opravdivá (Amore vero), scritto nel 1876, forse il brano più noto dell’intero catalogo corale janacekiano. Non poteva naturalmente mancare un breve omaggio a uno dei massimi protagonisti della musica boema come Dvořák, di cui Janacek era amico e grande ammiratore; la conclusione è invece stata affidata ad arrangiamenti di pagine popolari, dove le cadenze tipiche della musica slava e i suggestivi echi folclorici, seppure già presenti in forma trasfigurata nei precedenti brani, affiorano in modo del tutto evidente. Conquistando piacevolmente l’ascoltatore.

Giulia Vannoni