LA STORIA VERA DI ANGELA E NAZZARENO Il centro culturale Paolo VI presenta “Nel tuo silenzio”, l’ultimo romanzo di Sergio Barducci: la scelta coraggiosa di un marito contro tutti che ha ispirato la fiction “Buongiorno mamma”
Quella di Nazzareno e Angela è la storia di marito e moglie sposati da dieci anni, con cinque figlie. La più piccola aveva 15 mesi e la più grande aveva 9 anni quando una tragedia ha sconvolto la loro quotidianità, felice e serena”. Sergio Barducci (nella foto piccola), giornalista, per anni caporedattore centrale della San Marino Rtv, ci introduce così al suo ultimo romanzo Nel tuo silenzio, edito da Minerva, che sarà presentato venerdì 8 novembre alle 21 a palazzo Soleri (corso d’Augusto 241, Rimini), per iniziativa del Centro culturale Paolo VI. Racconta la vicenda vera che ha ispirato la fiction Mediaset Buongiorno mamma, prodotta da Lux Vide, con Raoul Bova e Maria Chiara Giannetta.
“Non conoscevo questa famiglia di Avezzano e la sua storia. Raccontarla è stata un’esperienza toccante, mi ha arricchito moralmente, eticamente, personalmente. Mi ha fatto riflettere, capire tante cose. Il libro è stato scritto per il desiderio della Lux Vide di far conoscere i fatti reali vissuti da Angela, Nazzareno e le loro figlie, visto che la sceneggiatura della serie, per ragioni televisive, aveva introdotto alcuni elementi che allontanavano dal racconto reale dei fatti”.
Barducci per Nel tuo silenzio ha ricevuto un messaggio di apprezzamento dal presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, ma partiamo dal principio. Angela Calisse e Nazzareno Moroni si erano innamorati ai tempi del liceo, si erano sposati a 26 anni mossi dal forte desiderio di mettere su famiglia e avevano già le loro 5 figlie quel 23 gennaio 1988, quando nella loro storia si introduce un elemento drammatico.
“Stavano pranzando, la signora si è sentita male. Ha avuto un arresto cardiaco. II marito ha cercato di rianimarla con il massaggio cardiaco, nel frattempo è arrivata l’ambulanza che l’ha portata all’ospedale. Lei aveva perso conoscenza ed era entrata in coma. I medici all’inizio avevano detto che si sarebbe risvegliata di lì a poco, ma in realtà questo risveglio non c’è stato mai”, racconta Barducci.
Nel primo ospedale, Angela viene curata per tre mesi, fino a quando… “è capitato un episodio un po’ spiacevole. Il primario ha chiamato Nazzareno e gli ha detto: Noi per sua moglie non possiamo fare più nulla, bisogna che la porti via. Nazzareno gli ha risposto: Scusi, ma come?. Angela era in stato vegetativo persistente e lui era ovviamente in grossa difficoltà. Dice: Dove la porto? Cosa vuol dire la porto via? Come faccio?. Il medico ha risposto: Faccia come vuole, è un problema suo. Se lei non la porta via, la metto in corridoio”.
Terribile…
“Francamente sì. Significa che purtroppo, è una mia opinione, abbiamo creato un sistema sanitario che si occupa delle persone curabili. Badi bene: non guaribili, bensì curabili. È diverso. Quindi quando capitano situazioni simili il problema viene scaricato sulle spalle delle famiglie. Capita anche per le persone con gravi disabilità, per gli stessi anziani non più autosuffi cienti che finiscono per essere ospitati in Rsa o in case di riposo e i familiari devono pagare rette molto salate, che arrivano anche fino a 3mila euro al mese. In qualche modo la lettura del libro può far nascere una riflessione sulla disumanizzazione della cura”.
Torniamo a Nazzareno. Lo abbiamo lasciato di fonte a un baratro, dover trovare una soluzione all’ospedale che butta fuori sua moglie in stato vegetativo.
Lui cosa fa? “Cerca e ottiene aiuto per ricoverare la moglie altrove. Fa un po’ di pellegrinaggi in vari ospedali italiani, sempre nella speranza di un risveglio che non avverrà mai. Dopo un po’ prende la decisione”.
Quale decisione?
“Rifiutandosi di staccare la spina, la riporta in casa”.
Una scelta coraggiosa…
“Angela aveva tutte le funzioni vitali. Ma non era cosciente e quindi veniva alimentata con un sondino nasogastrico. Staccare la spina, come si dice, avrebbe significato farla morire di fame, non alimentarla più. Nazzareno per ragioni di fede prima di tutto, e per ragioni di umanità, non si è sentito e non ha mai pensato di fare questa cosa. L’ha portata a casa con sé. Contro tutto e tutti”.
È stato criticato per il suo gesto?
“Ovviamente. L’ha tenuta a casa con sé e ne ha avuto cura per 29 anni. Occuparsi di una persona in queste condizioni per 29 anni 24 ore su 24, significa, come ha signifi cato per lui, perdere il lavoro, non avere più una vita sociale”.
Ripete spesso un numero cruciale, 29, gli anni in cui Nazzareno cura sua moglie Angela in casa.
Scattato questo 29, cosa succede?
“È molto toccante l’epilogo di questa storia… una sera, il medico di famiglia, che ogni tanto passava a visitarla, gli aveva detto di prepararsi perché prima o poi sarebbe arrivato l’ultimo respiro”.
Quando arriva?
“Una sera Nazzareno aveva bisogno di uscire. Partecipava, per via della sua forte fede religiosa, a gruppi di catechesi organizzati nella sua città, ne ha approfittato per prendere una boccata d’aria. Al rientro la signora che nel frattempo si era occupata della moglie gli aveva già fatto capire col suo sguardo molto mesto che qualcosa non andava. Subito ha pensato che Angela fosse già andata, invece lei lo ha aspettato. Quando è arrivato, lei ha aperto gli occhi e ha sorriso. Poi ha esalato l’ultimo respiro”.
Iniziano attimi di pura drammaticità… “Nazareno nella forte emozione del momento si è sentito male, non riusciva a respirare, aveva tremori muscolari. Stava morendo anche lui per il dolore. Poi in un attimo ha pensato alle cinque figlie (Clara, Benedetta,Stefania, Noemi ed Elisabetta), che nel frattempo erano diventate donne, avevano costruito le loro famiglie.
Non posso dare a loro un altro dolore, ho bisogno di occuparmi ancora di loro, ha pensato. Ha urlato con quanto fiato aveva in gola e si è ripreso. Si è attaccato al telefono e ha chiamato le ragazze ( che vivono in città diverse). A ognuna riusciva a dire solo: la mamma non c’è più. Nient’altro”.
Le figlie si sono subito messe in viaggio e lo hanno raggiunto fermandosi fino al funerale. “Nel momento del distacco per tornare alle loro famiglie ognuna di loro lo ha abbracciato. La più piccola gli restava attaccata, non riusciva a staccarsi più. Una sorella le ha detto: Perché fai così, è così straziante. Lei le ha risposto: Perché adesso il papà è veramente solo”. Una grande lezione… “Pur nell’assenza di vitalità questa signora, la moglie, comunque era una presenza attiva dentro la famiglia”.
E una testimonianza di grande fede… “Credo che questo racconto sia una testimonianza del valore della vita, anche in un momento nel quale sembra che di valore la vita non ne abbia più, o ne abbia molto meno. Ce lo dimostrano le guerre, i tanti morti che ormai ci siamo abituati a elencare, i femminicidi come se le donne, le persone, fossero cose, proprietà esclusiva dei loro, chiamiamoli compagni (ma non è la definizione giusta, un compagno non fa queste cose). Quindi in un momento in cui credo che il valore della vita sia un po’ in crisi, questo racconto, questo comportamento, questo libro, secondo me riaffermano quello che è il valore della vita. Nazzareno una volta ha detto: Della vita di lei qualcuno ha detto fosse una vita inutile. Non esiste una vita inutile, nessuna vita è inutile”.
Cosa fa adesso Nazzareno?
“Dopo la morte della moglie ha continuato la sua esperienza di fede. Oggi lavora e collabora con la curia vescovile di Avezzano, fa il diacono ed è volontario alla Caritas. Prepara i pasti”.