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Ei fuffa

Nella traversata del deserto post laurea in cerca di un lavoro, nei tardi anni ‘90, fui contattato al telefono di casa (i cellulari erano ancora pochi ma la protezione dei dati personali era già una barzelletta) da una sedicente azienda che si disse interessata alle mie competenze. Mi invitarono a un colloquio dove mi avrebbero spiegato tutto. Essere ricevuto in un albergo chiuso per l’inverno, in un controsoffitto freddo e polveroso, non mi fece una gran impressione.

L’affare in poche parole era questo: siccome i cellulari erano ancora pochi ma nel giro di breve sarebbero stati moltissimi, avrei guadagnato soldi a badilate unendomi a loro che erano i distributori dei contratti telefonici migliori sulla piazza. E non solo avrei guadagnato dai contratti telefonici venduti ma anche arruolando altre persone. Dovevo però decidere subito, prima di uscire dal controsoffitto. Salutai e andai a cercare a casa un articolo che avevo letto proprio in quei giorni. Dove si spiegava che, per arrivare a guadagnare cifre come quelle prospettatemi, avrei dovuto arruolare una popolazione pari almeno al Friuli-Venezia Giulia.

Oggi, su quei cellulari che sono smartphone e sono troppi, arrivano proposte da sedicenti esperti che promettono di insegnare – con libri, corsi o convention – metodi infallibili per fare soldi dando la svolta alla propria vita senza sudare neanche troppo. Basta entrare nel giusto mindset (esemplare la parodia di Maicol Pirozzi nel GialappaShow). Sono stati ribattezzati con l’eloquente termine di ‘ fuffaguru’. Insomma, la storia del digitale è già alla seconda generazione di venditori di fuffa. E io mi sento vecchio nel mindset, accidenti.