SANITÀ. Diffusi i primi numeri del nuovo servizio che ha l’obiettivo di alleggerire gli accessi al Pronto Soccorso. Non mancano le perplessità
Tempo di (primi) bilanci. È ciò che avviene per i Cau, i nuovi Centri di assistenza urgenza che dalla fine dell’autunno scorso sono attivi in tutta l’Emilia-Romagna. Un servizio, pensato per risolvere le criticità ormai croniche dei Pronto soccorso, per alleggerirne i carichi di lavoro occupandosi dei casi meno gravi (codici bianchi e verdi), che fin dalle primissime fasi della sua progettazione ha rappresentato un tema delicato, oggetto di dibattito con toni spesso piuttosto accesi, anche sul territorio riminese. Dibattito tra chi ne sostiene l’efficacia in ottica di supporto alla saturazione dei Pronto Soccorso e chi, invece, ne critica non solo l’inefficacia, ma anche la stessa natura “ibrida” e modalità di erogazione del servizio.
Ora, però, la discussione può svilupparsi a partire da dati e numeri ufficiali, prima fotografia dell’andamento dei Cau in tutta la nostra Regione.
I numeri
Il primo bilancio dei Cau è realizzato dalla stessa Regione Emilia-Romagna, ideatrice del progetto, che proprio in questi giorni ha pubblicato i dati relativi all’andamento del nuovo servizio dalla loro introduzione e nei primi nove mesi del 2024.
Dati secondo i quali i Cau stanno producendo un effetto positivo sui Pronto soccorso, che rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente registrano una diminuzione complessiva degli accessi del 7% in tutto il territorio emiliano-romagnolo, da Piacenza a Rimini. Più nello specifico, “ nei primi nove mesi del 2024, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, gli accessi in codice bianco nei Pronto soccorso sono diminuiti mediamente in regione del 20% e quelli in codice verde del 10% e si avviano verso quota 400mila i pazienti (l’85% dei quali tra i 18 e i 65 anni) che si sono rivolti ai Cau da quando hanno iniziato la loro attività a novembre 2023”, sottolinea l’ente regionale.
Numeri importanti, perché si inseriscono in un contesto, quello del sovraffollamento dei Pronto soccorso, molto complesso su tutto il territorio nazionale. E si tratta di un servizio (rappresentato da 42 Centri, che la Regione conferma di voler portare a 50 entro la fine dell’anno) che, sempre secondo questo resoconto, sta incontrando l’apprezzamento dell’utenza: “ Il livello di soddisfazione da parte dei pazienti sull’esperienza nei Cau è del 90%, – sottolinea la Regione – sia in termini di accoglienza sia di qualità delle cure ricevute, secondo i dati raccolti attraverso gli oltre 6.200 questionari che la Regione Emilia-Romagna ha proposto in collaborazione
con le Aziende sanitarie a partire dal 29 gennaio. A compilarli, su base volontaria e anonima, i pazienti stessi”.
“ I Cau stanno funzionando perché sono in grado di dare risposte di assistenza e cura veloci e di qualità ai cittadini, di norma h24, 365 giorni all’anno, senza alcuna necessità di appuntamento, per i loro bisogni di salute a bassa criticità. – sottolinea l’assessore regionale alle Politiche per la salute, Raffaele Donini – Consentono nella stragrande maggioranza dei casi di affrontare e risolvere il bisogno urgente di salute a bassa criticità del cittadino all’interno della struttura, attenuando in parte il carico dei Pronto Soccorso”.
Per quanto riguarda il
territorio di Rimini, il dato si conferma in linea con il contesto regionale: gli accessi ai Pronto soccorso sono in diminuzione rispetto al 2023 sia nel distretto di Rimini, che registra un calo del 9% sia in quello di Riccione, che arriva al 10%.
Rimini, i conti non tornano?
I dati diffusi dalla Regione, però, a Rimini hanno suscitato fin da subito perplessità. A sottolinearlo è lo Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani) riminese, che critica fortemente i numeri pubblicati, soprattutto perché sarebbero in contrasto con i dati che Ausl Romagna ha comunicato alle stesse organizzazioni sindacali territoriali all’inizio di settembre. “ Si sta cercando di offrire una visione il più possibile favorevole ai Cau. – è la posizione del dottor Pietro Pesaresi, presidente di Snami Rimini e vicepresidente a livello regionale – Ma se si guarda ai numeri grezzi, che ci sono stati forniti da Ausl Romagna, si legge nero su bianco che gli accessi al Pronto Soccorso nella prima metà del 2024 sono in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, sia a Rimini (5%) sia a Riccione, addirittura del 14%. Non solo, si registra un aumento dei casi di maggiore gravità, ossia i codici azzurri, arancioni e rossi, e questo avviene per un motivo molto semplice: i pazienti che si rivolgono ai Cau e che poi, nei casi in cui una diagnosi completa non sia possibile, necessitano del Pronto Soccorso, vengono inviati con un codice aumentato, perché altrimenti la presa in carico dovrebbe rimanere in capo agli stessi Cau. Questo porta, come visto, a un aumento degli accessi con codici maggiori in Pronto Soccorso, non alleggerendo in alcun modo la mole di lavoro del personale dei PS, scopo per cui i Cau sono nati”. Ma com’è possibile che i numeri diffusi dalla Regione e dalla Ausl siano divergenti? “
Avendo in mano i dati di Ausl Romagna, siamo rimasti colpiti di fronte ai numeri recentemente diffusi. – prosegue il dottor Pesaresi – Nasce il dubbio che nelle eleborazioni siano stati inseriti anche i numeri dei Ppi (Punti di primo intervento) che sono stati chiusi con l’avvento dei Cau, che avendo quindi zero accessi fanno calare drasticamente il numero complessivo riportato. Questo lo si può dedurre dal fatto che nei numeri diffusi dalla Regione non vengono considerati i singoli Pronto soccorso, ma i distretti di assistenza, che comprendono sia i Ps sia i Ppi.
Ciò che rimane, dunque, dai dati di Ausl è che gli accessi ai Ps, e quindi la mole di lavoro in capo al personale, sono in aumento, scenario opposto rispetto agli obiettivi del progetto Cau. Segno, dunque, di una sua inefficacia”. Rimane, poi, un altro elemento, ossia il fatto che la natura stessa dei Cau, a metà tra un Pronto soccorso, un pronto intervento e un ambulatorio di medicina generale, non è ancora chiara a gran parte dell’utenza, che rischia quindi di ingenerare accessi impropri, altro fenomeno che il progetto Cau intende arginare. “ Il sentore generale è quello di svolgere un’attività difficilmente definibile. – si sbottona un operatore che conosce da vicino i Cau – Siamo a metà tra ciò che fa un medico di famiglia, ma senza il rapporto personale con i pazienti, e ciò che viene fatto nei Ps, ma senza avere gli stessi strumenti e le stesse possibilità. Un compito delicato, dunque, reso ancora più difficile dal fatto che la stessa utenza è spesso confusa dal sistema”.