ggi è già domani, recita lo slogan di Rimini Venture per la nuova fase 2024-2030 proposta, in una assem- blea pubblica, a ne marzo scorso. Ma oggi, il domani di ieri, quando questa avventura è iniziata nel 2007, cosa è cambiato? Nella città, ma soprattutto nella vita materiale dei riminesi?
Urbanisticamente parlando è da tutti riconosciuto che la città di Rimini ha operato importanti miglioramenti: il nuovo Lungomare, il rifacimento del Centro storico, il Museo Fellini, il Teatro, la sistemazione del sistema fognario, sono i più visibili e apprezzati, anche dai visitatori.
Per non parlare della nuova Fiera e il nuovo Palacongressi. Ma quanto questi interventi, necessari a prescindere, hanno contribuito a migliorare la vita delle persone e risolvere alcune criticità strutturali?
Cominciamo dalla ricchezza prodotta dal territorio (provinciale): nel 2010 la provincia di Rimini generava un valore aggiunto di 8,5 miliardi di euro, pari al 6,8 per cento regionale; nel 2022 (ultimo dato disponibile) lo stesso valore aggiunto è salito a 9,7 miliardi di euro, corrispondente al 6,0 per cento regionale. Questo vuol dire che Rimini è andata complessivamente più piano, cioè è cresciuta meno, del resto della regione. Ragione per cui la sua fetta, nel panorama regionale, si è rimpicciolita. Può consolare sapere che lo stesso destino è capitato a Forlì-Cesena e Ravenna. Non solo Rimini, quindi, ma è l’intera Romagna ad avere perso terreno. Dividendo la ricchezza prodotta per il numero degli abitanti si ottiene il valore aggiunto pro capite, che dà i seguenti valori (2022): Rimini 29.000 euro, Forlì-Cesena e Ravenna circa 33.000, Bologna 42.000, Parma 40.000, e tutte le altre province emiliane sono comprese tra 35 e 39.000 euro. Rimini fa meglio solo di Ferrara, ferma a 26.000 euro. Con altri valori, sono le stesse distanze del 2010, quindi non c’è stato nessun passo avanti nella classica regionale. Come è facile comprendere se la torta è più piccola, relativamente al numero dei commensali da sfamare, a ciascuno toccherà uno spicchio più piccolo.
Un riesso di questo banale assunto domestico lo ritroviamo nei salari annui lordi
pagati ai lavoratori dipendenti dalle imprese, che a Rimini no sono scandalosamente bassi (fonte Inps): infatti 17.000 euro è il salario medio nel 2022, a fronte di 22.000 di Forlì-Cesena e Ravenna, mentre si oltrepassa 26.000 euro da Bologna a Parma. Questa volta persino a Ferrara un lavoratore guadagna di più: 21.000 euro. Nel 2014 (il dato Inps più vecchio disponibile), cioè dieci anni fa, la retribuzione media lorda di un dipendente a Rimini era di 16.000 euro, a Forlì-Cesena 20.000, Ravenna 21.000, Bologna 23.000 e da Modena no Parma oltre 24.000. Ieri la distanza tra il salario medio di Rimini, sempre il più basso della Romagna, e quelli emiliani era del 58%, oggi la dierenza è la stessa. Vuol dire che Rimini non solo rimane il luogo dove si guadagna meno in Emilia-Romagna, ma in un decennio non ha recuperato niente.
Causa prima di salari medi locali così bassi non sono, però, tutti i settori di attività, ma uno in particolare: il turismo (alloggio e ristorazione), dove lavorano, prevalentemente come stagionali, oltre 30.000 persone, in prevalenza donne. Confrontando il turismo con la manifattura la dierenza salta immediatamente agli occhi: retribuzione annua media nel primo 8.000 euro, nel secondo 27.000. Quella manifatturiera perfettamente in linea con i salari emiliani. Per chi volesse, alla ricerca di una spiegazione, appellarsi alla stagionalità, che sicuramente c’entra, consigliamo di guardare anche questo altro dato: a parità di contratto a tempo indeterminato nel manifatturiero riminese si guadagna 29.000 euro, nel turismo 16.000 euro. L’80% in meno. Ecco, quindi, la spiegazione dell’abbassamento della media. Il turismo, ed è una delle ragioni per cui fa sempre più fatica a trovare personale, paga poco, perché produce poco valore: 22.000 euro è il valore aggiunto per occupato (2019), contro i 78.000 euro della fabbricazione di macchinari e gli 88.000 della fabbricazione dei mezzi di trasporto. A dire il vero però, il basso valore aggiunto del turismo non riguarda solo Rimini, ma un po’ tutto il mondo. Questo ovviamente non muta gli eetti. E non signica nemmeno che possiamo farne a meno, ma è una particolarità di cui tenere conto, anche per spingere la sua produttività su livelli più elevati.
Il Parco del Mare, tra gli investimenti più importanti, ha portato più turismo in riviera? Certamente gli arrivi sono cresciuti, da 3 milioni del 2010 a 3.8 milioni nel 2019, prima del Covid. Quindi il crollo e la risalita a 3.6 milioni (2023). Ma questo maggior movimento ha giovato poco ai pernottamenti provinciali, che sono quelli che contano per fare fatturato. Erano poco meno di 16 milioni nel 2010, sono poco più di 16 milioni nel 2019, per attestarsi, a ne 2023, su 14,7 milioni. Ne mancano quindi 1,5 milioni per tornare ai numeri pre pandemici. Non è andata meglio per il comune di Rimini, il maggior pro- motore e beneciario delle opere realizzate con il Piano strategico: i pernottamenti sono solo passati da 7,4 milioni del 2010 a 7,5 milioni nel 2019, diventati 6,7 milioni nel 2023. Che non basta rifare il lungomare, pur necessario, per attrarre più turisti lo aveva già sperimentato Riccione, che il suo lo aveva inaugurato nel 2010, senza trarne nessun giovamento dal punto di vista delle presenze. Certo, si può sempre aermare che senza sarebbe andata peggio. È una ipotesi. Oppure una consolazione. Ecco, per progettare il futuro, il nuovo Piano strategico di Rimini deve ripartire da queste criticità e dopo aver rifatto la cartolina deve dare priorità alle persone, a cominciare dalla qualità del lavoro che questo territorio (non) è in grado di orire. Qualità ma anche quantità di lavoro, visto che dal 2018 a ne 2023 sono andati persi 7.000 posti (Istat).
Cosa che non è successa nelle altre province regionali.
Alberto Volponi