Con un allestimento ultratecnologico di Amadigi di Gaula si è inaugurato il festival di Halle dedicato a Händel
HALLE, 24 maggio 2024 – L’intelligenza artificiale può offrire soluzioni originali per evocare quelle meraviglie barocche dove mondo reale e fantastico sono separati soltanto da labili confini. Tanto più nel caso di un’opera dai risvolti magici come Amadigi di Gaula, che ha inaugurato il Festival Händel, in corso a Halle – città natale del grande compositore sassone – fino a domenica 9 giugno. Louisa Proske, giovane regista che si divide tra Germania e Stati Uniti, ha scelto questa chiave ed è così riuscita nell’ardua impresa di trasformare un’opera per nulla spettacolare in qualcosa di entusiasmante. Dato che – inutile negarlo – Amadigi, con la sua organizzazione paratattica comune del resto a tante altre opere di quel periodo, rimane fra i lavori meno avvincenti di Händel.
La paternità del libretto di quest’opera che debuttò a Londra nel 1715 resta incerta, mentre indubbia è invece la fonte letteraria: l’omonimo poema cavalleresco spagnolo, assai popolare nel sedicesimo secolo. Una derivazione, dunque, che parrebbe estranea al tema portante dell’attuale festival, che sono i legami tra Händel e la cultura francese: resta comunque il fatto che proprio grazie a una traduzione nella lingua d’Oltralpe Amadigi di Gaula si è trasformata in libretto, messo in musica, nel seicento, anche da Lully.
La riuscita dello spettacolo deve molto all’impatto visivo prodotto dalla scenografia e dai bellissimi costumi di Kaspar Glarner, artista svizzero che ha concepito avveniristici scenari virtuali, avvalendosi del contributo di Jorge Coisineau per i video e Heiko Reiman per le luci. A generare le immagini sembrano, così, alcuni voluminosi box ultraminimalisti – disposti sul palcoscenico di Oper Halle – al cui interno s’immaginano grovigli di cavi elettrici e una moltitudine di microchip. L’essenziale cornice permette di valorizzare al meglio gli abiti del quartetto vocale protagonistico e dei danzatori. Spesso si tratta di esagerate rivisitazioni dei cliché barocchi, come per Dardano e, ancor più, nel caso di Melissa, che – dopo essersi tolta i paludamenti neri da cui era circonfusa – rende visibile la sua metamorfosi da maga extraterrena a donna appassionata esibendo uno sgargiante, inopinato abito rosso. Intensamente poetica è poi l’ironia di un gigantesco ventaglio aperto che fa da cornice a stilizzati pastorelli: figurine che paiono uscite da un’Arcadia di porcellane biscuit. Il quinto personaggio, che va ad aggiungersi ai protagonisti e ha pure funzioni di deus ex machina, non ha invece bisogno di un costume, perché viene raffigurato come una statua: un sornionissimo clone del monumento a Händel, che campeggia nella piazza centrale di Halle. Infine, a movimentare la staticità della drammaturgia, i sei danzatori: i loro corpi plastici e sessualmente fluidi diventano, nelle spiritose coreografie di Michal Sedláček, un ulteriore elemento scenico. Solo in dirittura d’arrivo, quando nel finale si torna agli abiti del nostro tempo, si scoprirà che si tratta di tre donne e tre uomini.
Il direttore spagnolo Dani Espasa ha guidato l’Orchestra del Festival – un gruppo ben amalgamato che utilizza strumenti antichi – in un’esecuzione musicale dal ritmo scorrevole e spigliato, facendo molta attenzione alla scansione ritmica e dedicando gran cura al sostegno del canto. Nei panni della principessa Oriana contesa dai due rivali svettava, per la qualità dei mezzi vocali, la giovanissima Serafina Starke, sempre a suo agio nella scrittura da soprano lirico-leggero e sicurissima nelle colorature. A interpretare il protagonista Amadigi – amante ricambiato di Oriana – il contraltista polacco Rafał Tomkiewicz: pur con un’emissione non sempre omogenea, si è fatto apprezzare soprattutto per la tenuta in un ruolo oltremodo impegnativo, che lo vede continuamente in scena. Il personaggio del principe Dardano, suo rivale in amore, era affidato al mezzosoprano russo Yulia Sokolik, scenicamente assai credibile nel ruolo en travesti. Musicale e precisa, non ha forse mostrato una personalità vocale troppo incisiva: peccato, perché le spetta l’aria più celebre (e bella) dell’opera, Tu mia speranza, tu mio conforto. Il soprano Franziska Krötenheerdt, la maga Melissa inutilmente innamorata di Amadigi, ha affrontato una scrittura vocale di notevole estensione dimostrando una solida padronanza del proprio strumento, nonostante qualche occasionale velatura. Infine, nel ruolo del mago Orgando, si è aggiunta Deulrim Jo: una corista di voce un po’ flebile, che non rendeva giustizia alle autorevoli sembianze del genius loci Händel fattele indossare dalla regista. Nonostante ciò, ha dato vita a un cammeo spiritosissimo.
Giulia Vannoni