MAFIA. Riciclaggio e infiltrazioni sono segni evidenti di una presenza sul territorio
La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” affermava con convinzione e speranza Giovanni Falcone.
Il giudice ucciso dalla mafia a Capaci il 23 maggio 1992 asseriva in ultima battuta: “ Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine dell’uomo”.
E proprio in virtù di queste parole, proprio per evitare che il lavoro dei tanti magistrati, civili come lui morti in nome della giustizia sia vano o lasciato in ombra, è sempre più importante stimolare e muovere riflessioni in merito, volgere anche la comunità civile all’azione e non al mero spirito commemorativo e celebrativo.
Da ben ventidue anni, a Rimini, questo compito lo svolge il Gruppo Nuove Frontiere organizzando un ormai tradizionale momento di ponderazione comunitaria ‘Nel segno di Falcone, Borsellino, e di tutti i martiri delle Mafie’. Lo scorso venerdì, dunque, presso la Sala Don Pippo della parrocchia di San Gaudenzo, in piazza Mazzini a Rimini, si è tenuto l’incontro dal titolo “ Criminalità Organizzata, economia e società: riciclaggio, infiltrazioni e anticorpi”.
L’organizzazione di un incontro di tale portata all’interno di una parrocchia storica e centralissima della città è un segno dell’essenzialità anche religiosa e non solo civile del fenomeno di cui si parla. Come insegnano anche le figure e l’impegno di personaggi come Rosario Angelo Livatino (beato e martire), don Pino Puglisi (anch’egli beato), don Peppe Diana e tanti altri.
“ La funzione educativa della parrocchia non può fermarsi all’ambito del sacro. – chiarisce don Aldo Amati – Essa deve farsi carico della lotta alla verità, al bene, concernente ogni ambito della vita della persona, delle sue relazioni sociali e della giustizia. L’annoso problema della mafia è tutt’altro che risolto, dobbiamo cercare quanto più possibile di ricorrere a degli anticorpi”.
A moderare l’incontro è stato chiamato il giudice riminese dott.ssa Rossella Talia. “ Quando si partecipa ad un evento come questo, la prima domanda dev’essere quella di senso. Si tratta di un’assunzione di responsabilità. È sempre più necessario saper cogliere i segnali, impegnarsi in un atteggiamento di vigilanza”.
Tra i relatori della serata il dott. Calogero Germanà, ex poliziotto, questore e collaboratore di Paolo Borsellino; la dott.ssa Ilaria Rosati, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Forlì; e il dott. Ivan Cecchini dell’Osservatorio sulla criminalità organizzata della Provincia di Rimini.
Come si presenta la mafia?
“ Partiamo dal presupposto che parliamo di un’associazione segreta. – inizia a mettere i puntini sulle ‘i’, il dott. Germanà, parlando della sua testimonianza diretta e personale con questo fenomeno – Non è che il capo dei capi passeggia per la città dicendo: ‘Sono il capo mafia, dovete rispettarmi’, è tutto quanto molto più sottile.
Quando sono diventato poliziotto e assegnato alla questura di Enna, non sapevo pressoché niente della criminalità. Ciò che avevo appreso lo avevo visto in qualche film, in tv ed Enna non si era distinta per essere una città criminosa… tuttavia, la mafia c’era. Anzi, si dice che le stragi del ‘92 siano state pianifi cate proprio in un casolare in provincia di Enna. Io mi ci sono imbattuto per caso due volte, in due domeniche. La prima quando due miei colleghi mi chiamano in questura dicendo di aver fermato un’auto con a bordo un noto latitante (Alfio Ferlito) e la sua spalla destra.
Cos’era successo? Per far scappare in auto il ricercato, l’altro aveva cominciato a resistere ai pubblici ufficiali, distraendoli.
‘Dobbiamo continuare l’inseguimento, ma cosa ne facciamo di questo individuo ora arrestato?’, mi chiesero. Beh, lo hanno ammanettato al guardrail ed io ho chiamato rinforzi per andare a prenderlo e interrogarlo.
Nel secondo caso, sempre di domenica, stavo prendendo il caffè in un bar vicino la questura. Accanto a me, al bancone, un latitante. Senza pensarci due volte corro a chiamare un collega ben più forzuto e piazzato di me che lo atterra in men che non si dica, senza nemmeno assicurarsi che fosse davvero lui. Comunque non mi ero sbagliato! In seguito sono stato trasferito ad Agrigento e lì tra intercettazioni telefoniche, biglietti anonimi e soffiate, siamo riusciti quantomeno a capire il pericoloso organigramma di Cosa Nostra. Non si tratta di un fenomeno circoscritto alla Sicilia, parliamo di accordi e strette di mano che arrivano in tutta Italia e oltre, che toccano ogni settore dell’economia nazionale ed internazionale”.
La dott.ssa Rosati, ha invece avuto a che fare con la ‘Ndragheta calabrese in territorio Mantovano, quando alcuni incendi dolosi (tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011) iniziano ad insospettire le forze dell’ordine. “ Avevo appena vinto il concorso di Magistratura e Mantova è stata la mia prima sede di lavoro subito dopo il periodo di tirocinio a Bologna.
Il processo che ho concelebrato con altri miei due colleghi, va di pari passo con il maxi processo Aemilia, la più grande operazione contro la criminalità organizzata in Emilia-Romagna con al centro dell’inchiesta
il clan dei Grande Aracri, che partendo da Cutro, in provincia di Crotone, si è radicato in tutto il Nord Italia. Come si manifestavano le infiltrazioni criminose? Imprenditori calabresi entravano in società con imprenditori mantovani ed imponevano loro le commesse, fino ad esautorare gli effettivi titolari. Se questi smettevano di eseguire i loro ordini, partivano estorsioni, minacce, incendi”.
Sentinelle e anticorpi necessari
“ Lo Stato da solo non ce la può fare. – è convinto il dott. Cecchini – Le autonomie locali sono fondamentali. L’Emilia-Romagna è stata la prima regione in Italia che dieci anni fa ha firmato un testo unico sulla legalità, che garantisce un’assistenza tecnico-giuridica e segue il sequestro, la confisca dei beni di detenzione mafiosa, fino al provvedimento di consegna all’ente locale. Ma restano sempre più urgenti ulteriori interventi della comunità civile.
Bisogna sensibilizzare i più giovani al tema”.
In virtù di questo, sono organizzati dall’Associazione Nazionale Magistrati diversi incontri durante l’anno con le scuole, principalmente superiori. “ Tuttavia quest’anno io e una mia collega, siamo andate a parlare a dei bimbi di quinta elementare. – racconta il giudice Rosati – Eravamo scettiche, ma ci hanno davvero sbalordite con le loro domande pertinenti e profonde. Una in particolare: ‘la coscienza del giudice è stressata?’ denota un’elaborarietà di pensiero che nemmeno noi adulti possediamo. C’è una bella differenza tra ‘fare il Magistrato’ ed ‘essere un Magistrato’ e per poterlo essere è importante piantare semini nei ragazzi, nei più piccoli e aspettare di vederli fiorire. Una di quelle bimbe, con la sua maglietta dei Beatles, super rock ‘n roll, mi ha guardato e mi ha detto: ‘da grande mi piacerebbe fare il tuo lavoro’. È tutto lì”.
“ Abituare alla legalità. – è il suggerimento che arriva dal dott. Germanà – Ecco come fare. Le giovani menti sono geometriche: è sufficiente distinguere il bene dal male, il giusto dallo sbagliato. Porre tutto nelle giuste collocazioni è già un passo in avanti. E chissà, magari un giorno il mondo sarà migliore di come glielo stiamo lasciando ora”.