ORDINAZIONI Domenica 26 maggio la Chiesa riminese si arricchirà di sette nuovi diaconi. L’appuntamento è in Cattedrale alle 17,30
Basilica Cattedrale in festa domenica 26 maggio quando il vescovo Nicolò Anselmi ordinerà alle 17,30 sette nuovi diaconi per la Chiesa riminese. Si tratta di Gianni Albani (parrocchia Cuore Immacolato di Maria, Bellariva), Paolo Bordoni (Regina Pacis, Rimini), Silvano Capellini (Sant’Andrea in Casale, San Clemente), Roberto Cesarini (San Martino, Riccione), Flavio Pirani (San Michele Arcangelo, Morciano), Emanuele Podeschi (Santa Maria, Corpolò), Marco Stefani (Natività di Maria Santissima, Castelvecchio di Savignano).
Accompagnerà la preghiera il canto del coro “Megales Phones” della Pastorale Giovanile Diocesana.
Ma chi è il diacono?
Il diaconato è una realtà antica e nuova. Antica in quanto tale ma nuova per noi che la rivediamo nella Chiesa dopo circa dieci secoli di assenza.
Non fa dunque meraviglia che un po’ tutti si fatichi a capire bene di che cosa si stia parlando. Che sorga qualche perplessità al riguardo da parte dei fedeli e dei pastori, e magari anche qualche resistenza, è assolutamente comprensibile. Il tempo, ma soprattutto la buona testimonianza dei diaconi contribuiranno a fugare ogni riluttanza.
Quanto all’idea del diaconato, spesso accade che, non avendo punti precisi di riferimento, ciascuno tende a immaginarla partendo dalle figure ecclesiali che già conosce. Si paragona così il diacono al sacerdote, o al religioso, o al laico impegnato in parrocchia, salvo poi accorgersi che il diacono non è identificabile con nessuno di questi soggetti.
Il diacono, infatti, non è un sacerdote perché non presiede l’Eucaristia e non assolve i peccati; più in generale, non si colloca all’interno della comunità cristiana nella stessa posizione del parroco. Inoltre, nella maggior parte dei casi il diacono è coniugato e ha una sua professione.
D’altra parte, il diacono non è più – come si usa dire – «un semplice laico»: riceve infatti il sacramento dell’Ordine, che lo immette tra i membri del clero, ha una propria veste liturgica, sull’altare ha un posto suo, ha il compito di proclamare il Vangelo e di tenere l’omelia, ha l’obbligo di celebrare la liturgia delle ore a nome dell’intera Chiesa, può celebrare la liturgia del battesimo, benedire le nozze, accompagnare alla sepoltura i defunti.
Da tutto ciò si comprende bene che il diacono non può essere definito a partire da altre figure ecclesiali, procedendo per sottrazione («È meno di un sacerdote!») o per addizione («È più di un laico!»). Si rischierebbe così di sapere bene che cosa il diacono non è o che cosa non è più, ma di non sapere mai chi è effettivamente.
Il volto diaconale della santità
Chi dunque è il diacono? Per rispondere a questa domanda è bene partire dal Battesimo. Potremmo dire così: tutti i cristiani, in forza del loro Battesimo, sono chiamati alla santità (ce lo ricorda il Concilio Vaticano II: Lumen Gentium, 40). Ci sono tuttavia molti modi di vivere la comune santità battesimale. In alcuni casi questi modi vengono a coincidere con specifiche vocazioni, cui corrispondono delle responsabilità e dei compiti di particolare importanza all’interno della Chiesa.
Quanto poi alla figura della santità diaconale, dovremo dire che essa andrà ricercata nella linea del servizio. La parola greca diakonos venne utilizzata sin dall’inizio della storia della Chiesa per indicare colui che si poneva nella comunità a servizio del prossimo, in modo autorevole e ufficialmente riconosciuto. Ben presto quella del diacono divenne una vera e propria figura ministeriale, che si affiancò alla figura del vescovo e del presbitero. Si potrebbe certo obiettare che il servizio è la regola di ogni cristiano e perciò non può essere considerato una prerogativa del diaconato.
Che ogni cristiano sia chiamato a servire il suo prossimo nel nome di Cristo è fuori discussione. Ma appunto per questo il diacono esiste: per ricordare a tutti che il Cristianesimo è servizio. L’intera vita del diacono e la sua stessa persona sono un richiamo costante e ben visibile al dovere di servire che il Battesimo porta con sé. Il diacono è nella Chiesa l’immagine viva del Cristo che serve, del Cristo che per amore si china a lavare i piedi dei suoi discepoli, del Cristo che si fa carico delle sofferenze dei più deboli, del Cristo che proclama la parola del Regno di villaggio in villaggio, del Cristo che si fa vicino a chiunque è minacciato dalla tristezza e dall’angoscia, del Cristo che offre la sua stessa vita in sacrifico. Certo non soltanto il diacono farà questo, ma il diacono lo farà senz’altro e in modo del tutto particolare, annunciando la Parola di Dio e offrendo una chiara testimonianza di carità.
Un appello alla comunione e alla missione
Sempre allo scopo di capirne meglio il valore sarà utile considerare il diaconato a partire da una visione della Chiesa che ponga in primo piano il suo mistero di comunione e la sua missione evangelizzatrice. Il diacono contribuisce in un modo tutto suo a far sì che la Chiesa sia veramente Chiesa, cioè luogo della comunione e della carità, comunità dei figli di Dio che annunciano e testimoniano la lieta notizia. Se ci si pone in questa prospettiva di evangelizzazione nella comunione, allora le differenze all’interno della Chiesa non creeranno equivoci e contrapposizioni.
Da un lato, l’impegno comune di portare il Vangelo a tanta gente vicina e lontana renderà del tutto plausibile l’esistenza di figure diverse, con differenti compiti e responsabilità; dall’altro, la necessità di dare vita ad una vera comunità di fratelli nel Signore, richiederà la presenza di diverse figure, capaci di assumere la loro responsabilità in spirito di umile servizio.
In un simile quadro d’insieme la figura del diacono troverà senza fatica la sua collocazione e ci apparirà come un appello vivente al recupero della centralità della missione e della comunione nell’azione pastorale delle nostre comunità cristiane.