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Dove sono finiti i Quartieri?

Rn,14/10/05: festa san gaudenzo, tombola in piazza cavour �Riccardo Gallini_GRPhoto

L’inchiesta (1). Partecipazione decentrata, a Rimini è “sparita” dal 2011. Cos’è accaduto?

Alla loro nascita si chiamavano Consulte popolari cittadine.

Sono un “prodotto” tutto emiliano- romagnolo, il “primo tempo” della partecipazione decentrata.

Negli anni diventeranno i Quartieri, un’esperienza di partecipazione popolare in grado di dare risposte ai bisogni di integrazioe sociale nelle periferie, e migliorare così l’efficacia dell’azione amministrativa.

Quell’esperienza a Rimini tramonta – per diversi motivi – all’indomani delle elezoni amministrative del 2011, quelle che videro vincente Andrea Gnassi. Alla rapidità con cui furono cancellati i Quartieri non è seguita altrettanta rapidità nel rientrodurli, come la normativa concede dal 2014. Intanto la città ribolle di comitati spontanei e di petizioni che richiedono la rientroduzione di organismi di partecipazione decentrata.

Rimini, per ora, resta l’unica città della Romagna a non avere né Quartieri né Consigli territoriali.

Perché?

Ricostruiamo la storia, l’attualità e le prospettive future.

Con la Repubblica nasce una nuova idea di democrazia partecipata In una Italia sanguinante per le ancora visibili ferite della guerra e tanti lutti da elaborare, molteplici avversità materiali e politiche lasciate in eredità dal regime fascista, alcuni uomini a servizio della politica, al pari di un buon pastore, si “mettono in cammino” come guide della propria comunità. Grazie a queste figure s’inventano soluzioni nuove, pratiche di democrazia partecipata. Il fine sarebbe stato quello di accelerare le tappe della ricostruzione e di far giungere ai vertici municipali le domande, anche le più minute, che partivano dal territorio.

Nella Bologna del 1947, guidata dal comunista Dozza, nascono le Consulte popolari cittadine.

L’amministrazione fortemente convinta che la partecipazione non potesse esaurirsi al solo diritto di voto, ma dovesse disporre di uno strumento di controllo, continuo e costante sull’operato degli eletti, costruisce dei meccanismi di partecipazione allargata oltre gli stretti confini della rappresentanza consiliare, e saranno chiamati a parteciparvi i “maggiorenti” dei diversi rioni, cioè coloro che avevano più influenza e visibilità nella zona: l’industriale, l’artigiano, l’operaio, lo studente universitario, il medico condotto, la levatrice, l’edicolante, il parroco e il comandante dei carabinieri. All’ordine del giorno delle assemblee i temi locali, da quelli più spiccioli a quelli che coinvolgevano l’intero assetto del territorio.

Si parlerà di manutenzione stradale, di punti luce, di fontanelle, di assistenza, di educazione scolastica, ma anche di piano regolatore e di sviluppo economico. Le istanze passavano poi alla giunta comunale che, con l’andar del tempo, cercherà d’implementare i propri sensori sul territorio. Un assessore comunale nominato tutor della Consulta, sarà incaricato di seguire passo, passo le richieste del rione e di tenerne conto nell’elaborazione del bilancio comunale. Nel corso degli anni, così, al programma d’ordinaria amministrazione si aggiungeranno iniziative d’avanguardia, come quella sperimentata nel 1958, quando alcuni rioni furono collegati con una telescrivente agli uffici comunali per il rilascio immediato di certificati anagrafici e di carte d’identità. Era nato il “decentramento” dei servizi e delle funzioni della macchina comunale.

Dalle Consulte ai Quartieri Le Consulte possono essere considerate il “primo tempo” della partecipazione decentrata. Dovranno passare ancora molti anni prima che i Quartieri diventino realtà. Servirà tutta l’energia e le capacità di analisi dei bisogni della giovane democrazia italiana di Giuseppe Dossetti, con la sua incalzante sfida elettorale del 1956, per la guida dell’amministrazione di Bologna.

Siamo al “secondo tempo” della partecipazione, quella della sua “maturità”, che non potrà più basarsi nella sola richiesta del punto luce o della fontanella, ma toccherà i temi degli spazi vivibili dotati di servizi sociali, culturali, verde pubblico e luoghi collettivi di ritrovo: dalla parrocchia alla biblioteca, dal centro civico ai campi sportivi.

Attraverso la partecipazione messa in moto da questa straordinaria intuizione di Dossetti, fatta propria dal sindaco Dozza, passerà nel tempo anche la politica delle alleanze. Un nuovo terreno d’incontro fra operai, ceti medi produttivi, intellettuali e l’amministrazione. Fu, allo stesso tempo, la rivendicazione e la costruzione di una nuova idea di autonomia locale. La lezione del fascismo parlava da sola. La sottomissione delle istituzioni locali al potere centrale durante il regime fascista, le aveva ridotte a un ruolo di completa subalternità.

Verso il Quartiere

L’idea dossettiana prende finalmente forma nel 1964, con l’istituzione dei diciotto Quartieri bolognesi. Ciascuno con un proprio Consiglio, i cui membri sono eletti dal Consiglio comunale in proporzione alla rappresentanza dei vari gruppi politici, e di un aggiunto del Sindaco, da questi nominato, con il duplice ruolo di presidente del Consiglio di Quartiere e di direttore degli uffici comunali decentrati.

Nasce così la prima esperienza concreta di decentramento comunale, per dare risposte, secondo Dossetti, soprattutto ai bisogni di integrazione sociale nelle nuove periferie urbane, per creare nuovi canali di partecipazione popolare […], per migliorare l’efficacia dell’azione amministrativa.

Il “virus” della democrazia e la spinta partecipativa dilagheranno, e altri Comuni, negli anni successivi, istituiranno analoghi organismi decentrati, sulla falsariga del modello bolognese. Tra questi Rimini, che, a partire dalla fine degli anni ‘60 del secolo scorso, sperimenta, con successo, forme di aggregazione e consultazione su base “rionale”. Ma bisognerà aspettare la legge istituiva 278/1976 e le successive riforme per poter avere dei Quartieri nella forma come li abbiamo conosciuti e praticati tra la fine del ‘900 e primi dieci anni del nuovo secolo.

Finalmente il Parlamento riconoscerà le necessità di autonomia e decentramento dei Comuni attraverso l’approvazione di apposita norma che recepirà, in larga parte, i modelli di decentramento già delineati in precedenza dai Comuni. Agli stessi, previa adozione di un apposito regolamento, la facoltà di ripartire il proprio territorio in circoscrizioni, riconoscendogli l’autonomia nel disciplinare la propria organizzazione interna. In ogni circoscrizione viene eletto un Consiglio, con un numero di componenti stabilito dal regolamento comunale, ed è il Consiglio circoscrizionale a eleggere, tra i suoi rappresentanti, il Presidente, il quale è chiamato a rappresentare e presiedere il Consiglio, nonché a esercitare le funzioni delegate dal Sindaco quale Ufficiale di Governo.

A Rimini ( vedi tabella) nasceranno sei circoscrizioni, che eserciteranno, con alterne fortune tra il finire degli anni ‘70 e il primo decennio del Duemila, la rappresentanza delle istanze locali, l’esercizio del controllo e indirizzo della vita politico-amministrativa del comune, incidendo su temi come la costruzione di nuove scuole, alloggi popolari, politiche sociali, servizi essenziali come medicina di base e farmacie, scelte urbanistiche, manutenzione strade e verde urbano, sicurezza.

Le prime, decisive, crepe

Ma le prime crepe, anche a Rimini s’iniziano ad avvertire sin dalla seconda metà degli anni ‘90. L’elezione diretta del sindaco, un nuovo ruolo di responsabilità diretta della macchina comunale, e in particolare del “dirigente”, non saranno accompagnate dalla necessaria revisione della forma Quartiere come fino allora istituita e conosciuta. Nonostante ciò a Rimini, le “circoscrizioni”, come saranno chiamate, reggono l’urto dell’avanzare del disimpegno e dei populismi. La partecipazione continua a essere alta sia in termini di partecipazione al voto che in occasione dei consigli o assemblee di Quartiere su temi specifici e sempre affollate. La voglia di conoscere le scelte dell’amministrazione, di condividere, di criticare, di avanzare richieste e proposte, non scema, anzi, come ci confermano due ex presidenti di Quartiere intervistati: Fabio Betti, presidente Q5 dal 2006 al 2011 e Michele Bonito Presidente del Q1 dal 1995 al 1999.

Per esempio, “ la battaglia vinta contro il piano urbanistico per la modernizzazione dello stadio che prevedeva un aumento spropositato di appartamenti che si aggiungevano a quelli già previsti dai piani urbanistici e dal PRG in vigore, insieme ad aver ottenuto super standard economici a favore della circoscrizione nell’ambito del cambio di destinazione d’uso del comparto CAAR sono risultati concreti ottenuti a vantaggio della comunità dell’intera zona nord della città”, chiosa convinto Fabio Betti. “ L’aver ottenuto la disponibilità di un ampio parcheggio pavimentato nell’area compresa tra le vie Briolini e Giovanni dalle Bande Nere, oggi piazzale Caduti del 5° Stormo, nel quartiere di San Giuliano Mare, fino a quel momento, seppur area a forte vocazione turistica, senza servizi per la mobilità e parcheggi, o aver chiesto e ottenuto la collocazione, ai confini dei vecchi rioni del Centro Storico, delle targhe marmoree che li identificano e ne valorizzano la storia”, fa da contraltare Michele Bonito. (1-continua)

Maurizio Taormina