A San Mauro la testimonianza di Fulvio De Nigris fondatore della ‘Casa dei Risvegli Luca De Nigris’. Quali strumenti devono essere messi in campo? Cosa c’è e cosa, invece, ancora manca?
Quando sembra che non ci sia più nulla da fare, è possibile tentare ancora qualcosa? Perché non alimentare la speranza, quando c’è qualche persona che spera? E ancora, cosa chiedono e cosa vogliono le famiglie che hanno in casa pazienti dichiarati “inguaribili”?
Queste, e altre, le domande che si sono accavallate venerdì 26 aprile in occasione dell’incontro “ Fine della vita o vita fino alla fine?” in programma nel nuovo centro sociale di San Mauro Pascoli.
Relatore della serata il giornalista Fulvio De Nigris, coordinato dal dottor Antonio Polselli (oncologo riminese) e dal diacono di San Mauro Cesare Giorgetti. L’esperienza di De Nigris (nella foto) nasce dal contatto con la malattia che, l’8 gennaio 1998, strappa a lui e alla moglie Maria il figlio Luca, sedicenne.
Luca era nato con una malformazione dichiarata inguaribile e che lo avrebbe portato presto alla morte. Nonostante la diagnosi, venne operato e, dall’età di 6 mesi, crebbe pressoché “in modo normale”, conducendo una vita simile a quella dei suoi coetanei, frequentando il Liceo classico e appassionandosi di teatro, cinema e fumetti in particolare.
Era affetto però anche da una ipotonia muscolare, causa di una scoliosi importante curata in Francia. Giunto ai 15 anni, il giovane avrebbe dovuto sottoporsi ad un intervento alla prima vertebra cervicale, dichiarato “di routine”. In realtà, l’operazione si rivelò non priva di rischi e complicanze che portarono Luca in coma.
Per Fulvio (giornalista) e la moglie (insegnante) cominciò un percorso complicato e pieno di cose del tutto sconosciute. I genitori non si arresero a quel coma dichiarato “senza speranze” e tentarono varie strade, tra le quali la scelta di chiamare un agopuntore da Marsiglia che, dopo una serie di test, dichiarò che potevano esserci per Luca probabilità di risveglio. Il ragazzo venne trasferito in un reparto di rianimazione dove, da paziente più giovane, divenne dopo diversi mesi il malato più anziano.
A seguito di diversi tentativi, si aprirono però per lui le porte di una RSA. Fulvio e Maria avrebbero dovuto quindi ricoverare il figlio di 15 anni in una struttura per anziani ma si opposero e, dopo varie ricerche, trovarono in Austria una clinica altamente specializzata dove un medico diede loro una speranza. L’Azienda USL si rifiutò di mandare il ragazzo all’estero, dichiarando che avrebbero potuto curarlo in una non ben specificata struttura del territorio. Si attivò allora una gara di solidarietà e, attraverso il gruppo “ Gli amici di Luca”, venne raccolta in poco tempo una cifra pari a 140 milioni di vecchie lire.
Fulvio e Maria partirono un po’ contro tutti ma, visto il clamore suscitato dalla vicenda, la Regione alla fine assegnò loro una somma uguale all’80% delle spese sostenute per le cure. Cominciarono così il percorso nella clinica austriaca, dove ai famigliari era concesso di trascorrere diverso tempo con il paziente e dove testarono effettivamente possibilità di recupero. E il 7 ottobre del ’97, Luca fu dichiarato ufficialmente fuori dal coma. Ovviamente il ragazzo rimase in carrozzina, ma poteva esprimersi scrivendo con un dito su una lavagnetta frasi di senso compiuto attraverso le quali dimostrava di conoscere ancora diverse cose. Da quel momento in poi, iniziò un cammino carico di speranze, durante il quale il ragazzo cominciò anche a muovere i primi passi. Ma quando le cose parevano andare finalmente per il meglio, nella notte tra il 7 e l’8 gennaio del 1998, durante un ciclo di cure a Bologna e in attesa di ritornare in Austria, inaspettatamente Luca morì nel sonno. Il dolore dei genitori, e degli amici che avevano sperato che Luca ce la potesse fare, fu ovviamente immenso e ruppe per sempre quel filo fragile di speranza.
Nonostante la perdita, Fulvio e Maria decisero di mettere a frutto ciò che avevano maturato durante la loro dolorosa esperienza, affinché qualcun altro potesse beneficiarne.
“Avevamo immagazzinato tante emozioni, tante capacità, e visto cose che non andavano – ha raccontato il giornalista – tra cui il fatto che un ragazzino quindicenne sarebbe stato trasferito in un luogo di cura per anziani”.
Così venne loro in mente (forti anche del fatto che erano rimasti circa 100 milioni di lire) di realizzare una struttura simile a quella trovata all’estero, ancora inesistente in Italia, capace di curare il coma e in grado di poter dare una speranza di risveglio a tanti ragazzi che si trovavano nella situazione del loro carissimo Luca.
In concerto con il dr. Roberto Piperno, fisiatra neurologo della USL di Bologna, nacque così “ La casa dei risvegli Luca De Nigris”, un complesso architettonico che – pur essendo un ospedale – ha 10 moduli abitativi: piccoli appartamenti senza barriere, dove i famigliari possono vivere assieme al proprio caro.
Quando le famiglie entrano nella struttura, firmano un Patto di cura con l’Azienda USL e con l’Associazione “Amici di Luca” che è presente all’interno con professionisti non sanitari (musicoterapeuti, operatori teatrali, educatori…). Il famigliare viene formato a fungere da caregiver: la persona cioè che, una volta dimesso il paziente, a casa possa prendersi cura di lui gestendo il percorso di vita che si va a creare.
Nella Casa (dove la permanenza va dai 6 ai 12 mesi) l’ospite è al centro e, attorno a lui, ruotano una serie di servizi concatenati: cure sanitarie, laboratori, fisioterapia e altro.
Nella struttura ci sono anche una palestra attrezzata, un laboratorio espressivo e una sala del “durante”.
Il “durante” è quel tempo formato dai momenti in cui una persona aspetta che qualcosa cambi, che attende il risveglio quando avviene (nel 75% dei casi) e che si prepara per il percorso successivo, sia che il paziente torni a casa o venga ricoverato in altra struttura.
Per tutti, indipendentemente dal risultato finale, la sfida più importante resta quella “del dopo”.
Per questo è stato creato il “Coma to Community” (dal coma alla comunità), un complesso di servizi necessari ad assicurare la presa in carico continuativa del paziente e dei suoi famigliari che mette in campo una pluralità di professionisti per le migliori pratiche di diagnosi, cura ed assistenza in ogni fase della malattia. Ci sono infatti regioni non particolarmente virtuose (come lo è invece l’Emilia-Romagna), dove gestire “il dopo” è davvero difficile, zone in cui la parola “volontariato” è ancora sconosciuta, o dove anche l’assistenza domiciliare ha gravi criticità.
Oggi, questo “dopo” ha a che fare con quello che è il nuovo messaggio della medicina: il non puntare esclusivamente alla guarigione, ma puntare alla cura.
Ecco che finalmente si chiarisce il concetto che gli inguaribili non sono incurabili: il miglioramento della qualità e dello stile di vita di un paziente in coma (o anche uscito dal coma) e dei suoi famigliari è possibile. Si mettono quindi in campo le cure palliative, che non sono sinonimo di “cure inutili”, ma consistono in un approccio teso a migliorare le ultime fasi di una malattia, mediante il sollievo dalla sofferenza anche attraverso il supporto psicologico.
Perché “… la dignità del malato in condizioni critiche o terminali chiede a tutti sforzi adeguati e necessari per alleviare la sua sofferenza tramite opportune cure palliative ed evitando ogni accanimento terapeutico o intervento sproporzionato… La vita umana, anche nella condizione dolente, è portatrice di una dignità che va sempre rispettata, che non può essere perduta ed il cui rispetto rimane incondizionato …” ( Dignitas infinita circa la dignità umana, art. 52, 08.04.2024)
Roberta Tamburini